Con la manovra estiva del 2008 – primo atto politico-finanziario del Governo appena insediato – alla scuola sono stati tagliati poco meno di 8 miliardi di euro. Una cifra impressionante, convertita in 130.000 posti di lavoro cancellati, destinati a comprometterne la funzionalità, a danneggiare la formazione dei nostri ragazzi e i loro diritti di cittadinanza.
Ma sbaglieremmo se pensassimo che di soli tagli si tratta, poiché dietro ad essi la destra populista “temporaneamente” al governo cela un progetto dalla precisa matrice “culturale”: quello di riconfigurare la società italiana in chiave regressiva, classista, contraria ai principi costituzionali di equità, giustizia sociale, pari opportunità.
Da quel taglio dacroniano sono discesi i successivi interventi di politica scolastica del Governo: il “maestro unico”, la riduzione del tempo di permanenza a scuola, l’incremento del numero di alunni per classe, il demagogico ritorno di un presunto rigore attraverso la valutazione espressa in voti, il gerarchico riordino delle scuole superiori con in cima il liceo (molto simile a quello di Gentile), l’assolvimento dell’ultimo anno dell’obbligo di istruzione nell’apprendistato (cioè un contratto di lavoro), la mancata immissione in ruolo dei docenti precari. Tutte misure destinate ad impoverire l’offerta formativa, a lasciare indietro chi fatica a stare al passo nell’apprendimento e chi necessita di una didattica innovativa, a trascurare chi è in condizioni di handicap, ad orientare secondo le condizioni sociali della famiglia la scelta della scuola superiore (il figlio di operai ai professionali, mentre “i nati bene” ai licei), a impedire la continuità didattica. Quel taglio, insomma, è il mezzo per poter “normalizzare” la scuola a principio d’ordine, per impedirne l’assolvimento alla funzione (nella quale arranca già da tempo) di motore di promozione personale e di avanzamento sociale del Paese. O, per dirla con le parole limpide dalla Costituzione “a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese” (art 3, comma 2).
È per questa “emergenza democratica” vissuta dalla scuola che aderisco alla manifestazione indetta per il 12 marzo. La destra al Governo tradisce i principi della Carta e Noi non ci stiamo!
Manuela Ghizzoni
Capogruppo PD Commissione Istruzione della Camera