La sua frase è sbagliata politicamente e pedagogicamente. In classe non si va per vedere confermati i valori dei genitori. Ma per imparare a costruirsi la proprie idee in autonomia. Come insegnante ma anche come genitore e come cittadina sento l’obbligo di indignarmi per quanto il Capo del Governo italiano ha dichiarato in questi giorni a proposito della scuola pubblica del Paese di cui ormai da anni ha la responsabilità politica. È una strana idea di educazione quella che emerge dalla dichiarazione del premier, che di fronte ad un’ampia platea dichiarava: «Libertà vuol dire avere la possibilità di educare i propri figli liberamente, e liberamente vuol dire non essere costretti a mandarli in una scuola di Stato, dove ci sono degli insegnanti che vogliono inculcare principi che sono il contrario di quelli dei genitori ». Quindi la sua idea di insegnante ideale è quella di un educatore che «inculchi le idee dei genitori ai figli». Al contrario, gli insegnanti delle scuole di Stato inculcano altre idee «contrarie a quelle dei genitori degli studenti affidati alle loro cure». Colpisce come questo leader politico che da quasi vent’anni governa questo Paese abbia un’idea così’ riduttiva dell’educazione e dell’istruzione. Ignora il premier che l’idea più alta di educazione ed istruzione ci proviene dalla maieutica socratica secondo la quale il metodo dialettico dell’educatore è quello di tirar fuori dall’allievo le proprie idee, in opposizione a chi invece sosteneva l’arte della persuasione. Senza tornare così indietro nel tempo, agli inizi del XX secolo A.Gramsci scriveva :La cultura …è organizzazione, disciplina del proprio io interiore; è presa di possesso della propria personalità, e conquista di coscienza superiore, per la quale si riesce a comprendere il proprio valore storico, la propria funzione nella vita, i propri diritti, i propri doveri. Ed ancora: istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la vostra intelligenza. Nella lettera alla madre del 10 maggio 1928 diceva: non ho mai voluto mutare le mie opinioni, per le quali sarei disposto a dare la vita e non solo a stare in prigione …… vorrei consolarti di questo dispiacere che ti ho dato: ma non potevo fare diversamente. La vita è così, molto dura, e i figli qualche volta devono dare dei grandi dolori alle loromamme, se vogliono conservare il loro onore e la loro dignità di uomini. Ma forse citare un comunista non è la strada per confutare l’idea del premier. «Insegnare esige rispetto dell’autonomia d’essere dell’educando », dice però anche Paulo Freire nel suo «La pedagogia dell’autonomia ». Ed il filosofo F.Savater nel suo «A mia madre mia prima maestra» scrive: «Il bambino va a scuola per entrare in contatto col sapere del suo tempo, non per vedersi confermare le opinioni della sua famiglia». E che dire della scuola popolare di Barbiana dove Don Milani insegnava ai non eletti, a quei ragazzi che nonprovenendoda classi agiate, senza Don Milani, sarebbero stati condannati all’analfabetismo! Per fortuna in questo paese ci sono anche magistraticomeNicolò Gratteri, che credono in una scuola che può combattere anche la illegalità e che è consapevole del fatto che un insegnante può ben poco in classi di 30 alunni. Anche il Governatore della Banca d’Italia che parla di «gioventù sprecata » e denuncia il fatto che questi giovani ancorchè istruiti siano privi di lavoro (30% di disoccupazione) e quelli che lavorano abbiano lavori precari e sottopagati, ci rimanda una idea di istruzione per tutti che siamotore di crescita per il Paese. L’idea che abbiamo noi cittadini ed insegnanti democratici è che la scuola pubblica sia quella della Costituzione, anzi crediamo di essere insegnanti secondo Costituzione.Nonsolo crediamo nell’art.34, nell’istruzione obbligatoria e gratuita per almeno 8 anni, ma anche nell’art.3, 2° co., nello Stato cioè che «rimuove gli ostacoli» al” pieno sviluppo della persona umana”. Insomma è la libertà dall’ignoranza e dalla povertà e dalla disuguaglianza quella in cui noi crediamo.
Pensiamo che la scuola debba essere una finestra sul mondo, dalla quale ciascun alunno può affacciarsi a vedere, a scoprire e a decidere da che parte vuole stare. La scuola in cui crediamo è quella che ha fatto uscire il Paese dall’analfabetismo. Fino al 1861, anno dell’Unità d’Italia, su 25 milioni di abitanti, ricorda Tullio De Mauro, solo 630 mila persone erano in grado di comprendere e utilizzare l’italiano. Nel 1911 gli alfabetizzati arrivano al 63% e nel 1951 solo il 35%è in grado di utilizzare l’italiano oltre al dialetto. La strada alla scolarizzazione di massa verrà aperta dalla riforma del 1962 con l’istituzione della scuola media unica obbligatoria, che attuerà il principio costituzionale dell’obbligo scolastico fino a 14 anni. Ed è per questo che ora oltre il 90% della popolazione in età scolare frequenta la scuola. Certo la scuola non esaurisce tutto il percorso educativo e formativo di una persona. In Italia ancora oggi vi sono situazioni molto diversificate. Tra i cittadini nati prima del 1950 il titolo di studio prevalente è quello elementare ed è solo tra quelli nati dopo il 1970 che il diploma superiore è quello più diffuso. Il premier è fra quei pochi fortunati, nati prima del ’50, con un titolo di studio superiore. Ma forse è questa la sua idea di società. Diseguale, modesta culturalmente, senza futuro!!
L’Unità 08.03.11