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"Le palestre della vita" di Marco Rossi Doria

Il presidente del Consiglio ha affermato che «la scuola pubblica insegna principi contrari a quelli delle famiglie». Il presidente del Consiglio ha affermato che «la scuola pubblica insegna principi contrari a quelli delle famiglie». Poiché egli è tenuto, nella sua qualità di capo del governo, a favorire l’unità degli italiani, questa affermazione (seguita dalla rituale smentita) dovrebbe fondarsi sui problemi educativi comuni a tutti gli adulti responsabili. E non lo fa.
Inoltre essa appare molto distante dalle questioni educative che sono oggi sul campo.

Infatti, nell’Italia di ogni giorno, genitori di famiglie unite o separate, docenti delle scuole pubbliche o private, educatori del privato sociale laico o cattolico, allenatori sportivi, capi-scout, genitori volontari degli oratori, stanno tutti affrontando, da diversi punti di vista, la crescente, comune difficoltà di una crisi di valori e di modelli.

Vi è stato, infatti – negli ultimi decenni – un mutamento radicale del paesaggio antropologico entro il quale si educa. I modelli adulti – nei media, nella politica, nel mercato, nel costume – stanno mettendo a dura prova, anche di recente, i principi dell’educare. Perché le parole in famiglia e a scuola vengono smentite in modo potente. Lo sa bene chi opera ogni giorno. Lo ha scritto la Cei nel suo prezioso documento dell’anno scorso. E soprattutto lo ripetono i ragazzi, delusi e spaesati.

Ma ancor prima di questo, due possenti mutamenti hanno cambiato la posizione della scuola e la relazione tra scuola e famiglie.

Il primo mutamento riguarda il fatto che, a differenza di oggi, fino a una generazione e mezzo fa, ogni bambino veniva affidato dalla famiglia a un gruppo di altri bambini, coetanei o poco più grandi entro cui provarsi, specchiarsi, riconoscersi. E insieme ai quali si condividevano i tempi ripetuti e i luoghi oltre le mura di casa e anche diversi dalla scuola: quartiere, paese, cortile, rione, piazzetta, condominio, campagna. Era la prima palestra della socialità. Che abituava a funzionare entro una comunità di coetanei regolata intorno al gioco ma anche intorno all’essere progressivamente capaci di…. Tanto che ogni nuovo venuto imparava a vivere il riscontro giornaliero «di fare parte di», le piacevolezze proprie delle relazioni e costruzioni progettuali comuni e anche le sue prove e frustrazioni. Era un sistema accettato di regole, prove e ritualità tra coetanei. Con gli adulti in posizione presente ma distante, non intrusiva.

Così, la scuola ha rappresentato, fino a poco fa, la seconda palestra della socialità, ulteriore e diversa dalla prima. Perché era il luogo che ha sì una dimensione sociale ma modificata dal fatto che era deputata a altro rispetto a quella prima socialità e, dunque, regolata per imparare le cose che non si possono imparare a casa o con gli amici. Dunque, la scuola era pienamente riconosciuta dalla famiglia per questa sua specificità e per le leggi, esterne a sé, che la presidiavano, sorvegliate dagli adulti docenti che erano altro dalla famiglia. La quale, però, ne garantiva la funzionalità sulla base di un riconoscimento implicito, tale da delegare funzioni educative.

Il secondo mutamento riguarda il fatto che i confini e le regole, a differenza di oggi, venivano rimarcati dai genitori entro una definizione codificata di ruoli e liturgie di presidio. Le rigidità e gli arbitri potevano essere parti dolorose di questo assetto. Tuttavia il codice implicito era universalmente riconosciuto da una comunità più larga della singola famiglia e ciò la sosteneva nelle funzioni strutturanti e mitigava l’eccesso di soggettività. Era la prima palestra della legge. Che aveva luogo, anche essa, prima della scuola. E che favoriva un insieme graduato di trasferimenti di consegne, attese di comportamenti, riti di passaggio, catene di comando, regole e sanzioni prevedibili. La scuola era in una posizione di continuità anche con questo apprendistato precoce. E poteva contare su di esso per fare valere le proprie regole.

Oggi sono fortemente indeboliti questi fondamentali retroterra di ogni società educante. Tanto che ogni giorno le scuole sia pubbliche che private e le famiglie, insieme, stanno faticosamente lavorando a ritessere la rete educativa adulta comune, entro le mutate condizioni. Il che implica la ricostruzione del patto tra adulti, che da implicito si deve rendere esplicito. Un’opera tanto complessa, lunga, faticosa, delicata quanto irrinunciabile. Che ha bisogno di forte sostegno e di parole e azioni che uniscono e non che dividono.

Istigare alla divisione tra scuole e scuole, tra genitori e genitori, tra scuole e famiglie – come hanno fatto le parole del presidente del consiglio – sono, perciò, un atto di estremismo politico e di irresponsabilità civile che, per il bene di tutti i nostri figli, l’Italia, già fin troppo divisa, non si può né si deve permettere.

La Stampa 28.02.11

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Professori e studenti respingono le critiche: premier non ha credibilità morale

Il mondo della scuola pubblica non accetta di essere accusato dal premier di «inculcare» idee sbagliate ai ragazzi e rimanda al mittente l’accusa. La replica a Berlusconi viene non solo da docenti, come quelli della Cisl, non certo ascrivibili alla sinistra, ma anche da studenti e genitori, che chiedono al governo le risorse per dare alle famiglie una vera libertà educativa.

«Ma cosa deve insegnare la scuola sulla famiglia? È la famiglia la prima agenzia educativa – spiega il segretario della Cisl Scuola, Francesco Scrima – ma ai docenti viene data spesso una delega in bianco: a quali valori si riferisce il presidente del consiglio? A quali modelli e comportamenti? Sono proprio la famiglia e la società a non darli, a diseducare, spesso distruggono in 10 minuti quello che la scuola pazientemente crea in anni». Dai docenti di ogni ordine e grado, invece, vengono «valori forti e fortemente educativi», realizzati con un «lavoro di team» da una pluralità di soggetti: «Noi – ha aggiunto – abbiamo sempre difeso il pluralismo proprio per evitare una pedagogia di stato. D’altra parte la libertà di insegnamento viene dalla Costituzione, approvata proprio dopo la fine di una dittatura». Scrima non esclude che ci «possa essere qualche docente che si presenta all’azione formativa con un’idea di indottrinamento: ma quanti sono? E poi, essendo un lavoro di gruppo, un singolo non può dominare l’azione formativa. Una cosa è certa: la scuola ha solo da perdere quando diventa terreno di contrapposizione ideologica. La realtà è che i docenti dicono quei no che i veri genitori non dicono».

Mimmo Pantaleo, segretario generale della Flc Cgil, critica il premier che «non ha nessuna credibilità morale e etica per parlare di educazione e famiglie. Non si può passare dal bunga bunga agli attacchi alla scuola pubblica e alla libertà d’insegnamento. Questo Governo vuole trasformare le scuole italiane in luoghi in cui si nega il pensiero critico e libero. È un ulteriore attacco alla democrazia perchè la scuola pubblica deve rispondere ai principi e ai valori della nostra Costituzione e non agli interessi di Berlusconi. Le famiglie chiedono una educazione all’altezza dei cambiamenti che stanno attraversando le società ma le politiche regressive e i tagli della Ministra Gelmini, ispirate dal furore ideologico contro l’apprendimento di massa, stanno distruggendo la qualità del nostro sistema educativo e formativo».

Per la Rete degli studenti, il Premier ha «ufficializzato l’idea del Governo rispetto alla scuola pubblica, sostenendo che sia inutile e dannosa. Così facendo ci dimostra in maniera chiara che l’opera dei Ministri Gelmini e Tremonti non erano di riforma e di miglioramento del sistema formativo, ma di cancellazione e distruzione della scuola e dell’università pubblica. Altro che merito, qualità e riforma epocale, è chiaro che la scuola pubblica sia un problema per il Governo, in quanto unico spazio rimasto per la formazione di cittadini liberi e con coscienza critica».

Infine il Moige ricorda che i genitori hanno bisogno del «buono scuola che gli consenta di poter scegliere all’interno di un sistema di scuola pubblica, l’istituto scolastico più rispondente alle loro esigenze didattico-educative».

Il Messaggero 28.02.11

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Berlusconi, la scuola pubblica e i valori

Il Segretario Provinciale FLC CGIL Bergamo Tobia Sertori dopo le dichiarazioni del premier sulla scuola pubblica invita insegnanti, famiglie, studenti a non restare immobili.
Come si può non reagire, non far sentire le voci di chi cittadino è, contemporaneamente, soggetto attivo e fruitore di un luogo in cui libero è il pensiero, libero è l’accesso indistintamente da estrazione sociale, religione, sesso, razza, lingua e dove si insegnano i valori della nostra Costituzione e della nostra Repubblica.
La Scuola Pubblica della Repubblica Italiana.
Il presidente del Consiglio è arrivato a dire che ,“gli insegnanti inculcano valori diversi da quelli delle famiglie, c’è bisogno di educare liberamente i propri figli e quindi non essere costretti a mandarli in una scuola di Stato”.
Rabbrividisco e resto sconcertato di fronte a tanta arroganza e spregio della Scuola Pubblica, degli insegnanti, ma anche delle famiglie. Ma ancor più meravigliato dalla mancata reazione della pubblica opinione.
La scuola pubblica, quella della Costituzione Repubblicana, ha costruito il valore del senso civico, della storia di un paese rinato, dopo un’epoca di dittatura, con il contributo e il sacrificio di tanti: cattolici, non cattolici, socialisti, comunisti, liberali; della democrazia e della tolleranza, del valore non dell’individuo ma della società tutta, di uno Stato Sociale per tutti e a garanzia di tutti.
Questa scuola pubblica è stata il centro della crescita del Paese. Fatta di docenti che con passione (e poco salario) hanno dedicato la loro vita all’istruzione e all’educazione dei futuri cittadini.
Da quale pulpito viene il richiamo ai valori della famiglia e al valore civico!!!
Da anni si bombardano adulti, famiglie ed adolescenti con slogan e azioni che hanno, questi sì, distrutto il valore dei legami affettivi, della famiglia, del rispetto della cosa pubblica e delle sue leggi, della solidarietà e tolleranza; innescando individualismo, valore dell’apparire, del più forte sopra il debole; messaggi che disincentivano l’istruzione e la ricerca del sapere come se fosse inutile alla persona e al Paese.
Slogan che da troppo tempo gettano fango su tutti gli operatori della scuola pubblica, slogan che trasmettono, volutamente, il desiderio di conflitto delle famiglie contro la scuola pubblica.
“Pubblico” è diventato valore negativo anziché valore aggiunto. E per farlo l’azione sistematica di questo governo e del Presidente del Consiglio Berlusconi è stata quella di smantellare pezzo per pezzo la scuola pubblica: tagliati 87.400 docenti e 45.000 non docenti, aumentati gli alunni per classe, riformata la scuola danneggiando e riducendo l’offerta formativa e annullando la possibilità di interventi didattici personalizzati, diminuito le risorse finanziarie alle scuole(si chiede costantemente alle famiglie di pagare rette e di contribuire portando materiale da casa). Nessun intervento a favore della formazione degli insegnanti lasciati soli a gestire una riforma ancora oggi confusa (senza contare il blocco dei loro stipendi e del Contratto di Lavoro).
Tutto questo perché e a favore di chi?
Perché? Avere cittadini dove l’istruzione passa in secondo piano e dove la stessa istruzione pubblica è relegata all’essenzialità, fa comodo. Il cittadino consapevole, istruito e formato, lo rende autonomo e capace di analisi e critica e questo fa meno comodo.
A favore di chi? L’istruzione libera affidata al mercato, dopo aver denigrato e distrutto la scuola pubblica, apre le porte a chi potrà accedere a scuole non pubbliche, magari finanziate adeguatamente e costantemente, mentre si continua a tagliare la propria scuola di Stato.
Nulla contro le scuole non statali (ne conosco di ottime) ma, per concludere, come diceva nel 1950 Piero Calamandrei, uno dei padri della nostra Costituzione:
“Prima di tutto, scuola di Stato. Lo Stato deve costituire le sue scuole. Prima di tutto la scuola pubblica. Prima di esaltare la scuola privata bisogna parlare della scuola pubblica. La scuola pubblica è il prius, quella privata è il posterius. Per aversi una scuola privata buona bisogna che quella dello Stato sia ottima……. La scuola della Repubblica, la scuola dello Stato, non è la scuola di una filosofia, di una religione, di un partito, di una setta……
Facciamo l’ipotesi, così astrattamente, che ci sia un partito al potere, un partito dominante……………
Si accorge che le scuole di Stato hanno il difetto di essere imparziali. C’è una certa resistenza; in quelle scuole c’è sempre, perfino sotto il fascismo c’è stata. Allora, il partito dominante segue un’altra strada……
Comincia a trascurare le scuole pubbliche, a screditarle, ad impoverirle. Lascia che si anemizzino e comincia a favorire le scuole private. Non tutte le scuole private. Le scuole del suo partito, di quel partito. Ed allora tutte le cure cominciano ad andare a queste scuole private. Cure di denaro e di privilegi. Si comincia persino a consigliare i ragazzi ad andare a queste scuole, perché in fondo sono migliori si dice di quelle di Stato. E magari si danno dei premi, come ora vi dirò, o si propone di dare dei premi a quei cittadini che saranno disposti a mandare i loro figlioli invece che alle scuole pubbliche alle scuole private.
E poi c’è un altro pericolo forse anche più grave. È il pericolo del disfacimento morale della scuola. Questo senso di sfiducia, di cinismo, più che di scetticismo che si va diffondendo nella scuola, specialmente tra i giovani, è molto significativo. È il tramonto di quelle idee della vecchia scuola di Gaetano Salvemini, di Augusto Monti: la serietà, la precisione, l’onestà, la puntualità. Queste idee semplici. Il fare il proprio dovere, il fare lezione. E che la scuola sia una scuola del carattere, formatrice di coscienze, formatrice di persone oneste e leali.
Deve averlo letto bene il Presidente Berlusconi e ha capito che ciò che Calamandrei prefigurava si poteva fare! Ahimè, nel totale silenzio e rassegnazione di tutti.
E’ necessario ri-partecipare, discutere, animarsi della Politica. E’ necessario che i docenti, i partiti, le associazioni professionali, gli intellettuali, i sindacati escano allo scoperto e siano da traino per ridare alla scuola pubblica il giusto valore che merita, la giusta attenzione e le necessarie riforme finalizzate al bene del Paese e della persona.

Non è possibile restare fermi e zitti di fronte all’ennesima offesa e bugia

Il Segretario Provinciale FLC CGIL Bergamo
Tobia Sertori

da Bergamonews 28.02.11

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