Meno risparmi, più debiti e più costi da pagare. È la fotografia scattata da Palazzo Koch sul rapporto tra banche e cittadini. Famiglie impoverite, che ora si ritrovano a gestire l’aumento dei mutui.
Meno risparmi, più debiti, e adesso anche prestiti più costosi. Gli ultimi dati di Bankitalia accendono un faro su famiglie impoverite, su cui da gennaio si abbatte anche la richiesta di tassi più pesanti su mutui casa e su prestiti al consumo. I mutui casa hanno raggiunto il livello più alto almeno dal 2009.
Questo nonostante il fatto che le autorità monetarie non abbiano (ancora) modificato il costo del denaro, ma a provocare il rialzo è stato l’Euribor a 3 mesi (parametro usato per i mutui) in rialzo sui mercati. Peccato che, al contrario, il «costo» pagato dalle banche ai loro correntisti, invece, sia diminuito, visto che gli interessi riconosciuti sui conti correnti registrano una limatura (dallo 0,36 allo 0,35% in media).
I numeri di palazzo Koch parlano da soli. Rispetto a gennaio del 2010, quest’anno le richieste di prestiti delle famigliesono aumentati del 5%, mentre i depositi sul conto corrente sono calati dell’1,7% per l’intero settore privato (inclusi i nuclei familiari). Come dire: meno liquidità disponibile. In altre parole, è l’effetto crisi che si è abbattuto sui redditi di molti lavoratori, finiti in cassa integrazione o in mobilità. Visti i dati sull’occupazione, le prospettive non sembrano far sperare in tempi migliori.
MUTUI
Quanto ai tassi di interesse sui mutui per l’acquisto di abitazioni erogati nel mese alle famiglie sono aumentati al 3,36% dal 3,18% di dicembre, mentre quelli sulle nuove operazioni di credito al consumo sono aumentati all’8,78% dall’8,33% di dicembre. Di segno inverso ilcomparto aziende. I tassi sui nuovi finanziamenti alle imprese erogati in gennaio sono diminuiti infatti di 10 punti base, al 2,69%. La discesa è guidata dai tassi sui prestiti di importo superiore a 1 milione di euro (2,36% rispetto al2,56%di dicembre),mentre rimangono pressoché stabili i tassi sui prestiti di importo inferiore a tale soglia (3,26% dal 3,24% del mese precedente). Alcune banche spiegano che il dato non è frutto di scelte politiche, masolo di diverse dinamiche di calcolo e di rischio tra crediti a famiglie e a imprese. Ma i consumatori non ci stanno.
«Ancora una volta il sistema bancario fa pagare alle famiglie i costi delle operazioni spregiudicate alle imprese e di allegri finanziamenti erogati senza alcuna meritorietà di credito, come dimostra l’aumento delle sofferenze bancarie arrivate al 30%», sottolineano Elio Lannutti (Adusbef) e Rosario Trefiletti (Federconsuamtori) commentando i dati diffusi dalla Banca d’Italia. La fotografia scattata da Via Nazionale provoca un’alzata di scudi sul fronte politico. «È l’inevitabile conseguenza dell’elevata disoccupazione, dell’assenza di indennità di disoccupazione per il lavoratori precari, dei tagli ai servizi pubblici, degli aumenti delle tariffe, degli effetti dell’inflazione sul potere d’acquisto», commenta Stefano Fassina, responsabile economico del Pd. «Queste notizie sono particolarmente allarmanti perché colpiscono un pilastro della nostra economia – commenta Pier Paolo Baretta – che ha consentito di reggere anche nei momenti di massima difficoltà».
I consumatori puntano il dito anche su quello che definiscono il «pizzo» richiesto dalle banche ai cittadini più anziani: quella commissione di 3 euro chiesta a chi preleva denaro allo sportello. Insomma, i banchieri tornano sotto attacco. Sarà difficile spiegare che nessun istituto italiano è fallito a famiglie che dovranno fare i conti con rate di mutui in rialzo.
da L’Unità
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«L’Europa promette un rialzo dei tassi In Italia bancarotta per 11mila aziende», di Laura Matteucci
La prima mossa è attesa per aprile. Molto probabile si tratti di piccole manovre da un quarto, mezzo punto alla volta: comunque sia, il previsto aumento dei tassi sarà la prima stretta monetariada dueanni e mezzoa questa parte. I prossimi passaggi di politica monetaria da parte della Bce sono ormai segnati, decisi per contrastare il rialzo dell’inflazione, che in molti paesi è arrivata al 2,2% (e in Italia al 2,4%), spinta dai prezzi del petrolio in forte aumento tra crisi libica e manovre speculative. Il governatore della Bce Jean Claude Trichet ne parla da gioni, e ieri il presidente della Bundesbank, Axel Weber, ha dichiarato possibile un rialzo dei tassi di interesse fino a 75 punti base nel corso del 2011 (un’uscita che ha fatto immediatamente scendere l’euro sotto 1,39 dollari). «A questo punto non vedo alcuna ragione per correggere le aspettative del mercato», ha detto Weber parlando delle attese del mercato secondo cui a fine anno i tassi di interesse saranno all’1,75%. Di fatto: «Vedo la necessità di un movimento dei tassi», ha chiarito spiegando di condividere la linea della Bce. Anche perchè «se la situazione non si placa i prezzi del petrolio resteranno a questo livello, se non superiore». Lo stesso governatore di Bankitalia Mario Draghi (in corsa per succedere a Trichet), del resto, si è allineato alla Germania, e non più tardi di un paio di settimane fa, al Forex di Verona, aveva messo le mani avanti, sostenendo che «tassi reali a breve termine ampiamente negativi, come quelli osservati negli ultimi due anni, non sono stati sufficienti a rialzare le prospettive di crescita delle economie meno dinamiche». Voce fuori dal coro, l’economista Nouriel Roubini, arcinoto per aver anticipato l’avvento della crisi finanziaria globale: «Un aumento dei prezzi petroliferi a140 dollari al barile potrebbe riportare alcune economie avanzate in recessione», dice e aggiunge che la Bce commetterebbe un errore se dovesse alzare «troppo presto» i tassi d’interesse. Draghi, invece, era stato rassicurante anche sulle prospettive: «L’esaurimento della fase espansiva delle politiche economiche non pregiudicherà necessariamente la crescita».
BANCAROTTA
Di sicuro, solo parlarne (il che ha significato mettere in moto la speculazione) ha già iniziato a pregiudicare le tasche degli italiani, alle prese con mutui più cari da gennaio, come certificato da Bankitalia. Viceversa, per le imprese, nel complesso i tassi sui nuovi finanziamenti sono diminuiti di 10 punti base, al 2,69%. Male aziende, del resto, devono fare i conti con un nuovo dato allarmante: anche nel 2010 è continuato a crescere il numero di società che hanno dichiarato fallimento, 11mila, con un incremento del 20% rispetto al 2009 (che già aveva denunciato un più 25% sull’anno prima).
I numeri, mai così in alto da quando, tra il 2006 e il 2007, è stata riformata la disciplina sulla crisi di impresa, li dà il Cerved, chiarendo che le 11mila imprese in questione hanno chiuso i battenti per bancarotta.
Le più colpite sono state quelle che operano nell’industria: tra il 2009 e il 2010 hanno dichiarato default più di 5 mila imprese manifatturiere. Hanno sofferto soprattutto il settore dei mezzi di trasporto, della gomma e della plastica, l’industria calzaturiera e la meccanica.
Con un incremento delle procedure del 15%, tra 2010 e 2009 (che segue uno del 34% nell’anno precedente) le costruzioni risultano il secondo ramo più colpito per insolvenza. Come dice il segretario confederale Cgil Vincenzo Scudiere: «Dati che dimostrano la grave sottovalutazione che c’è stata nel corso degli ultimi due anni da parte del governo».
A corollario del quadro critico: sono oltre 9 milioni i lavoratori in attesa del pieno rinnovo del contratto (per molti di loro, è stata rinnovata la parte economica,manon quella normativa), soprattutto tra le categorie del pubblico impiego.
da l’Unità