Si impara prima della scuola, dopo la scuola, nonostante la scuola. Tuttavia purché questa esperienza comune non si trasformi in metafisica, la scuola deve esserci. L’articolo 33 della Costituzione stabilisce che «Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato» e che «la legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità , deve assicurare ad esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali». Le scuole pubbliche rappresentano dunque lo standard educativo del nostro paese e la legge, stabilendo i diritti delle scuole non statali, stabilisce pure gli obblighi – esami di stato regolari, docenti pagati secondo un contratto nazionale, corrispondenzatra cattedra d’insegnamento e disciplina insegnata, buste paga reali. La frase «la scuola pubblica inculca », poi smentita e ritoccata, lungi dall’essere un giudizio sulla situazione della scuola italiana, è, come spesso accade al primo Ministro e ai suoi epigoni, pubblicità . Se non lo fosse terrebbe conto di quella «parità per eccesso » tra scuola statale e scuola non statale che, nell’articolo 33, è rappresentata dai diritti e dagli obblighi. Se non fosse pubblicità, inoltre, l’asserzione si presterebbe alla patologia del dettato costituzionale all’equipollenza: se la scuola statale non educa allora non educa neppure la scuola non statale. Il pensiero di chi vuol leggere nelle parole del premierun attacco alla scuola pubblica è figlio dell’erronea contrapposizione tra scuola statale e scuola paritaria. Per noi, e secondo quanto afferma la Costituzione italiana, la scuola può essere sia statale sia paritaria. In entrambi i casi è un’istituzione pubblica, cioè al servizio dei cittadini… «Berlusconi ha solo difeso la libertà di scelta educativa delle famiglie».
Il Ministro Gelmini, a parte la faccenda dell’equipollenza alla quale mi pare sommamente disinteressata, e a parte la contrapposizione incomprensibile per un Ministro della Repubblica tra statale e pubblico, non ha detto nulla di particolarmente falso poiché è una evidenza che per il Primo Ministro il sistema educativo in contrapposizione alla scuola (pubblica e privata), è la televisione, che rappresenta la vera «libertà di scelta educativa delle famiglie». Silvio Berlusconi, proprietario di televisioni private, è il primo uomo che ha inserito, nei notiziari delle sue reti, gli indici di borsa, facendo che l’economia descrivesse un benessere più o meno percepito, e che trasformasse dunque i consumatori in telespettatori. Silvio Berlusconi, primo ministro di un paese democratico, attraverso gradi successivi di potere e delega, è l’uomo che può discriminare sulle programmazioni e i contenuti delle reti nazionali, e che ha potuto dunque trasformare i telespettatori in elettori.
Questa ultima mutazione definisce un problema che per mesi chiama monopolio di immaginario, ma che potrebbe pure chiamarsi, se amassi l’epica, golpe mediatico. Questo immaginario unico, dal quale siamo colonizzati, appartiene all’uomo che ha rivoluzionato la televisione italiana. E La rivoluzione, si sa, non si può fare con tanta eleganza e soprattutto un atto di violenza. La principale violenza che subisco è dovermi ripetere, ogni volta che accendo la televisione: Odio la televisione. Anche se non è vero, perché io sono anche la televisione di Berlusconi. E infatti capisco che la programmazione televisiva è come lo stato. Ma senza la costituzione, capisco perché Berlusconi si accanisca e avanzi utopico «La vita può essere meravigliosa come la mia televisione». Siamo allenati a votare. E non certo dall’educazione civica nelle scuole o dalle discussioni politiche in strada, dai comizi dei partiti – dov’è la base? È solo quella della Lega Nord?
Prima delle liste e dei programmi elettorali, di proporzionale maggioritario no o viceversa, le persone sanno già televotare. La mia indole democratica mi impedirebbe di giudicare il popolo sovrano. Tuttavia, quando la democrazia diventa una faccenda statistica, come lo share, la definizione di popolo sovrano si conficca come una spina sotto la pianta dei piedi. E, personalmente, mi fa zoppicare sulle mie convinzioni. Quando ascolto i proclami (sempre e comunque televisivi) del Premier capisco che la mia indole democratica non è il privilegio di qualsiasi cittadino nato in una repubblica, che ha studiato nella scuola pubblica e che ha usufruito del servizio sanitario nazionale. No. Questa indole risulta piuttosto l’ultimo snobistico avamposto del culturame, perché la democrazia, in un paese dove la televisione è il sistema educativo sostitutivo della scuola pubblica, solo un corrotto e inutile ancient regime. Non c’è libertà educativa senza possibilità di scelta. E non c’è scelta senza comprensione. Non si va a scuola per essere ‘inculcati’ si va a scuola per impedire che qualcuno o qualcosa ti manipoli senza che tu ne te accorga.
L’Unità 04.03.11