Esistono malattie etniche e l´Italia è caso antico, nella cui storia scenari mobili, talvolta vertiginosi, mascherano un marasma organico: immobili strutture polverose sotto apparenti novità. Gli ultimi due mesi presentano in forme classiche tale quadro. La governa un vecchio dal trucco pesante: era già ricco quarant´anni fa, in affari opachi; cresce a dismisura, parassita della casta politica corrotta. Gli costano un occhio i favori, ma quanto rende il duopolio dell´etere. Persi i protettori, converte l´audience in massa elettorale qualificandosi uomo nuovo, self made, ostetrico della società aperta ai talenti.
L´imbroglio era enorme, spudorato, ma attecchisce: vince tre partite elettorali e in due sfiora la vittoria, risultando dominante anche lì. Avversari fiacchi, talora condiscendenti, non tentano nemmeno d´escluderlo dal gioco politico, sebbene lo inquini attraverso mille tentacoli, accumulando colossali profitti; anzi prestano ossequio al rispettabile interlocutore (nella loro antifona «l´antiberlusconismo non conduce da nessuna parte», e così gli rendono impagabili servizi rimuovendo questioni capitali). Chi fiata più del conflitto d´interessi? Ma i fatti trapelano persino nell´Italia stupefatta dalla droga mediatica. Basta non chiudere gli occhi. Sentenze penali dicono perché l´ascesa fosse irresistibile: pratica magistralmente falso, frode, corruzione; abbatte i concorrenti barando, nella quale arte fa miracoli, molto ammirato da italiani anarcoidi. Cantando «laissez faire», s´ingrassa nel privilegio monopolistico in barba al mercato. I suoi partners, nonché modelli, sono Putin e Gheddafi, le cui mani baciava, con tanti saluti all´Occidente liberalcristiano, del quale s´afferma paladino risuscitando bestie nere comuniste nelle campagne elettorali. Sulla pelle dello Stato laico adesca le gerarchie ecclesiastiche mediante favori inauditi, nemmeno pensabili in era democristiana. Congenitamente antipolitico, perché ignora l´interesse collettivo, coltiva i suoi, mentre lo sventurato paese affonda: da dieci anni il tema dominante dell´agenda governativa e parlamentare è come disfarsi dei processi che trascina; pretende l´immunità o almeno salvacondotti; s´accorcia la prescrizione dei reati; abroga norme che violava; devasta le procedure; ha la fobia dei tribunali. In sette anni due legislature contano 54 interventi pro domino (M. Travaglio, «MicroMega», 1/2011).
Uscito trionfalmente dalla fiera elettorale, aveva un oppositore interno nel traghettatore d´An dalla retorica postfascista al pragmatismo liberale. Ardua operazione d´alta qualità politica. Quanto imperfetta fosse la metamorfosi, lo dicono i fatti. B. gli divora il partito acquisendo i colonnelli; l´estate scorsa regola i conti, una scomunica bolscevica. Erano pose da cabaret i sorrisi; emergono fondi torvi. La secessione genera Fli, più consistente di quanto fosse pronosticata. Trentatré deputati, dieci senatori. Contro l´antagonista scatena giornali e televisioni. Potendo sciogliere le Camere, non esiterebbe, sicuro dell´investitura plebiscitaria, ma teme un governo cosiddetto tecnico, ben visto da uomini suoi la cui lucrosa carriera nel segno dello yes sarebbe troncata. I nuovi numeri lo indicano vulnerabile nella Camera bassa: alle mozioni di sfiducia risponde sul suo terreno, con una campagna d´acquisti; due voti racimolati lo salvano martedì 14 dicembre 2010, 314 contro 311. L´anno nuovo porta uno scacco dalla Consulta: la legge grazie alla quale schivava i dibattimenti inventandosi gl´impegni, è invalida nella parte in cui prevede rinvii automatici; rectius, era bacata da capo a fondo. Il secondo colpo parrebbe letale: indagini penali svelano interni osé nei palazzi del potere; se le era tirate addosso telefonando in questura perché fosse dimessa sine strepitu, illegalmente, una minorenne dalle notti avventurose, con cui intratteneva rapporti (puro benefattore, racconta). La privacy non c´entra, né vengono in causa i suoi gusti, congrui all´immagine che da tanti anni offre rumorosamente al pubblico: l´accusa prospetta gravi ipotesi delittuose; dibattimento e sentenza le verificheranno.
In casi simili anche l´Unto regnante iure divino designa un luogotenente, per avere le mani libere nella difesa, tanto più se il regno navigasse in cattive acque, bisognoso d´assidue cure. Lui no, non lascerà mai spontaneamente Palazzo Chigi, salvo che gli aprano le porte del Quirinale, dove sappiamo quali spettacoli inscenerebbe; e non c´è niente d´azzardato nel definirlo caso clinico. Più refrattario dei tori, notoriamente insensibili alle sfumature estetiche e morali, cambia strategia appena gl´istogrammi segnalano cali nell´opinione pubblica: votassimo domani, perderebbe, quindi la legislatura continui a qualunque costo; l´acquisto delle anime è la partita che gioca meglio; nei casi eminenti tratta in persona; suoi emissari battono i corridoi; e i due voti su cui sopravviveva, appeso al filo, lievitano in senso inverso ai consensi reali. Il target era 325 ma lo supera squagliando i gruppi parlamentari Fli. Martedì 22 febbraio, h. 12.47, il notiziario dà uscenti sei onorevoli. Due fuggiaschi precedenti adducono motivi agli antipodi: uno lamenta che Fli sbandi a destra, l´altro condanna la deriva sinistroide-giustizialista. Costui è un attore prestato alla politica: officiava entusiasta il rito battesimale del nuovo partito, 7 novembre 2010, occhi lustri ex abundantia cordis; non è più lui; denuncia atmosfere da piazzale Loreto, un tentato golpe antiberlusconiano, l´etica «giacobina» nel valutare le soirées d´Arcore. In aspetto faceto i trasformismi coprono scelte terribili. Batte bandiera nera la nave su cui i penitenti risalgono, dopo averla abbandonata gridando sentimenti nobili: non vale più la favola dell´imprenditore geniale sceso in campo perché ama l´Italia e, vista la mummia sotto le bende d´un miserabile professionismo politico, vuol risuscitarla; entriamo nello show down, gioco a carte scoperte. L´Olonese sa d´essere alla partita risolutiva: o l´Italia diventa suo dominio, una repubblica del malaffare condiviso tra gl´integrati nel regime, o l´impero privato rischia tempi bui.
La Repubblica 25.02.11