Napolitano censura le modifiche: eluso il mio controllo. Il frequente ricorso alla apposizione del voto di fiducia realizza una ulteriore pesante compressione del ruolo del Parlamento. Bisogna evitare che un testo riguardante essenzialmente il rinvio di alcuni termini si trasformi in una sorta di nuova legge finanziaria dai contenuti più disparati. Quaranta minuti di colloquio sul Colle, con il premier, e il decreto Milleproroghe riprende la via delle Camere. Stoppato. Così com´è, ha spiegato senza tanti convenevoli Napolitano a Berlusconi, io non lo posso firmare. «Viola la Costituzione ed elude il vaglio preventivo che spetta al capo dello Stato sui decreti». Perciò il governo, che sul provvedimento al Senato aveva già incassato la fiducia e a Montecitorio si preparava a fare altrettanto saltando le commissioni, deve ricominciare da capo. Berlusconi, di fronte all´alternativa secca – o lo cambiate o non lo promulgo – fa buon viso a cattivo gioco e si piega al´ultimatum del Colle. Il governo, come si incarica di far sapere un comunicato ufficiale che arriva prima da Palazzo Chigi e poi “confermato” anche dal Quirinale (per evitare equivoci), «conviene sulle osservazioni» del presidente della Repubblica. Napolitano indica perfino una via per sanare la situazione, «una parziale reiterazione del dl originario».
Ma la strada per la maggioranza è in salita, rischia di riaprirsi il vaso di Pandora dei tanti, eterogenei e contrastanti “appetiti” che il Milleproroghe faticosamente teneva insieme grazie proprio al ricorso al voto di fiducia. Dalle quote latte all´aumento del biglietto dei cinema. Dall´aumento del numero degli assessori alla social card. Un guazzabuglio. Una «sorta di nuova finanziaria mascherata, dai contenuti più disparati» l´ha bollata il capo dello Stato nella lettera spedita anche ai due presidenti delle Camere. Fini l´ha letta in aula, e poi ha subito sospeso la seduta impegnata proprio sul Milleproroghe, rinviata ad oggi in attesa delle decisioni del governo dopo lo stop venuto del Colle. «E´ una lettera – chiosa il presidente della Camera – che si commenta da sola». L´opposizione, che aveva presentato centinaia di emendamenti, plaude all´iniziativa di Napolitano. La maggioranza pensa ora ad un maxiemendamento da votare con la fiducia. Il che però potrebbe voler dire non accogliere i rilievi del capo dello Stato, nonostante gli impegni appena presi dal premier.
Proprio il continuo ricorso del governo alla blindatura è infatti nel mirino del capo dello Stato, che denuncia la «pesante compressione del ruolo del Parlamento». Avvertendo che questa è proprio l´ultima volta: «A fronte di casi analoghi, non potrò d´ora in avanti rinunciare ad avvalermi della facoltà di rinvio». Davanti ad un ennesimo decreto-omnibus insomma non scatterà più il cartellino giallo ma quello rosso. Per somma di ammonizioni. Visto che quello di ieri è, quanto meno, il quarto richiamo spedito dal Colle. Si comincia col governo Prodi e si prosegue con Berlusconi, destinatario di tre lettere di rilievi di Napolitano: l´ultima del maggio scorso sugli incentivi fiscali, decreto-panino nel quale il governo infilò (anche allora) le quote latte. La tecnica è sempre la stessa. Il capo dello Stato firma un testo. Ma poi strada facendo, il decreto lievita e gonfia. Una raffica di aggiustamenti in corso d´opera, «norme estranee e incoerenti aggiunte al provvedimento originario» protesta Napolitano. Che alla fine, per la firma, sul tavolo si ritrova un testo stravolto rispetto a quello autorizzato. Una «prassi irrituale», che «contrasta con puntuali norme della Costituzione, delle leggi, dei regolamenti parlamentari».
La Repubblica 23.02.11
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Ma Berlusconi non vuole ritocchi “Il Quirinale lo firmerà così com´è”, di Francesco Bei
Tremonti aveva espresso diversi dubbi sull´opportunità di “appesantire” il ddl. Il governo forzerà la mano a Napolitano. Da quella mezzora di colloquio al Quirinale Silvio Berlusconi ne è uscito infatti convinto che il decreto Milleproroghe, nonostante tutto, possa andare così com´è: «Napolitano – ha riferito il Cavaliere ai suoi – mi ha fatto capire che metterà la sua firma. Il patto è questo: sarà l´ultima volta, ma lo farà. Quindi possiamo andare avanti». Ecco dunque che stamattina, salvo ripensamenti notturni, il governo annuncerà l´intenzione di approvare il decreto contestato nonostante i severi rilievi del Colle.
Una forzatura dunque, che Berlusconi avrebbe anche evitato se non ci fosse stato a spingerlo Giulio Tremonti. «Non voglio rotture con Napolitano – ha infatti confidato il Cavaliere – perché dovremo comunque passare da lui per la riforma della giustizia». E tuttavia il ministro dell´Economia ha valutato che fossero troppo alti i rischi di percorrere la strada alternativa, quella di “spacchettare” le norme contestate e farle viaggiare con un altro decreto. Tremonti è stato chiaro: «Abbiamo compiuto un miracolo, il Milleproroghe c´è costato solo 70-80 milioni di euro. Un altro decreto ci espone al rischio di un assalto alla diligenza, si trasformerebbe in una nuova Finanziaria». L´idea di andare avanti comunque è condivisa anche dalla Lega. «Napolitano – ha spiegato Umberto Bossi – ha detto che questa è l´ultima volta, ma per stavolta ci salviamo ancora».
Certo, la prova di forza non sarà indolore. E non solo per i prevedibili fuochi d´artificio dell´opposizione, che ieri ha offerto collaborazione al centrodestra ma solo a patto che il governo modifichi il decreto. L´ennesimo incidente di percorso conferma infatti il gelo esistente tra il Quirinale e palazzo Chigi. Un problema di cui è consapevole Gianni Letta che ieri, fino a notte fonda, ha provato a trovare una soluzione alternativa. Ma ormai la strada appare tracciata. A spingere per evitare ogni modifica ci si è messo ieri pure Renato Schifani, contrario a far lavorare i senatori anche di sabato per approvare un nuovo decreto a tappe forzate.
E tuttavia il pasticcio del Milleproroghe è il segnale dell´approssimazione e della mancanza di una guida della maggioranza e del governo. Ieri quando la lettera di Napolitano si è abbattuta su Montecitorio, nel Pdl è scoppiato il panico. Nessuno sapeva come muoversi, le indicazioni che arrivavano dall´alto erano contraddittorie. In questo caos si è infilato Gianfranco Fini, durante la conferenza dei capigruppo, innescando un duro botta e risposta con Fabrizio Cicchitto. Dopo aver letto la lettera del capo dello Stato, il presidente della Camera ha provato infatti a dare la sua interpretazione: «Per il rispetto istituzionale che si deve al presidente della Repubblica il dibattito sul decreto si deve interrompere, in attesa delle modifiche del governo». Un´uscita che ha fatto venire il sangue alla testa a Cicchitto: «Non esiste, è una prerogativa del governo decidere se andare avanti o meno. Le faremo sapere qual è la posizione della maggioranza in merito». Un confronto acceso, a cui anche Pier Ferdinando Casini ha voluto offrire il suo contributo. Per una volta coincidente con quello della maggioranza: «In effetti – ha chiosato il leader dell´Udc – il governo può prendere diverse strade, assumendosene la responsabilità. E esponendosi ovviamente al rischio di un rifiuto della firma del capo dello Stato».
In questa confusione, nel governo è iniziato nel frattempo uno scaricabarile su chi fosse il responsabile dell´inserimento di norme così eterogenee nel Milleproroghe. In molti hanno indicato Tremonti, ma gli uomini del ministro dell´Economia ricordano che fu proprio lui il primo a suggerire di fare due diversi decreti per evitare di dar vita a un mostriciattolo. Altri indicano all´opposto lo stesso Gianni Letta, troppo «sensibile» alle più svariate richieste con cui è stato alla fine infarcito il decreto. «La verità – osserva Saverio Romano del Pid – è che quando Berlusconi dice di condividere i rilievi di Napolitano, implicitamente sta dando una scudisciata a tutti quelli che nel governo hanno combinato questo casino. A tutti».
La Repubblica 23.02.11