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"Genitore unico", di Massimo Gramellini

Sei favorevole a che un single possa adottare un bambino, come auspicato dalla Cassazione? Risponderò con la consueta chiarezza: sì no però dipende. Sono stato cresciuto da un genitore solo, maschio per giunta, ma a partire dai nove anni: prima avevo ancora la mamma ed è nel periodo dello svezzamento, asseriscono gli psicologi, che la presenza di entrambi ha un ruolo cruciale. Se fossi nato ieri, non mi farebbe impazzire l’idea di un genitore unico, che fra l’altro non vedrei quasi mai perché sarebbe costretto a lavorare dal mattino alla sera per mantenermi (come le coppie, peraltro, in virtù del poco part-time e dei bassi stipendi). Se però l’alternativa fossero l’orfanotrofio o la strada, sarei felicissimo di finire fra le braccia di un single, alleviando la mia e la sua solitudine.

È ovvio che il mio aspirante mono-genitore dovrebbe partire dal fondo della lista d’attesa, dentro la quale si macerano da tempo immemorabile tantissime coppie. E i filtri che subordinano la mia assegnazione alle sue cure dovrebbero essere più selettivi, ben sapendo che rimarrebbe comunque una percentuale di rischio, perché neppure un congresso di assistenti sociali potrà mai misurare con certezza la sua predisposizione ad amarmi. Come sempre in materia di diritti civili, non si tratta di stabilire un obbligo, ma di togliere un divieto. Non di concedere un privilegio, ma di offrire una possibilità. In un mondo dove la scienza, più rapida e classista della legge, consente già a un single che ne abbia i mezzi economici di fabbricarsi il suo pupo su misura.

La Stampa 15.02.11

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“Dalla parte dei bambini”, di CHIARA SARACENO

I bambini hanno, prima ancora che diritto, necessità che qualcuno assuma nei loro confronti responsabilità e comportamenti genitoriali, ovvero la responsabilità di dare loro un posto nel mondo.

E dove possano stare e crescere con fiducia. Alla maggior parte dei bambini ciò è garantito dai genitori naturali, ovvero da quelli che li hanno concepiti. Ma per molti bambini, perché privi di genitori, o perché questi non sono in grado di fare fronte alle proprie responsabilità, chi si prende questa responsabilità sono altri: uno o più nonni, degli zii, dei genitori adottivi, o anche dei genitori affidatari. Opportunamente la Convenzione dei diritti del fanciullo non specifica la forma istituzionale che devono avere questi “altri”: se debbano essere per forza una coppia, e se questa debba essere eterosessuale e sposata. Perché nelle culture e pratiche familiari presenti nei vari paesi la responsabilità genitoriale può essere più o meno condivisa e la coppia avere maggiore o minore centralità. Ciò che conta, per un bambino, è di essere accolto. Tanto più quando è segnato da un’esperienza di abbandono o di perdita.

Bene quindi ha fatto la Corte di Cassazione a consentire, a differenza di quanto era avvenuto qualche anno fa in una situazione analoga, almeno l’adozione speciale nel caso di una donna sola che da anni aveva fatto legalmente (secondo le leggi di altri paesi) da mamma adottiva alla sua bambina. Ci si potrebbe
chiedere che cosa sarebbe accaduto in caso contrario: portata in Italia dalla sua mamma questa bambina sarebbe dovuta tornare, per legge, a uno status di orfana ed essere messa in adozione di nuovo? E bene ha fatto anche a segnalare al legislatore italiano l’opportunità di allargare le maglie dei potenziali “adottandi” secondo la normativa standard, non restringendoli più solo alle coppie (eterosessuali) coniugate al momento della delibera di adozione. L’adozione standard, infatti, a differenza di quella speciale (ormai riservata a casi di adozione di adulti, o di minori che hanno ancora rapporti con i genitori) integra pienamente il bambino adottato nella famiglia che lo accoglie, dandogli non solo genitori, ma anche nonni. Ed i genitori sono più pienamente tali, senza dover sottostare alla sorveglianza di un tutore legale. Non si tratta tanto di allargare il diritto ad avere un figlio, quanto, come avviene in molti altri paesi, di allargare il bacino di potenziali genitori, nel pieno rispetto delle procedure italiane di verifica e istruttoria poste a garanzia dell’interesse prioritario del bambino.

Non è sempre detto che due genitori, che siano naturali o adottivi, siano meglio di uno. La capacità genitoriale non è il risultato di un rapporto di coppia (e solo se questo è sanzionato dal matrimonio), ma in primo luogo una capacità che emerge e sviluppa nella interazione con un bambino. Il rapporto di coppia può rafforzare questa capacità nella comune assunzione di responsabilità. Ma può anche configgere con essa, o farvi resistenza. Quindi non può essere assunto come un requisito dogmatico imprescindibile. Soprattutto, quando un bambino privo di genitori incontra l’amore e l’accoglienza di un adulto, è alla capacità genitoriale di questi, e alla sua adeguatezza ai bisogni di quel bambino che occorre guardare. Sapendo che crescendo quel bambino, come tutti gli adottati, dovrà elaborare sia la conoscenza della perdita o abbandono dei genitori, sia l’acquisizione di almeno un genitore.

La Repubblica 15.02.11

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