Risiko di governo e ricatti di maggioranza: mentre Gheddafi ci minaccia e la disoccupazione cresce, Berlusconi deve tenere buoni gli appetiti per garantirsi l’utilizzazione finale, i voti sul conflitto d’attribuzione del caso Ruby e sul processo breve. Così congela la pratica del rimpasto, che ieri i Responsabili, che battono cassa, davano per certo nel consiglio dei ministri di domani. I fedelissimi del cavaliere parlano del rinvio almeno una settimana. Ma i vari Saverio Romano e gli Scilipoti esigono una ricompensa, senza la quale minacciano «il venir meno del loro apporto», magari proprio sul federalismo municipale che si vota oggi con la fiducia. Il campo è reso ancora più scivoloso dalla richiesta sul conflitto di attribuzione fra poteri dello Stato che la maggioranza ha avanzato al presidente della Camera, Fini.
Berlusconi non può rischiare di perdere voti sicuri in Parlamento. Quindi deve rinverdire le promesse perché, dice un berluscones, «non è il momento per procedere, prima si devono risolvere alcune urgenze, c’è il conflitto d’attribuzione da portare a casa» e il processo breve. La partita «rimpasto» è comunque sul tavolo di Berlusconi e Gianni Letta, intrecciata alle nomine nei grandi enti. Fino a ieri mattina però nel tam tam di Montecitorio si dava per certo il valzer di poltrone: le dimissioni di Sandro Bondi, depresso e scontento, dai Beni Culturali, accontentando le brame antiche di Paolo Bonaiuti.
Nell’incerto schema giocava anche il pressing a due punte della Lega e dei Responsabili per scalzare dall’Agricoltura Galan, che ha dato filo da torcere sulla proroga delle quote latte con lo scippo dei fondi per l’oncologia. Mirano all’Agricoltura il capogruppo leghista al Senato Bricolo (ieri alla Cameracon Bossi per la capigruppo sul federalismo) ma è il pallino anche di Saverio Romano, siciliano Responsabile fuoriuscito dall’Udc: pretende un ministero con portafoglio per «il Sud» e per il suo bacino elettorale. Ma la Lega ha posto il veto.
Le caselle di Palazzo Chigi da riempire sono 12, ma il governo pensa a un decreto per aumentare il numero delle poltrone rispetto alle 60 stabilite per legge. Troppe le promesse fatte dal cavaliere e pochi i posti. Tra l’altro la compravendita parlamentare non è chiusa. Lo aveva annunciato Berlusconi sabato scorso al congresso dei Cristiano Riformisti: «A breve faremo una rivisitazione della squadra di governo chiedendo l’aumento del numero dei sottosegretari, perché ora i ministri e i sottosegretari devono stare di più in Parlamento». Poi però ha congelato il tutto.
Per Galan si parla del ministero delle Politiche comunitarie lasciato vuoto dal finiano (resterà tale?) Andrea Ronchi, ma si parla anche di promesse berlusconiane a Laura Ravetto, già sottosegretaria.Unpo’ poco per l’ex Governatore del Veneto, che dicono aspiri all’Enel, così come il Carroccio, preso da bulimia di potere. Un po’ in tutte le caselle viene inserita Anna Maria Bernini, tra le quali quella di viceministro allo Sviluppo con delega all’informazione, o al posto di Bonaiuti, essendo già portavoce vicario del Pdl, come sottosegretario alla presidenza del Consiglio.Malei stessa, già scottata al giro scorso di nomine, scherza: «Qui non si sa niente. Si entra Papa e si esce…chierichetto». Chi è vicino al premier non dà per certa neppure l’uscita di Sandro Bondi da via del Collegio Romano ed è difficile che «Paolino» Bonaiuti si allontani dal premier di cui è portavoceda anni. Ci sono poi i «cespugli» da accontentare.
La mappa è stata congelata, ma fino a ieri pomeriggio i Responsabili vedevano il ritorno al governo di Aurelio Misiti, con la creazione ad hoc di un viceministero alle Infrastrutture (memore dei Lavori pubblici presieduti per anni), mentre l’ex Pd Calearo il posto lasciato dal finiano Urso: viceministro al Commercio estero. A palazzo Chigi/Grazioli batte cassa anche Storace, infatti da giorni si parlava di Musumeci, nome storico dell’Msi, come sottosegretario. Ma potrebbe essere un boomerang per Berlusconi allargare anche la compagine di governo con rappresentanze di forze che non hanno fatto parte dell’alleanza elettorale: con un membro della Destra dentro la squadra, Silvio e tutta la grancassa mediatica non potrebbe gridare al «ribaltone», nel caso si creasse una maggioranza diversa per governare. Perché il primo a fare un «ribaltone » in casa sarebbe stato lui. Meglio rimandare.
L’Unità 02.03.11