Il tricolore sì, va bene,ma Gramsci è troppo. Il direttore di Rai Uno, Mauro Mazza, è un po’ avvelenato con Luca e Paolo, che già ridicolizzarono Berlusconi la prima puntata: «Gli Indifferenti? Avrei preferito Gobetti…».
Gramsci ci scruta dal palco dell’Ariston. L’ultimo colpo di scena di Sanremoè solo l’ennesimo corto circuito nel frullatore postmoderno del festival, oppure davvero è accaduto qualcosa? Ne sarebbe contento, Gramsci, consapevole che è rimettendo insieme i cocci rotti della cultura popolare che si può iniziare a ricostruire il paese, oppure si sta rivoltando nella tomba? Il totem televisivo d’Italia è diventato un «festival dell’Unità», come è stato maliziosamente scritto ieri, oppure la forza di quelle parole – «Io odio gli indifferenti» – sono state uno squarcio formidabile dentro la surreale drammaturgia del fu festival della fu canzone italiana? E poi, che c’entra Gramsci con l’Unità d’Italia?
Insomma, quella scena di ieri l’altro sera in cui, passato il terremoto Benigni, il fondatore del nostro quotidiano nonché uno dei maggiori intellettuali del Novecento è stato sbalzato sul palco degli Al Bano, dei Pippo Baudo e dei Bonolis rischia di entrare permanentemente nella storia del festival: facendo sobbalzare sulla sedia non solo i Masi e i Mazza, ma procurando probabilmente grosse crepe anche nella fragile stabilità emotiva del Grande Capo.
Dal canto loro, Luca & Paolo, che forse oramai stanno stretti dentro la definizione di “Iene” televisive, sanno benissimo di essere al centro di una tempesta perfetta.
Ieri hanno incassato i complimenti pelosi di Mauro Mazza, «bello e suggestivo quanto fatto», che premettevano la critica: «Io personalmente avrei scelto citazioni altrettanto belle come quelle di Piero Gobetti che parlava di rivoluzione liberale». Cioé, spiega il sempre più ineffabile Mazza Mauro, qualcuno che non si fosse compromesso.
Davanti a questa storia fatta a spanne, Luca Bizzarri e Paolo Kessisoglu hanno spiegato con precisione la loro scelta. Dice Paolo: «Avevamo pensato anche alle lettere di Garibaldi, per esempio, ma poi ci siamo indirizzati su Gramsci. È che non mi viene in mente niente che sia più liberale di queste parole sulla responsabilità civile». Non mica cosa da poco: il vero cemento della convivenza in un paese non è un’astratta idea di nazione emenche mai l’astrusa retorica patriottarda, ma è esattamente la responsabilità. La Iena aggiunge: «Quando nel testo di Gramsci c’è il punto che dice ‘cosa avrei potuto fare di meglio’, mi sono commosso. Quel grido lì è assolutamente attuale. Gramsci è un simbolo, e non c’è niente di più libero del senso di responsabilità nelle cose che si fanno». Luca: «Non mi interessa che le parole le abbia scritte Gramsci, mi interessa il valore».
E Morandi? «Io sapevo perfettamente che Luca e Paolo avevano scelto Gramsci», ha detto al Bar dell’Ariston. Piena condivisione e «grande emozione». Mauro Masi, invece, non fiata. Gli tocca dire che apprezza Benigni, ma su Gramsci tace.
Il testo
Questo l’inizio e la fine di “Indifferenti”, scritto di Antonio Gramsci (“La città futura, numero unico, 11 febbraio 1917”), e recitato in larga parte giovedì sera sul palco dell’Ariston da Paolo e Luca
«Odio gli indifferenti.Credo che vivere vuol dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino, e parteggiare. Indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita.
Perciò odio gli indifferenti. L’indifferenza è il peso morto della storia. È la materia inerte in cui affogano spesso gli entusiasmi più splendenti, è la paludeche recinge la vecchia città e la difende meglio delle mura più salde. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. E’ la fatalità; e ciò su cui
non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio
costruiti; è la materia bruta che si ribella all’intelligenza e la strozza. (…)
Odio gli indifferenti anche per ciò che mi dà noia il loro piagnisteo di eterni
innocenti. Domando conto ad ognuno di essi del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di
ciò che non ha fatto.E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime».
da L’Unità