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"La gita vietata a un alunno Down I compagni di scuola si ribellano", di Giovanna Cavalli

«Che ci viene a fare lui alla gita? Tanto non capisce niente» . Questo avrebbe detto la preside di una scuola di Catanzaro. Convinta, a quanto pare, che Luca (nome di fantasia), un ragazzino di 14 anni affetto dalla sindrome di Down, dovesse restare a casa, mentre i compagni di classe, una terza media, partivano per un’escursione di un giorno a Soverato. Una «uscita di orientamento» , così la chiama la burocrazia, ad un istituto alberghiero. Dove gli studenti, Luca compreso, potrebbero decidere di proseguire gli studi. Un fuoriprogramma didattico inutile per lui, secondo la dirigente. Così almeno racconta l’avvocato Ida Mendicino, responsabile del Coordinamento regionale della Calabria per l’integrazione scolastica, che ha reso nota la storia. I primi a ribellarsi, sostiene, sono stati i compagni. «Senza Luca non ci muoviamo nemmeno noi» avrebbero detto. «Ma perché la scolaresca, al completo, potesse finalmente partire, è dovuta intervenire la polizia, chiamata dai genitori del ragazzo» . Questo accadeva a gennaio. Una decina di giorni fa, riferisce sempre la Mendicino, la preside è entrata nella classe di Luca chiedendo a insegnanti e allievi di non parlare al compagno di gite e attività extrascolastiche «perché tanto non vale la pena e vi dà solo impiccio» . Ma anche stavolta i ragazzi si sarebbero ribellati. Il papà e la mamma di Luca, che hanno altri tre bambini, si sono rivolti al coordinamento per l’integrazione. «Mio figlio no, non si è reso conto di nulla, perciò non ci è rimasto male» , racconta il padre. «Però non è giusto, uno fa tanti sacrifici e poi una persona, che pure ha studiato, si permette di distruggere tutto quanto e di umiliarlo così, davanti agli altri» . La preside racconta una storia molto diversa. «I genitori di Luca li conosco bene, il papà è stato mio alunno, la mamma purtroppo è molto ansiosa, credo che non riesca ad accettare la situazione. Il bimbo l’abbiamo seguito sin dalla materna e mai l’avrei discriminato. Quella mattina purtroppo non era disponibile l’insegnante di sostegno. Vieni tu, allora, ho proposto alla mamma, ma lei ha cominciato a gridare che il figlio doveva andarci da solo, in gita. Che poi non era un gita ma una giornata di orientamento. La polizia? Ma quando mai. Ho chiesto io a un bidello di accompagnare Luca e così siamo partiti. Che poi è stato molto agitato e ha rotto piatti e bicchieri, ma non fa niente» . La preside (A. C., che è in quella scuola da 11 anni ma è dirigente di lungo corso) nega con decisione di aver mai fatto pressioni perché l’alunno venisse escluso da eventuali altre attività. «Sono andata in classe e mi sono raccomandata con gli insegnanti di spiegare bene cos’è l’orientamento. Non serve portarci tutti, soltanto i ragazzi che sono davvero interessati a quel tipo di studi. Non parlavo di Luca in particolare. La mamma prima mi ha detto che lui sogna di diventare cuoco e perciò vuole iscriverlo all’alberghiero di Soverato. Poi mi ha fatto quella scenata. Adesso ha scritto chiedendo che il figlio resti da noi ancora un anno per proseguire l’apprendimento» . La verità la accerteranno gli ispettori.

Il Corriere della Sera 24.02.11

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“Se i ragazzi si ribellano e difendono i più deboli”, di Isabella Bossi Fedrigotti

Grazie a voi ragazzi di quella terza media di Catanzaro che siete stati più generosi, più civili, più veri uomini e vere donne della vostra preside.

Grazie per aver detto no a uscite, no a gite, no a giornate di orientamento fuori sede se uno dei vostri compagni di classe avesse dovuto, per ordini superiori, rimanere a casa: il compagno più debole, tra l’altro, con «sindrome di Down», non dunque una di quelle disabilità che implicano spostamenti problematici, carrozzina, incapacità di muoversi e camminare. Non siete stati soltanto amici e fratelli per lui, ma anche padri e madri perché l’avete protetto, l’avete difeso come solo i migliori genitori sanno fare: senza molti discorsi e con tranquilla, sicura determinazione.

La scena è degna di un grande film, e pare di vederla. La preside entra in classe e, approfittando dell’assenza del ragazzo handicappato, raccomanda alla scolaresca di non mettere al corrente il compagno di future, progettate gite, per evitare problemi alla scuola (l’ultima volta, per imporre la partecipazione — ostacolata dalla stessa dirigente — del figlio down a una giornata di orientamento in un altro istituto della città, i genitori avevano dovuto chiedere l’intervento della polizia); e perché — aggiunge — tanto, lui non capisce. Non vola una mosca, in classe, al discorso della preside, poi si alza una ragazzina e dichiara — chissà se con un filo di voce timida o se con caparbia forza — che in tal caso nessuno di loro avrebbe mai più preso parte a una uscita. E i compagni, uno dopo l’altro, confermano l’annuncio della portavoce.

Tanto spazio per una piccola buona notizia? Sì, perché dà speranza, perché confuta i luoghi comuni che, di questi tempi, vogliono i giovani in maggioranza cinici, crudeli, egoisti, superficiali e con la testa vuota, se non peggio, qualche volta molto peggio. E perché rinsalda una convinzione non così diffusa secondo la quale, pur con tutte le eccezioni, i ragazzi sono, come è giusto che siano, quasi sempre migliori degli adulti. Spiace perciò molto per la preside che non l’aveva capito nonostante la probabilmente assai lunga frequentazione con i giovanissimi, e spiace per le sua proposta con la quale ha tentato di farsi complici i suoi trenta piccoli grandi bravi ragazzi, ma che a loro è sembrata indecente.

Il Corriere della Sera 24.01.11

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