Domani in piazza per dirlo. C’è in quello che sta avvenendo una importante assunzione di responsabilità collettiva che deciderà della reale modernità del nostro Paese. Molte hanno capito che questo è il momento di fare massa critica, in cui non hanno spazio ortodossie da difendere, diversità da ostentare. Non ricordo, negli ultimi anni, un così vasto movimento di opinione, una così ricca produzione di documenti pubblici, una così numerosa serie di iniziative come quella che in questi giorni si manifesta tra le donne italiane.
Perché stavolta non è in gioco né il destino di una legge per quanto definitiva sotto il profilo sostanziale e simbolico come fu quella sulla violenza sessuale, né resistono divisioni politiche e di concezione di vita e di ruolo, come accaduto con la legge sul divorzio.
Stavolta in gioco c’è l’identità stessa delle donne. L’essere donne italiane così come in lunghi decenni esse hanno definito nella più strabiliante delle diversità se stesse. Che poi la rappresentazione mediatica risulti un’altra è altro affare. Attiene al fatto che, per ritardo culturale, perdurante ottusità e manifesto condizionamento da parte della potente macchina mediatica a disposizione del berlusconismo, le donne italiane sono raramente rappresentate per quelle che sono, relegate invece, se va bene, al ruolo di vittime, deboli, soggetti minori.
Ma le donne sono altro. Conciliano lavoro, figli e impegno. Studiano perché vogliono imporsi nella società, non puntano tutto sulla loro avvenenza, molte amministrano bene pubblico senza aver dato niente in cambio.
Basterebbe guardarle, appena guardarle con sollecita curiosità (e sono oltre la metà della popolazione), per verificare di quale stupefacente innovazione esse sono state capaci: nell’istruzione, nel lavoro, nell’ovviare ad un welfare insufficiente e arretrato, nella propria libertà, nella rottura di schemi e ruoli giovando alla società italiana, al suo benessere, alla sua crescita e sviluppo, alla sua stessa sprovincializzazione.
Oggi affidiamo la formazione dei nostri figli a insegnanti donne, la cura della nostra salute a medici donne, la guida delle imprese, i nostri diritti e i nostri interessi a manager, magistrati e professionisti che sono donne. Con percentuali, peraltro, destinate a crescere, poiché le diplomate e le laureate superano già statisticamente i maschi . Anche per questa ragione, oggi, proprio oggi, le donne italiane avvertono che la misura è colma e pretendono che la propria identità non sia
manipolata. Oggi, in questi giorni e in queste ore, le donne cercano visibilità per pretendere rispetto e ottenere il riconoscimento della loro dignità.
Si tratta di una questione politica, non privata.
Capiamo bene che questa pretesa, la consapevolezza di sé che l’accompagna e la competizione che le don-
ne ormai praticano in campi tradizionalmente maschili, possa far paura. Che induca timore di perdere ruolo e posizioni, in particolare nelle classi dirigenti maschili del nostro Paese.
E si capisce che la condivisione, il dover mettere a disposizione almeno la metà delle occasioni e delle opportunità economiche (di lavoro, di carriera e di potere) irrigidisca chi oggi le detiene prioritariamente. Ed allora, è preferibile per alcuni fare finta di niente. Evitare di guardare e di vedere. Ed è naturale che il Presidente Berlusconi, che del potere ha concezione arcaica, totemica e illimitata, non possa comportarsi che come fa. Ammettendo, ai luoghi delle opportunità come graziosa concessione, solo le donne che lui stesso sceglie, certificandone ad un tempo avvenenza e capacità. Quanto alle altre, esse sono archetipo delle donne che non infastidiscono, ma “allietano” soltanto. Con l’esibizione dei loro corpi in tivù, con lo sfruttamento del loro corpo in uno spazio che non è più solo privato, perché, per quanto se ne lamenti, la separazione tra pubblico e privato è stata frantumata dallo stesso Berlusconi, che dell’ esibizione della sua fisicità ha fatto uso politico, e dei suoi affari privati e familiari ha fatto elemento di discussione pubblica.
Ma, appunto, le donne italiane reclamano oggi di essere raffigurate, e di raffigurarsi a loro volta, per quello che sono. E non è più la rivendicazione della signoria su se stesse, per quanto così precaria si sia rivelata in questi anni la signoria di ciascuna sul suo proprio corpo. Oggi è altro: è la pretesa, perentoria, di essere rappresentate, come genere collettivo, per quello che si è e si è diventate. E stimate, e rispettate per davvero,
per quello che, liberamente, si è scelto di essere. Trastullo per nessuno, oggetto di sfruttamento per nessuno, soggetto invece dignitoso e libero, riconosciuto nella sua dignità e nella sua libertà. Tutte. Se fossimo abituate a pensarlo, forse ci renderemmo conto anche di quale potente strumento di integrazione questo potrebbe diventare per le donne che in Italia vengono da altri Paesi, da altre culture, da altre religioni. Mi colpiva, nella conversazione avuta qualche giorno fa con una giovane donna velata, intelligente e simpatica, il fatto che mi confidasse quanto le mancasse la possibilità di frequentare una piscina per praticare il nuoto. In Italia, diceva, sono tutte promiscue, e la mia religione mi chiede di non frequentarle. E aggiungeva che forse solo una cooperativa di donne avrebbe potuto offrire, a sé ed alle sue sorelle, quella possibilità. Non ci conoscevamo, ma le era venuto spontaneo pensare che solo altre donne avrebbero potuto riconoscerle quel bisogno e quella occasione. Non è un caso.
Ma in quello che sta avvenendo in questi giorni c’è anche altro di nuovo. Ce lo racconta il fatto che ogni appello, ogni lettera, ogni documento venga riconosciuto, e firmato, da chi a sua volta ne ha scritto un altro e firmato altri ancora.
E che questo accade spontaneamente, con la naturalezza con cui si risponde ad un’urgenza, con cui la si condivide.
Non c’è fatica politica, ma c’è, in ciò stesso, un fatto politico. Donne diversissime hanno compreso che, appunto, questo è il momento e confidano, giustamente, nella forza di una massa critica in cui non hanno spazio ortodossie da difendere, diversità da ostentare. Così in piazza il 13 febbraio ci saranno, ci saremo, tutte. Bene. Molto bene. Questo ci dice anche che la forza e la fatica spese negli anni, da tante e tante donne per se stesse e per le altre, non si sono consumate e disperse, come a volte abbiamo temuto, ma anzi, hanno dato sicurezza di sé a nuove generazioni di donne e si manifestano oggi, di fronte all’urgenza, come coscienza collettiva. Ancora di più, come coscienza nazionale.
Se mai fosse stata solo questo, oggi non è piu’ una questione di genere, un rivendicare diritti e spazi. L’ interlocuzione e le adesioni di tanti uomini alle tante manifestazioni, testimonia di un tema che si impone, finalmente, come generale.
La dignità delle donne come cartina di tornasole della crescita, dell’ identità, del futuro italiano: c’è in quello che sta avvenendo una importante assunzione di responsabilità collettiva che deciderà della reale modernità del nostro Paese.
L’Unità 12.02.11