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"Sorelle d'Italia, queste le donne che hanno costruito il paese e lottato per la democrazia", di Serena Danna

Quando apprende di essere stata citata tra le donne che hanno fatto l’Italia, Rossana Rossanda raffredda il tono della voce: «L’umiltà non è tra le mie qualità migliori, ma per cortesia dica all’amica Gae di non commettere questo errore di valutazione». L’amica Gae è l’architetto Aulenti. Prima che il ‘68 arrivasse a sconvolgere schemi e recinti, mentre Rossanda ripensava il comunismo alla Casa della cultura di Milano, la giovane designer con i capelli corti e la passione per il razionalismo internazionale, trasformava una professione maschile in una possibilità concreta per migliaia di donne.

Aulenti è un bravissimo architetto, dice la giornalista, ma in fatto di donne sbaglia: «Non sono certo una che ha unito l’Italia. Piuttosto sono sempre stata espressione di una minoranza politica e culturale: una comunista all’opposizione, prima all’interno e poi all’esterno del partito. La mia battaglia culturale era contro il cattolicesimo e l’arretratezza culturale del Paese», racconta al telefono dalla sua casa di Parigi la fondatrice del Manifesto.

L’architetto, seduta nel suo studio milanese nel quartiere Brera, difende la scelta: «La vita di Rossana è segnata dal coraggio e dalla tranquillità: potremmo dire che è stata sempre, tranquillamente, all’avanguardia». Per le ragazze di oggi «è un modello di rigore e di attenzione verso l’altro: due caratteristiche che la rendono una persona eccezionale».
Nella rassegna delle donne simbolo dell’Italia che sta per festeggiare 150 anni, eccezionale è un termine che torna spesso.

La giovane presidente di Confindustria Emilia-Romagna Anna Maria Artoni lo usa per definire la scienziata Rita Levi Montalcini: «Un esempio di vita per la determinazione e la forza con cui ha combattuto tutte le sue battaglie». Miriam Mafai per l’attività politica di Nilde Iotti: “un personaggio di cui non abbiamo ancora capito interamente il valore nella storia d’Italia”. Eccezionali sono le attrici italiane, ricordate dalla degna erede Isabella Ferrari, che hanno rappresentato la storia nazionale e costruito il “made in Italy” di successo: Anna Magnani, Silvana Mangano, Sofia Loren, Mariangela Melato, Stefania Sandrelli.

La stessa Rossanda, che pure è cauta nell’uso del linguaggio, si tradisce parlando di Tina Anselmi. “Trovo mortificante che – come le giornaliste si occupano quasi esclusivamente di costume e società – alle donne ministro vengano affidati solo dicasteri dedicati all’educazione, all’istruzione, in generale alla cura degli altri”. Eppure Anselmi, primo ministro donna della Repubblica Italiana fu a capo del Lavoro. “Tina era un’eccezione: un riflesso della Resistenza, proiettata nel Palazzo direttamente da quelle lotte”. E’ tra le fila dei partigiani, tra le battaglie di indipendenza dell’Ottocento, tra le rivoluzioni mancate, che si nascondono, secondo la giornalista, le donne che hanno fatto l’Italia. Eleonora Fonseca Pimentel, per esempio: “L’unica che ha trasferito i valori della rivoluzione francese in Italia”. O Giuditta Ottaviani Acquati, che guidò nel quartiere di Trastavere la rivoluzione romana del 1848, sedata dallo stato pontificio: “In via della Lungara, sul lungotevere di Roma, al primo piano di un palazzo c’è una statua dedicata a lei: provi a cercarla con lo sguardo la prossima volta”.

Anche Suor Giuliana Galli, vicepresidente della Compagnia di San Paolo e per venti anni a capo dei volontari del Cottolengo, individua nel periodo della Resistenza la palestra delle grandi donne d’Italia. Le sue eroine portano il velo in testa e il crocifisso al collo: “Sono le sorelle che, contro la legge e il buon senso, durante la Resistenza hanno aiutato, nascosto, curato i partigiani e i fascisti morenti”. Giuliana Galli racconta la storia di suor Eletta che, dopo lo sbarco degli alleati a Nettuno e ad Anzio, organizzò nella campagna nettunese, aiutata da uno studente al quarto anno di medicina, un ospedale di fortuna. Narra l’avventura delle suore di Livorno le quali, durante i bombardamenti dei tedeschi del settembre 1943, nascosero i fuggiaschi negli scantinati dell’ospedale. “Non erano guidate da interessi o progetti politici ma solo dall’imperativo etico: aiutare chi ha bisogno anche a costo di finire in prigione o fucilate”, spiega il vicepresidente.

Tuttavia una “contemporanea” degna di nota esiste anche per Rossana Rossanda. “Camilla Cederna nella sua rubrica sull’Espresso “Il lato debole” prendeva in giro le borghesi italiane, mettendone in luce vizi e difetti: era una sfida farlo proprio sul loro giornale”. Rossanda non vede in Nilde Iotti un simbolo della storia del Paese: “Ha semplicemente diretto bene i lavori dell’Assemblea parlamentare”, afferma.

Di parere opposto Miriam Mafai, che ricorda della presidente della Camera – prima donna a rivestire tale ruolo istituzionale nel paese – soprattutto l’alta idea della politica e la capacità unica di “cogliere le differenze e le cesure presenti nel Paese e di lavorare per risolverle “. Nilde Iotti ci credeva sul serio. In un’intervista con Enzo Biagi del 1984, il ministro affermava con sguardo da amazzone: “La politica è l’arte nobile di organizzare la società per gli uomini perché possano vivere bene”. Quando entra nella Costituente, ricorda Mafai, ha solo 26 anni: “Nonostante l’educazione e la cultura cattolica riesce ad occuparsi dei temi relativi alla famiglia in maniera laica: riconoscendo il valore del matrimonio ma, allo stesso tempo, opponendosi all’introduzione del termine “indissolubile” riferito al legame tra marito e moglie. In questo modo poneva le basi per la riforma del diritto di famiglia”.

La conquista del divorzio arriva trenta anni dopo, ma le radici della conquista sono in quella scelta lessicale. “Ha diretto la Camera spesso in polemica con le richieste del Partito Comunista”, ricorda la giornalista. La sfida al Pci della giovane amata di Palmiro Togliatti non si consumava solo tra le aule parlamentari, ma tra le mura domestiche, tra i “compagni” che continuavano a considerare sbagliata la loro unione: “Posso dire con certezza, afferma Mafai, che Nilde fu accettata come moglie del segretario del partito solo da vedova: il giorno dei funerali era finalmente diventata la signora Togliatti”.

Certo, la storia d’Italia è segnata anche da donne che se ne sono infischiate dell’accettazione famigliare, politica o sociale. È il caso di Rita Levi Montalcini. Ai genitori che la volevano in una scuola femminile per diventare una buona moglie e una buona mamma rispose che sentiva “di non voler essere né l’una e né l’altra”. Anna Maria Artoni ha incontrato il premio Nobel per la medicina a un dibattito sulle quote rota non molto tempo fa. L’industriale è rimasta impressionata dalla forza della scienziata: “Si è sempre impegnata non solo nella ricerca, ma anche per il Paese: la sua devozione al futuro e alla vita è una bussola per i tempi bui”. Artoni, con l’imbarazzo di chi è nato in un paese che ha riconosciuto troppo tardi il legame tra donna e impresa, sente di dover ricordare il ruolo delle imprenditrici italiane: “Hanno contribuito alla crescita della nazione e sono espressione di quella capacità tutta femminile di gestire lavoro, figli, mariti, genitori e di pensare contemporaneamente al futuro personale e della comunità”.

Una pagina di storia ancora da scrivere è quella dedicata alle economiste italiane. Lo ricorda Fiorella Kostoris, docente di politica economica all’Università “La Sapienza” di Roma: “Ho pensato a lungo ad economiste italiane del secolo scorso, ma, anche sforzando memoria e ricerca, non è spuntato alcun nome. Allora ho digitato su Google la parola “economiste italiane”: le prime tre pagine di risultati sono tutte legate a maternità, violenza sessuale, diritti negati, ricette culinarie, mentre, alla quarta pagina di risultati, “economiste” diventa l’aggettivo francese”. Una laurea honoris causa in economia spetterebbe certo a Maria Montessori. “Con il suo impegno per la scuola italiana, le riforme, l’eco internazionale ha fatto molto per il capitale economico dell’Italia. Una buona scuola è sempre premessa di sviluppo, quella pensata dalla Montessori – incentrata sull’autonomia del bambino e sull’innovazione – lo era davvero “. Nella parole della professoressa, tra le donne eccezionali d’Italia spunta anche Marisa Bellisario, la giovane e ambiziosa dipendente dell’Olivetti che, a trenta anni, parte per gli Stati Uniti e diventa presidente della Olivetti Corporation of America.

Torna in Italia negli anni Ottanta per dirigere i trentamila dipendenti di Italtel, un gruppo industriale in crisi che riuniva trenta aziende elettromeccaniche. Una storia che assomiglia a quella di tanti uomini italiani degli anni Settanta, una carriera che allora potevamo definire “maschile” mentre adesso è un percorso comune a tante ragazze”. Bellisario è un’apripista che arriva tardi. “Per avere un punto di svolta nella vita lavorativa delle donne – dice l’economista che ricorda come il tasso di occupazione femminile in Italia sia ancora al 46% – bisogna aspettare un secolo dopo l’unità d’Italia”.

Ci vuole una giovane artista, che i suoi fan chiamano “la cantantessa”, per omaggiare le cosiddette donne normali. Carmen Consoli, siciliana di 37 anni partita come “confusa e felice” e oggi indignata con un paese che “nonostante l’età, è ancora alla terza media”, spiega: “Vorrei ricordare tutte le testimoni silenziose che, dopo il lavoro e la cura della casa e del compagno, ogni notte leggono le favole ai loro bambini, spingendoli verso la creatività e verso il potere dei sogni”. Anche Consoli non resiste all’eccezionalità e ne affida la bandiera a Felicita Impastato, mamma di Peppino, il ragazzo che combatté la Mafia nella Sicilia degli anni Settanta e finì ammazzato con una carica di tritolo il 9 maggio 1978 per volere dei boss. L’artista ricorda la forza di una donna che nascose il figlio al padre colluso con la mafia, e che, dopo la tragica morte, con la quinta elementare, ripeteva sempre la lezione di Peppino: “La cultura ci salverà dalla mafia”.

“Studiate siciliani, studiate italiani, perché solo quando hanno conoscenza e coscienza popolare, le persone alzano la testa e si ribellano”, conclude Consoli. E già sembra il ritornello di una ballata civica, che da Parigi fino a Catania, unisce oggi le grandi donne che stanno facendo l’Italia.

Il Sole 24 Ore 06.03.11

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