Dopo l’8 marzo, le prospettive del movimento. Se l’otto marzo è arrivato di slancio, come una sorta di prosecuzione naturale delle piazze del 13 febbraio, ora le ragazze che in entrambi i casi hanno fatto da spinta propulsiva si interrogano su come andare avanti per dare gambe e fiato a quell’onda. E rispondere alle aspettative che il 13 ha messo in circolo come «da tempo non capitava », ricorda Francesca Izzo, docente universitaria e Dinuovista membro del comitato Se non ora quando. Uno scossone arrivato «dopo anni di dispersione e frammentazione che hanno fatto languire le connessioni nel mondo delle donne e indotto a perdere il senso e l’autopercezione di forza collettiva».
Oggi «la portata politica di quelle piazze è evidente a tutti». Capitalizzarla è un dovere. Su come procedere le romane hanno già fatto un primo giro di opinioni la sera dell’otto marzo all’Ambra Jovinelli e torneranno a ragionarci presto. «Ora – spiega Izzo – le diverse anime del comitato valuteranno il da farsi, ognuna secondo il proprio punto di vista». Ma la prospettiva, già lanciata in piazza del Popolo, sono gli Stati generali delle donne, da tenere entro il 2011.
Un grande appuntamento su cui il confronto con la rete nazionale è aperto. Non tanto sul se, ma su come organizzarlo (tempi e tappe di avvicinamento). A spingere il piede sull’acceleratore è l’associazione Di Nuovo, che è parte consistente di Se non ora quando e che è cresciuta attorno all’obiettivo di dar vita a un’associazione nazionale delle donne.
«Dobbiamo stabilizzarci e assumere sulla scena pubblica una voce forte e autorevole che sia riconoscibile come interlocutore politico, pur nella ricchezza e nella diversità del movimento delle donne che finora è stato tanto diffuso e vivace quanto fuori dall’agenda politica», sostiene Izzo. Diversità che si è fatta sentire già prima del 13 febbraio, nella discussione che ha attraversato le femministe vecchie nuove ma che si è resa ancor più evidente per l’otto marzo, con la bipartizione delle due principali mobilitazioni romane, quella di piazza Vittorio e quella del corteo dei collettivi femministi – innervositi dal fiocco rosa e dai riferimenti alla maternità su cui si lanciava la “chiamata” – partito da Bocca della Verità. E da cui un appuntamento come gli Stati generali evidentemente non può prescindere né trovare soluzioni sbrigative. Sottolinea Iaia Caputo, scrittrice e animatrice delle iniziative milanesi: «È un momento da mettere in cantiere e da costruire senza fretta».
A Milano la rete che dal 29 gennaio fino a martedì ha animato le piazze ha già appuntamento il 14 marzo all’auditorium Orchestra Verdi per un’assemblea pubblica in cui si discuterà su come riprendere il filo del 13 febbraio a partire da alcuni documenti che tornano sui nodi al centro della festa della donna: maternità a carico della fiscalità generale, paternità obbligatoria, ritiro della norma sulle dimissioni in bianco, rappresentanza al 50 per cento nel pubblico e nel privato «Perché se siamo l’altra metà del cielo – sorride Caputo – dobbiamo avere metà di tutto».
Nel frattempo, il senato è arrivato al 30, solo entro il 2015 e solo per i cda delle società quotate in borsa. Il governo ha ritirato il parere negativo sull’entrata a regime appunto nel 2015 dando così il via libera a un disegno di legge su cui per una volta in commissione finanze maggioranza e opposizione hanno lavorato d’intesa. Una compattezza che ha costretto l’esecutivo – che puntava al 2021 – a fare marcia indietro. La cosa ha prodotto una soddisfazione generale e bipartisan, con Finocchiaro e Bindi che rivendicano il lavoro fatto dal Pd. Soddisfatta anche la deputata dem Alessia Mosca: «Un misura utile. Un rimedio faticoso da digerire ma necessario per sbloccare un sistema ingessato e contro l’accesso di energie fresche nei luoghi decisionali».
La prossima settimana il ddl va in aula. Poi c’è da vedere che cosa succederà alla camera.
da Europa Quotidiano 10.03.11