Inizia l’era Gelmini Super poteri ai rettori
Con la «riforma» del governo, entro l’autunno gli atenei dovranno dotarsi di nuovi Statuti. Così in tutta Italia è partita la corsa alla scrittura delle nuove regole. Senza nessuna collegialità, a fare tutto sono i rettori Gli atenei scrivono (e approvano) i nuovi statuti A Bologna e Torino le proteste degli studenti. A poco più di un mese dall’approvazione della riforma Gelmini, l’aria che si respira negli atenei è tesa e malmostosa. All’università di Padova si vuole riscrivere in fretta lo statuto adeguandolo alle norme del governo sugli organi accademici. Il rettore Giuseppe Zaccaria ha chiesto ai ricercatori e al personale amministrativo di inviare ad una casella mail le loro osservazioni sulla legge fondamentale che regolerà a lungo la vita dell’ateneo. Non è stato trovato il tempo sufficiente per modificarla con la partecipazione degli studenti e dei docenti come richiesto da una petizione sottoscritta da oltre 500 persone ad inizio febbraio. Il problema della democrazia interna è stato così ridotto al più classico dei thread caotici e risentiti che di solito si leggono nelle mailing list.
Anche a Venezia il rettore Carlo Carraro sta accelerando i tempi. L’approvazione dello statuto è stata calendarizzata il 23 marzo al senato accademico. La commissione composta da 5 professori ordinari, 2 associati, 1 ricercatore, 3 studenti, 2 amministrativi e 2 esterni, più il rettore Carraro, aggiornerà le linee guida decise da tempo, inserendo nello statuto i compiti del rettore e le funzioni del Senato e del Consiglio di amministrazione stabiliti dalla riforma entrata in vigore il 29 gennaio scorso. Non occorre avere studiato gli atti della Costituente per capire l’anomalia di questa situazione. In quale altro ordinamento giuridico la stessa persona – il rettore – presiede l’organo costituente (la «commissione statuto»), gli organismi parlamentari (il Cda e il Senato accademico) e dirige lo «Stato» (cioè l’ateneo)?
Nell’università è possibile, visto che si tratta di una comunità che si auto-governa. Solo che questo governo è ispirato ad un principio monarchico per di più rafforzato dalla riforma Gelmini che accresce il potere dei rettori, pur avendone limitato la durata del mandato.
Non è di questo avviso il rettore dell’università di Trieste Francesco Peroni che alla monarchia assoluta ha preferito quella costituzionale. Come a Palermo, anche nel capoluogo friulano si è scelto di organizzare una votazione a suffragio universale alla quale hanno partecipato tutte le componenti della comunità accademica, dagli studenti agli ordinari fino al personale amministrativo. Nessuno però si illude che questa lotta cambierà l’orientamento di una riforma che modella l’università in un potere ancora più piramidale e oligarchico. Molti si limitano a chiedere l’applicazione delle norme nella maniera più corretta possibile.
Per questa ragione a Torino i rappresentanti degli «studenti indipendenti» si sono dimessi dal senato accademico. Non si sentono «miseri poltronai» e chiedono al rettore Pellizzetti nuove elezioni studentesche per evitare il prolungamento delle cariche di due anni. Solo uno dei due ricercatori della Rete 29 aprile è inoltre entrato nella commissione statuto. «È una farsa» ribadiscono gli studenti bolognesi che oggi contesteranno il rettore Ivano Dionigi che ha composto la commissione «già nel marzo dell’anno scorso senza includere i ricercatori».
Stessa discussione si è svolta tra i ricercatori dell’università di Messina dove il rettore Francesco Tomasello ha cooptato nella commissione i ricercatori di sua scelta, ignorando una petizione firmata dal 35 per cento dei docenti. In mancanza di una vittoria simbolica nella battaglia per la democrazia nell’università, cresce il sospetto che la cooptazione trasformerà i ricercatori no-Gelmini nei guardiani della riforma. Un paradosso dal quale molti, a ragione, vorrebbero tenersi lontani.
Negli statuti che dovranno essere approvati entro giugno ci sono altri assenti. Sono i ricercatori precari, gli «invisibili» come si auto-definiscono quelli dell’università della Calabria, che non hanno titolo per entrare nella rosa stabilita dai rettori, anche se il loro numero è almeno pari a quello dei docenti regolarmente assunti.
A Firenze si sono auto-candidate due precarie «per dare voce ad una categoria che la legge Gelmini precarizza definitivamente». Nessuna di loro è stata inserita in commissione.
Il Manifesto 17.02.11