Da oggi chiunque voglia dare una prospettiva alla straordinaria energia che ha attraversato le piazze di domenica dovrà far questo: mettere le donne al centro della politica. Più donne nella politica e più politica per le donne. Il punto fondamentale, come sempre, è l’ascolto. La comprensione: quel che è accaduto domenica è un segnale precisissimo e potente, bisogna coglierlo. La reazione patetica del presidente del Consiglio e il silenzio di chi lo circonda mi fa pensare che a destra l’abbiano capito benissimo. Alle opposizioni di centrosinistra la piazza – questa piazza che non è di nessuno – chiede concretezza, risposte chiare, cambiamento. Unabella sfida. Comincerei a pensare a due o tre cose da fare, fossi un leader politico, poche perché se no non sono vere. Da leader sindacale questo intendo fare, di questo abbiamo discusso stamani in segreteria Cgil: mostrare che c’eravamo e abbiamo capito, dare un segno nell’attività quotidiana. Faremo una grande campagna contro le discriminazioni sulla maternità, riprenderemo la legge sulle dimissioni in bianco, metteremo la donna al centro del discorso sul lavoro precario”.
Susanna Camusso, partiamo dalla piazza. È stata una sorpresa la dimensione del successo? «No, non è stata una sorpresa la quantità di persone. Piuttosto la diffusione, la presenza contemporanea in tutte le piazze d’Italia e in molte nel mondo. È il segno di un sentire diffuso, una novità anche per il movimento delle donne. Una richiesta corale, collettiva che giustamente gli osservatori stranieri interpretano come una grande svolta: la differenza di lettura dei giornali stranieri da quelli italiani, ieri, era impressionante. La trasversalità l’avevamo cercata. Quel che è accaduto è che la trasversalità ha portato in piazza non solo persone che si riconoscono in uno o nell’altro schieramento politico ma moltissima gente che a manifestare in strada non va mai, e che probabilmente si è nel tempo allontanata – delusa – dall’impegno collettivo. È stata la manifestazione meno organizzata che io abbia mai visto, non c’erano autobus né raduni, era una monumentale somma di persone singole. Molte donne mi hanno fermata per dirmi: io lo votavo. Ecco, c’erano tutte: anche quelle che al principio lo hanno votato. Si è rotto domenica il teorema su cui Berlusconi ha fondato il suo successo: il fascino che esercita ed il legame col mondo femminile. Non ha più la piazza, non ha più le donne».
Questo giustifica il nervosismo, la paura, la reazione che non coglie nel segno? «Sentirlo dire “io amo le donne” mi è sembrato patetico. Tra l’altro cerca sempre e solo di salvare se stesso. Dire che erano radical chic significa non avere occhi per vedere. La verità è che non hanno la chiave per una risposta, questa volta: era una moltitudine di popolo, gli è stata sottratta la parola popolo. Fra riempire un teatro e riempire un paese c’è differenza. Il silenzio dei suoi alleati mi pare eloquente. Loro hanno capito. Cominciano a dubitare. Hanno il problema della loro collocazione futura. Lui si arrocca, e ci sarà il rischio del veleno nella coda. Il suo mondo però si sta sfaldando. Questo potrà avere conseguenze politiche concrete». La maggioranza si batte nelle urne.
Potrà il movimento tradursi in una trasformazione dell’elettorato? «Certamente Berlusconi non si dimetterà per le piazze. Ma il movimento, se si consolida, può minare il fondamento del suo contratto. Su cosa fonda l’arroganza del non mi dimetto? Sui numeri parlamentari di cui dispone perché è in grado di mettere a disposizioni nuovi posti in futuro. Ma se il popolo non gli garantisce più il consenso, quale sarà allora la sua merce di scambio? »
Se il movimento si consolida, lei dice. Come, e scandendo quali rischi? «Dandosi appuntamenti ravvicinati e non dimenticando mai il segnale di domenica. Che è prima di tutto una richiesta di amorpatrio, questo è in fondo il tema della dignità e del rispetto delle regole, della giustizia uguale per tutti dei diritti e dei doveri. Un paese che si possa amare di sentimento ricambiato. Poi una richiesta di cittadinanza per le donne: bisogna rimettere le donne al centro della politica, questo è il vero punto. In un modo nuovo, vero, autentico, forte. L’8 marzo, il prossimo appuntamento, sia il giorno della dignità del lavoro. Non a parole, in pratica: parliamo delle retribuzioni delle donne, di lavoro povero e invisibile, parliamo di conflitti in tema di maternità, di precarietà. È una linea che ci porta diritti al grande tema che abbiamo di fronte: non considerare la famiglia il fondamento della società, ma la persona. Perché finché la famiglia sarà al centro i diritti delle donne saranno subordinati a quello che si vuole sia il loro ruolo dentro le famiglie. Le donne al centro del nucleo familiare. Anche le politiche di conciliazione in questo senso possono essere una trappola che inchioda le donne a quel destino dato: ti diamo più tempo per fare tutto perché diamo per scontato che tu debba fare sia questo che quello. Il carico familiare è comunque tuo. Partiamo allora dalla paternità obbligatoria, per esempio. Donne e uomini come persone con gli stessi diritti e gli stessi doveri».
Un tema che chiama all’appello anche le forze di opposizione. «Naturalmente. Un tema complesso e delicato, ma la realtà in cui viviamo lo è e dobbiamo affontarlo».
Crede che sia possibile un cambio di mentalità e di passo, in chi fa politica, senza un ricambio generazionale? «Il ricambio generazionale è la risposta più semplice. Certo che la richiesta c’è, non si può ignorarla. Ma le piazze di domenica erano di nonne e nipoti, non credo il tema fosse solo quello del rinnovamento della classe politica. Della sua capacità di ascolto, piuttosto. È una piazza che vuole risposte, che pretende di essere ascoltata, che cerca chi la sappia rappresentare con gesti semplici e concreti. Chi capirà questo entrerà in un tempo nuovo. Del resto indietro ormai è impossibile andare, davvero. Indietro non si torna».
L’Unità 15.02.11