Pompei nelle mani del peggior dilettantismo politico: la maggioranza, in pieno delirio confusionale, riesce per l’ennesima volta a lasciare il sito nel più completo abbandono. Niente stanziamenti adesso perché, secondo il governo, i fondi potrebbero essere erogati in maniera più compiuta «tra uno o due mesi attraverso un altro provvedimento, che potrebbe essere anche un decreto legge». A spiegarlo è il sottosegretario ai Beni Culturali, Francesco Maria Giro che argomenta così la decisione del governo: «Pur essendo l’emendamento su Pompei di fondamentale importanza per il sito, l’esecutivo ha deciso di ritirarlo per non stravolgere, come è accaduto in passato, la natura del decreto milleproroghe che, come si evince dal nome, dovrebbe contenere solo proroghe». Ufficiale comunque «l’intenzione di ripresentarlo» con l’inserimento di nuove norme che «daranno la possibilità alla Soprintendenza di Pompei di arginare il sistema burocratico, che appesantisce l’azione dei soprintendenti, dandole maggiori poteri per quanto riguarda spese, appalti e cantieri. Nonostante il blocco del turn over del pubblico impiego, la Soprintendenza avrà la possibilità di assumere nuovo personale.
Teniamo presente – ha concluso Giro – che gli scavi di Pompei avrebbero bisogno di almeno una trentina di archeologi». «Si tratta di una bocciatura tecnica e non politica» aggiunge il senatore del Pdl Lucio Malan, relatore dell’emendamento su Pompei. E aggiunge: «Se avessimo saputo della bocciatura avremmo evitato di presentarlo». Infine un riferimento a possibili finanziatori privati: «Se si facesse vivo qualche sponsor il governo sarebbe legittimato a fare un decreto ad hoc che ne consentisse l’immediato coinvolgimento». E ora, da dove si ricomincia? «Bisogna chiederlo al ministro Bondi» conclude il senatore del Pdl. Sempre per il fronte Pdl va registrata la posizione della senatrice Diana De Feo: «Il problema di Pompei non è assolutamente legato ai fondi. I soldi che il sito incassa dalle visite non solo gli bastano ma addirittura gli avanzano, visto che il Tesoro ha ritirato dalle casse degli scavi 70 milioni di euro, perché non erano stati spesi. Decine di architetti e ingegneri dell’università di Napoli sono poi pronti a mettere gratuitamente a disposizione le loro capacità per studiare a fondo la situazione».
Argomentazioni opposte arrivano dal dal Pd che, attraverso Vincenzo Vita (vicepresidente della commissione Cultura al Senato) annuncia che, dopo il ritiro dell’emendamento deciso dal governo, «sarà il Partito democratico a presentare in Parlamento un disegno di legge per la conservazione e la valorizzazione del sito archeologico». Lo stesso Vita, tra l’altro, ha anche dichiarato di non credere all’intenzione del governo di riproporre il provvedimento tra un paio di mesi, e di vedere «nella decisione del suo ritiro dal milleproroghe solo la conferma della totale assenza di una politica culturale negli atti e nelle scelte dell’esecutivo». Stessa linea che arriva dai sindacati. «Quella che sembrava una emergenza nazionale si legge in una nota della Uil – si è invece rivelata una ennesima boutade. Questo significa che ancora non esiste un piano per Pompei». Infine la Cgil Campania che, in una nota, esprime «contrarietà alla posizione espressa dal presidente della Regione circa l’orientamento che il sito di Pompei debba essere gestito più dai privati che dal pubblico».
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«Milleproroghe scandaloso. Solo favori, l’economia è ferma», di Bianca Di Giovanni
Il decreto arriva in Aula senza l’esame delle Commissioni: fatto senza precedenti. Una miriade di micro-misure che non affrontano i problemi strutturali del Paese. Non solo un «Parlamento svuotato», o «ridotto alla paralisi»,ma anche un Paese «dimenticato, dove non si affrontano i veri problemi, quelli di sistema, gli appuntamenti determinanti con l’Europa, la questione del debito», ma si va avanti «con provvedimenti omnibus privi di una visione» e soprattutto ci si concentra sui problemi personali del premier.
«Giustizia, corte costituzionale, processo breve: a questo pensa il consiglio dei ministri, mentre la crisi morde le famiglie, i precari, i più poveri. Credo che non ci sia un precedente simile nel resto del mondo».
Interviene così Michele Ventura, vicepresidente del gruppo Pd alla Camera, alla vigilia della settimana in cui il Milleproroghe «sbarca» in Aula senza essere stato esaminato in Commissione.
Anche questo un fatto senza precedenti. «Così come è senza precedenti il fatto che abbiano annunciato la fiducia in Aula ancora prima di conoscere il numero degli emendamenti. Oppure il fatto che per evitare il voto nelle commissioni (dove i numeri sono in favore delle opposizioni) sia stata la maggioranza a fare ostruzionismo, con il risultato che non è stato dato mandato al relatore per l’Aula. Insomma, il testo arriva in Aula senza esame».
A questo punto che margini ci sono per la battaglia in Aula?
«Abbiamo deciso insieme a tutte le opposizioni di illustrare in modo ampio le nostre posizioni durante la discussione generale, stessa cosa per le dichiarazioni di voto e per l’illustrazione degli ordini del giorno. Immagino che la fiducia venga posta martedì per essere votata giovedì, e che si arrivi al voto finale tra venerdì e sabato. In ogni caso non possiamo accettare uno svuotamento di questo genere del Parlamento» Questa«grande alleanza»che vi unisce contro il Milleproroghe può considerarsi come una prova di quella ipotizzata a livello politico?
«L’alleanza tra tutte le opposizioni ci sarà sia in questa settimana sul Milleproroghe, sia in quella successiva sul decreto sul federalismo municipale.
A livello parlamentare c’è una visione comune. Di qui a parlare di un’alleanza politica ce ne corre, perché giocano altri fattori».
In questo decreto compaiono più tasse (si pensi all’euro in più per il cinema), più poltrone per Roma, un condono per la Campania. Cosa hanno detto i leghisti, che tra l’altro hanno anche il presidente della commissione Bilancio?
«Non hanno detto assolutamente nulla, anche perché hanno evitato di entrare nel merito. Poi non dimentichiamo che la Lega qui ha infilato le quote latte: non poteva certo alzare la voce».
Insomma, si affronta la crisi con micromisure.
È questo che contestate?
«Contestiamo il fatto che in un provvedimento che contiene tutto e di più (anche perché si è eliminata la Finanziaria), non ci sia nulla sulle grandi questioni del Paese. Ad esempio sul Patto di stabilità, sui precari delle Università, con molti atenei, anche di prestigio, che rischiano di andare in tilt, così come sui lavoratori a termine di altre amministrazioni pubbliche. Per non parlare del Fus e dei lavoratori dello spettacolo. Non c’è una visione strategica. La destra non ha in testa il fatto che bisogna affrontare le scadenze europeee, rilanciare la crescita, pensare alle grandi infrastrutture. Ha in testa altro, specie i problemi personali di Berlusconi».
In tutto questo cosa fa il Pd?
«Il Pd vuole far capire al Paese che le priorità sono altre, modificare l’agenda, invertire la situazione.
Questo stato di cose ha provocato stagnazione e un Paese senza futuro. Noi dobbiamo far sapere che sono
possibili formule alternative, stabilendo altre priorità».
L’Unità 21.02.11