Per riparare i danni causati da Berlusconi all’Italia in sede internazionale ci vorrà almeno il tempo di una generazione, fatta di persone serie e politiche coerenti. In sede interna i danni sono altrettanto grossi, e tuttavia la loro riparazione potrebbe essere compiuta più rapidamente. Ma che cosa esattamente sembra richiedere? La “sfrontatezza” delle nuove mosse berlusconiane di questi giorni non riesce a nascondere l’intensità del disfacimento dell’impero in corso da tempo.
Significativo rimane che il carismatico capo del governo abbia potuto evitare la ghigliottina, tra dicembre e gennaio, soltanto ricorrendo all’inconsueto strumento giuridico della compravendita. Adesso ci avviamo verso una nuova fase di accelerazione, che avrà il culmine verso la fine di maggio, generata da tre elementi: i risultati delle elezioni amministrative, l’esito dei processi al premier e l’emanazione dei decreti federalisti (dei quali, per una ragione o per l’altra, si discuterà comunque in parlamento).
Si saranno definitivamente chiariti, a quell’epoca, alcuni punti importanti. Anzitutto, l’orientamento del Terzo polo non sarà incerto. Esso è già avviato verso l’obbiettivo di nuove elezioni, in cui potrebbe presentare la sua autonoma posizione di alternativa a Berlusconi, con esclusione di accordi elettorali col Partito democratico.
La Lega, a sua volta, punta all’emanazione degli ultimi decreti federalisti per poter proclamare la finale vittoria del suo federalismo. Non è detto che potrà farlo, certo non facilmente. Comunque, ottenga o non ottenga quei decreti, penserà poi seriamente a ciò che oggi rilutta ad ammettere: i danni d’ogni genere provocati da un governo non solo inetto ma definitivamente colpito nella figura del suo principale esponente (o paccariato, per dirla nel modo abbreviativo che si usa a Napoli).
Nello stesso tempo, i risultati delle elezioni, avranno dimostrato – se non facciamo errori di grammatica e lo rimettiamo in gioco – che il consenso del Cavaliere non solo si è dimezzato rispetto alla fantastica cifra del 60% accreditata per mesi, ma sarà anche ben lontano da quel 38% da lui ottenuto alle elezioni politiche (stando ai sondaggi odierni perderebbe circa tre milioni di voti). E sarà a tutti palese, così, che il collasso dell’impero non è determinato dalla persecuzione delle toghe rosse di Milano ma dai processi politico-elettorali in corso nel paese. È sintomatico, proprio perché si tratta di forze minuscole, che anche residui politici della prima repubblica, socialisti e repubblicani, abbandonino ormai il berlusconismo e si dirigano verso Casini e Rutelli (come il loro successo al recente congresso repubblicano appunto dimostra).
Che cosa a questo punto si richiede al Pd? Come Europa ha già sottolineato, l’esperienza di Torino lo insegna. Fassino ha vinto a mani basse non perché abbia proposto un’alleanza o un’altra, ma perché si è identificato con piattaforma politica che investiva il problema cruciale dell’avvenire della città, e sulla quale ha raccolto appunto il consenso della città.
Egualmente, sul piano nazionale, il Partito democratico ha bisogno di una piattaforma politica che non derivi da preferenze ideologiche, retoriche pauperiste o altre invenzioni. Ha bisogno, al contrario, di una piattaforma politica che parta dalla realtà effettuale e ne tragga con coerenza una proposta operativa.
Occorre dunque partire dai danni profondi arrecati dall’era berlusconiana al tessuto nazionale, alla sua economia, alla sua struttura istituzionale, alla sua condizione morale, alla sua legalità. Occorre sottolineare gli strappi subiti dall’ordinamento dello stato, i colpi alla rete di checks and balances che garantisce gli equilibri democratici. La grandiosa dose di bugie prodotte dalle autorità di governo. La vastità della corruzione, la caduta dell’imparzialità, l’accanimento contro l’indipendenza di giudizio. Le collusioni equivoche, la caduta del tasso di legalità. Siamo diventati un paese che rischia di perdere il valore del diritto, il rispetto dell’autorità, il senso della solidarietà nazionale. Berlusconi ha prodotto questo e lascia questo.
Allora occorre una proposta politica che sia coerente che raccolga consensi convinti perché rappresenta una prospettiva credibile. Senza una grande iniziativa nazionale di raccolta delle forze disponibili a garantire una ripresa ordinata fattiva e realistica, i danni dello tsunami che ci ha colpiti non potranno essere sanati, a breve termine, perché hanno intaccato le fondamenta della costruzione nazionale.
È su una piattaforma di interesse nazionale di questo genere, è su una piattaforma che chiami tutte le forze disponibili, è su un progetto di riscatto della nazione con il contributo delle sue forze migliori, al di là degli interessi di partito, di corrente, di gruppi che si valida la proposta politica da portare all’esame degli elettori.
Il paese attende le forze politiche su schemi non di parte. Chiunque proponga soluzioni correlate a interessi di schieramento o di partito è già perdente. Bersani fa benissimo a proporre la sua candidatura per il Partito democratico, come Casini farà bene a porla per il suo schieramento e altri per il centrodestra.
Ma chiunque si proponesse di governare nella prossima legislatura sulla base dei propri numeri, aumentati dal meccanismo della legge elettorale, si porrebbe da solo in condizioni di difficoltà.
La proposta del Pd, così, non può essere quella del suo governo. Una cosa è che Bersani raccolga le forze per farle pesare in un nuovo governo di responsabilità nazionale, fino alla ripresa del paese. Un’altra cosa è proporre agli elettori un governo della sinistra. Il progetto che il Pd può presentare convincentemente al paese è quello di un governo che chiami le forze disponibili ad un programma limitato di ricostruzione e di rilancio del paese, sia sul terreno economico, sia sul terreno istituzionale e morale. Guidato naturalmente non da un uomo di parte, ma da un leader capace di rappresentare le differenti ragioni ed esigenze in una sintesi apprezzabile e condivisibile. È su questa base che Berlusconi può venir battuto anche sul terreno dei numeri elettorali. Ed è su questa base che si proverà la leadership del Partito democratico se vuole superare il disastro presente e portare il paese alla ripresa.
Dall’impasse presente si esce solo mutando schema.
da Europa Quotidiano 04.03.11