Il ministro della Cultura è pronto a lasciare la Cultura. Ma attorno a sé ha fatto il vuoto. Il settore è con l’acqua alla gola. Ieri una importante riunione per i fondi Fus è saltata per l’assenza del ministro. La mattinata pigra del ministero dei Beni e delle Attività Culturali è stata ieri scossa da un fatto nuovo: le associazioni di categoria – teatrali, musicali, della danza, del cinema e i sindacati – che dovevano partecipare alla Consulta dello spettacolo, hanno dato forfait, consegnando una lettera di protesta contro i tagli alla cultura. E Sandro Bondi? Come al solito brillava per assenza, una latitanza che sigilla anche la fine della sua avventura in questo dicastero, così fallimentare da rendere problematico nel rimpasto di governo trovare un successore disposto a farsi carico delle macerie che lascia nel mondo della cultura italiano. «Non possiamo più accettare giochetti» – sbotta uscendo dal ministero Paolo Protti presidente dell’Agis, che ha consegnato la lettera con cui associazioni, sindacati e critici hanno spiegato la loro diserzione dalla Consulta per lo spettacolo, organo che si riunisce per deliberare sui finanziamenti dello stato per le attività culturali. «Chiediamo che il governo si assuma le proprie responsabilità –ha continuato Protti– e che dunque si arrivi a garantire quei 470 milioni di euro per il Fondo unico dello spettacolo –dimezzato a 250 rispetto a due anni fa ndr– che il ministro Bondi definisce la soglia di sopravvivenza ma che lui stesso non riesce a garantire. Servono anche ammortizzatori sociali e la rimodulazione della tassa di 1 euro sui biglietti dei cinema». È mancato il numero legale e di conseguenza è saltata la Consulta: un gesto forte e simbolico, accolto con stupore e rammarico al ministero, ma arrivato dopo le dimissioni di Bruno Cagli da sovrintendente di Santa Cecilia–la nostra più importante istituzione
sinfonica–, seguite da quelle di Walter Vergnano del Regio di Torino.
Si aprirà la stagione delle dimissioni a catena per protestare contro il governo?
L’assenza di Bondi ha causato irritazione e forse rinsaldato anche un settore spesso litigioso come lo spettacolo: «Il ministero deve ai produttori cinematografici circa 60 milioni di euro di arretrati –spiega scuotendo la testa Riccardo Tozzi che ne è il presidente–, per il cinema quest’anno ci sarebbero 42 milioni, che servono anche per la mostra di Venezia, la Scuola nazionale di cinema e Cinecittà: dunque lo Stato parte già in debito con noi di 50 milioni di euro. Bondi neanche si presenta, e a questo punto chiediamo un serio confronto: qualcuno lo dovrà pur fare il ministro della cultura in questo paese».
In una lamentosa intervista al «Corriere» Bondi ha dichiarato nei giorni scorsi di voler lasciare la sua poltrona di ministro, come in realtà ha già fatto da circa tre mesi non presentandosi né al Collegio Romano né in Consiglio dei ministri, dove le delibere del suo dicastero sono affidate al segretario di stato Gianni Letta. In lizza per la successione ci sarebbero il leghista Giancarlo Galan, il pidiellista Paolo Bonaiuti ma un gioco neanche troppo sotterraneo vede in pista anche il sempiterno Gianni: Letta è l’unico sottosegretario del governo senza deleghe.
Gli interessati però fanno resistenza, non se la sentono di prendersi un ministero terremotato da Bondi, che negli ultimi due anni si è fatto dimezzare gli investimenti e abbattere l’intero budget. Vogliono garanzie di nuovi fondi, che dal governo
nessuno vuole concedere.
L’Unità 02.03.11
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