Stop allo scorporo delle spese: è allarme per 36 università su 66. Blocco delle assunzioni e conti in rosso. È quanto rischiano oltre la metà (36 su 66) delle università pubbliche italiane dove potrebbero andare in fumo le speranze di chi era a un passo dall’assunzione. E anche una parte dei 1.500 posti da associato all’anno annunciati dal ministro Gelmini con la riforma dell’università. Colpa del Milleproroghe: quest’anno non ci sono i cosiddetti ‘sconti’, le attenuazioni delle spese per il personale che consentivano agli atenei di tenere i conti in regola. Dal 2004 è sempre stata prevista la possibilità di scorporare dagli assegni fissi per gli stipendi una parte dei salari dei dipendenti delle facoltà di Medicina che operano anche nel Servizio sanitario nazionale. Erano ‘scontati’ pure gli scatti periodici e le convenzioni con enti esterni. Un trucco contabile ha consentito agli atenei di non usare più del 90% del contributo statale (l’Ffo) per pagare i dipendenti e alla sanità pubblica di spendere meno per il personale.
Ora però chi va sopra il limite massimo del 90% incappa nel blocco delle assunzioni: lo prevede la legge 1 del 2009 della Gelmini. La norma puntava a colpire gli atenei spreconi, adesso rischia di sparare nel mucchio. Secondo una tabella della Flc Cgil sono 36 le università che sforeranno il 90%. I dati sono riferiti all’Ffo del 2009, fondo che nel 2010 è stato tagliato ulteriormente. A Roma il problema riguarda la Sapienza e Tor Vergata. A Napoli la Federico II, l’Orientale, la Seconda università. Stessa musica all’università di Siena, all’università statale di Torino, alla statale di Milano e nell’ateneo dell’Aquila.
“La riforma Gelmini – spiega Enrico Decleva, presidente della Conferenza dei rettori, Crui – prevede che entro 12 mesi i ministeri dell’Economia e dell’Università emanino un decreto per rivedere il limite del 90% e la materia relativa alla contabilità delle università. Chiediamo che questo decreto venga emanato nei tempi o la situazione sarà ingestibile. Le assunzioni per lo più rischiano di bloccarsi dal 2012, ma in qualche ateneo potrebbero interrompersi subito. Inserire gli sconti nel Milleproroghe avrebbe rappresentato una clausola di salvaguardia per gli atenei”. Le attenuazioni delle spese “non sono un regalo alle università- fanno notare dagli atenei- I nostri medici offrono il proprio operato al servizio sanitario e le Regioni pagano solo una integrazione (pari a un terzo dello stipendio, ndr) che spesso gli atenei anticipano e che ritorna in cassa con molta lentezza o anche mai”.
I rettori sono sul piede di guerra. Alla Camera il Pd, spiega il deputato Giovanni Bachelet, “ripresenterà l’emendamento sugli sconti che al Senato non è stato ammesso”. Ma il Milleproroghe è blindato. Il problema dello stop alle assunzioni riguarderà da subito una decina di atenei. “Se me le bloccano sono pronto a fare ricorso al Tar perché i miei conti sono in regola- annuncia il rettore della Sapienza Luigi Frati-. A noi peraltro sono addossati impropriamente gli oneri per i pagamenti di infermieri e portantini del Policlinico Umberto I. Finalmente verrà fuori che chi ci deve dare i soldi non lo fa e che intanto il governo ci taglia i fondi statali. E’ un bene che gli ‘sconti’ siano saltati: erano una truffa. Voglio vedere se le cose si metteranno a posto”.
A Tor Vergata è allarme: “Siamo una università giovane- commenta il rettore, Renato Lauro- non ci salviamo nemmeno con i pensionamenti: ne abbiamo pochi. Se sforiamo il 90% non potremo fare concorsi né implementare i servizi. Eppure avevamo avuto dei premi dal ministero come ateneo virtuoso”. A Tor Vergata per fare cassa si pensa già ad un aumento delle tasse: 100 euro in più per studente. Il rettore dell’ateneo di Foggia, Giuliano Volpe, annuncia: “Giovedì prossimo in Conferenza dei rettori solleverò il caso. Le università vengono penalizzate su più fronti: prima ci tagliano i fondi, poi chi ha una facoltà di medicina, anche se con il suo personale fa risparmiare il servizio sanitario nazionale, ci rimette, perché anticipa le integrazioni di stipendio dovute dalle Regioni, le rivede tornare indietro con enorme ritardo e va fuori di bilancio perché gli vengono messe pure a carico come spesa interna, anche se non lo è”.
Il Messaggero 21.02.11