Volendo uscire dalla polemica, ormai separata, anche se non superata, sui risvolti di faccende personali del presidente del consiglio e dei suoi amici, non è facile ridurre a struttura l’insieme delle notizie concernenti le ultime vicende di cronaca politica. L’intrigo politico e morale rimane in un insieme di dibattiti, anche remoti, che riguardano l’assetto – se si può dire così – di costume degli italiani e dell’intero paese.
Il comportamento di Silvio Berlusconi non è questione degli ultimi mesi. Certi suoi atteggiamenti hanno suscitato sensazioni non sempre plausibili e gradevoli anche tra coloro che politicamente sostengono la politica del Pdl. Il problema nasce dall’importanza del personaggio, protagonista della politica nazionale, i costumi e la rilevanza dei problemi che si pongono non come questioni di condotta privata ma di vita pubblica.
Si tratta di un quadro di vari avvenimenti che vanno molto oltre le questioni giudiziarie che hanno un loro percorso, con possibili esiti diversi e imprevedibili, per imboccare quello dei principi più generali.
Tra questi il più importante è il rapporto che deve avere un capo politico, un sovrano, un presidente con la sua condotta personale privata.
Lo sforzo iniziale di separare i due ambiti non ha fatto che aggravare le cose, perché ha spinto ad approfondire un tema che pareva calato in una ipocrita ovvietà.
Quando ci fu il primo caso di escort o personaggi assimilabili, il primo tentativo fu spezzato dallo stesso pontefice che, ricevendo i consiglieri della fondazione De Gasperi, ripetutamente insistette sulla esemplarità dello statista trentino proprio nella rispondenza tra della sua vita privata con quella pubblica. Si notò allora una certa crisi di impostazione generale perché alcuni prelati e alcuni esponenti politici cattolici già si erano mossi sulla linea “separatista” dei due ambiti di presenza personale di ciascuno.
Poi, più recentemente, in un brevissimo scritto di padre Enzo Bianchi su Famiglia cristiana, prima di Natale, richiamava l’attenzione sul problema senza fare riferimenti alla cronaca. Il priore di Bose ricordava che san Giovanni Battista era stato decapitato da Erode per aver richiesto al tetrarca una condotta morale “personale” e “privata”, e non a una questione di indirizzo politico.
Nelle ultime settimane l’argomento ha trovato un’improvvisa e fertile diffusione, imponendosi anche ai cattolici giustificazionisti ad ogni costo del “principe “.
La questione generale si è così allargata moltissimo, perché ricevendo i cattolici messaggi insistenti di coerenza sui principi non negoziabili, limitati in genere alla bioetica, adesso si trovano a che fare con una prassi di comportamenti morali neppure negoziabili, almeno come principi. Nelle apologie del presidente si è insinuato spesso il principio dell’incoerenza col quale si è cercato di collocare apertamente anche quello ormai screditato della separazione tra vita morale e vita politica.
La questione diventa più importante se si tiene presente l’esortazione insistente del magistero della Chiesa sulla partecipazione dei cristiani all’attività politica.
Questo significa un ritorno di attualità della politica dei cristiani, “cristianamente ispirata” che non è una formula, ma la base di una scelta che non impedisce intese politiche con chi cristiano non è, ma che suppone uno schieramento etico di grande rilievo e responsabilità.
Ha alla base la coerenza tra la vita morale privata e quella pubblica.
Insomma pare che la crisi attuale, in apparenza solo di costume e limitata, abbia aperto anche uno schieramento “di scuola” che sta tormentando i fedeli nelle parrocchie che spesso non trovano guide adeguate.
Un compito comunque si impone per i cattolici democratici che si sentono legati ancora a un messaggio che se è politicamente deperito, culturalmente e teologicamente è ancora imponente. Si potrebbe discuterne di più e meglio.
da Europa Quotidiano 18.02.11