Un presidente del Consiglio rinviato a giudizio per reati gravissimi (concussione e induzione alla prostituzione minorile) è un caso unico nella storia recente delle democrazie occidentali. Ma gli italiani dovranno convivere con questa novità almeno per qualche tempo. Berlusconi, com’era prevedibile, non ha alcuna intenzione di dimettersi e, anzi, il suo istinto gli suggerisce di inasprire l’offensiva contro la magistratura che vuole «rovesciare l’ordinamento democratico» e offende la «sovranità del Parlamento».
Può essere questa un’efficace linea di difesa? È difficile dirlo, ma di sicuro è la strada verso un devastante scontro istituzionale. Equivarrebbe a condannare il paese a una prolungata e dolorosa prova, destinata a lasciare dietro di sé tante macerie. Un premier imputato che trascorre le sue giornate a contestare i magistrati giudicanti è senza dubbio un uomo che non ha tempo per governare e probabilmente non ha più l’autorità per farlo con efficacia. Il che determina un drammatico problema.
Colpisce l’episodio di ieri. Berlusconi che dopo settimane di assenza pubblica si reca in Sicilia per un sopralluogo sulle coste dove approdano i rifugiati. E che rientra in gran fretta a Roma, saltando la conferenza stampa, per rinchiudersi a Palazzo Grazioli con gli avvocati: senza più aprir bocca per il resto della giornata. E il suo silenzio inquietante è lo stesso di altri protagonisti dello psicodramma. Tace il Quirinale, ad esempio, in attesa di eventi. E tace per ora Umberto Bossi, il grande alleato che dovrà decidere prima o poi dove collocare la Lega. È questo che ci attende nelle prossime settimane? Un presidente del Consiglio asserragliato in un bunker, impegnato nella battaglia finale con i magistrati, mentre l’Italia è su tutte le prime pagine dei giornali internazionali e non per nobili ragioni?
Al momento la situazione è bloccata e nessuno sa come risolvere il rebus. È evidente che la legislatura è finita e che il Parlamento si avvia a una sostanziale paralisi, ma il ricorso alle elezioni anticipate, da molti auspicato, richiede una serie di passaggi che ancora non s’intravedono. Finché Berlusconi sentirà di avere dietro di sé quei 315 deputati che alla Camera gli garantiscono la maggioranza, e che finora sono rimasti compatti, si sentirà incoraggiato nella sua volontà di resistere.
Peraltro non ha torto Marco Pannella quando ricorda che le elezioni anticipate si svolgerebbero in questo momento con la vituperata legge che «nomina» i parlamentari scelti dalle segreterie dei partiti. Ma tant’è. Il sistema politico arriva all’appuntamento cruciale in condizioni di profonda debolezza e questo è uno degli interrogativi che gettano una luce sinistra sul dopo-Berlusconi. Uno scenario che, in assenza di elezioni a breve termine, prenderebbe forma con un’impronta tutta giudiziaria. Un’ulteriore anomalia.
A questo punto la speranza è di limitare i danni dello scontro istituzionale. La logica e il buonsenso suggeriscono che Berlusconi si presenti ai giudici il 6 aprile e gestisca il processo sforzandosi di smontare le accuse. Forse si tratta solo di un’illusione. Ma il premier non può non rendersi conto che il quadro si va deteriorando e che troppi fronti sono aperti. Anche la Lega, che pure sostiene l’alleato, si sta ponendo il problema del «dopo». Non è un tradimento, ma un atto di realismo. Che passa presto o tardi attraverso il voto anticipato.
Il Sole 24 Ore 16.02.11