La festa per i 150 anni dell’Unità d’Italia spacca il Paese. La politica si muove in ordine sparso in direzione del 17 marzo, giorno della ricorrenza, e i cittadini assistono allo spettacolo di un governo che non riesce a decidere se la festa sarà tale davvero, se si dovrà o no andare a scuola o al lavoro. Su questo punto è scontro aperto. Si duella in Consiglio dei ministri, ma non solo. La prima pietra l’hanno scagliata Lega e Confindustria. Secondo il leader del Carroccio Umberto Bossi, «la festa è sentita in modo diverso nelle varie aree del paese, meglio lavorare il 17 marzo». Stessa linea in Confindustria, per altri motivi legati alla spese (ferie pagate) e alla produzione. E ora è bufera sulle parole del ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini che, pur ricordando che a decidere sarà il Consiglio dei ministri della prossima settimana, auspica che le scuole il 17 marzo restino aperte: «Il miglior modo di celebrare è dedicare questa giornata alla riflessione sui valori dell’Unità. Credo che nella scuola questo obiettivo non si raggiunga stando a casa. Non si deve equiparare l’anniversario a una qualsiasi giornata di vacanza. È giusto invece dedicare le ore di lezione all’approfondimento e alla conoscenza della nostra storia unitaria».
Anche Giuliano Amato, presidente del Comitato dei garanti per le celebrazioni dei 150 anni dell’Unità d’Italia, è sulla stessa linea. Ma negli istituti è il caos: solo pochi giorni fa palazzo Chigi aveva deliberato la festa nazionale per il 17 marzo. «E quando si parla di festa nazionale – spiega Paolo Mazzoli, dirigente del 115° circolo di Roma – si sa che le scuole restano chiuse. Per questo noi, anche su richiesta delle famiglie, avevamo deliberato un ponte sottraendo un giorno alle vacanze di Pasqua. Ora dovremo rifare tutto. O forse no. Non si sa». La scuola romana non è un caso singolo e chi non aveva programmato il ponte aveva comunque rimesso mano, in molti casi, al calendario scolastico per poter inserire la nuova festività. Al di là dei problemi organizzativi, però, secondo l’Associazione nazionale dei presidi guidata da Giorgio Rembado «le scuole il 17 marzo devono stare chiuse. Storicamente la vacanza in questi casi aiuta a sottolineare l’importanza della ricorrenza. Per parlare di Unità d’Italia in classe ci sarà tempo prima e dopo il 17. E comunque il giorno perso sarà facilmente recuperabile. Ora arrivino chiarimenti al più presto».Il panorama non sarebbe completo se anche i presidi non si fossero spaccati: «È sbagliata la posizione dell’associazione nazionale presidi. Il 17 bisogna andare a scuola – si stacca la Disal, Associazione professionale dirigenti scuole statali e paritarie – Se l’economia non si può fermare a fare memoria di questo bene, perché si deve fermare la scuola?». L’amarezza resta. «Hanno rovinato anche questa festa, questo spettacolo non si doveva vedere», chiosa Domenico Altamura preside del liceo Righi di Bologna. Cisl Scuola e Flc Cgil per una volta sono all’unisono: le scuole vanno chiuse il 17. Azione Universitaria, associazione studentesca di centro destra, chiede che anche gli atenei lo siano e minaccia “picchetti” in caso contrario. Ignazio la Russa, ministro della Difesa, entra in conflitto la collega Gelmini e si dice pronto a presentare un “decreto” apposito in Consiglio dei ministri. «La verità – dice – è che se il 17 marzo non fosse festa completa, la ricorrenza del 150° dell’Unità d’Italia sarebbe una festa di serie B come le tante già esistenti che spesso passano purtroppo quasi inosservate. Se come giustamente sostiene anche Giuliano Amato occorre un nuovo provvedimento legislativo, ben venga un decreto che proporrò al Consiglio dei ministri. Confido che anche il Presidente della Repubblica possa non essere contrario». Più mite il ministro del lavoro Sacconi: «Da un lato – dice – occorre consentire alle imprese che stanno uscendo da due anni molto difficili di poter rispondere alla ripresa dei mercati, dall’altro c’è l’esigenza di celebrare la ricorrenza dell’Unità». Per il leader di Fli Gianfranco Fini le polemiche in corso sono «incomprensibili», mentre Gianni Letta auspica che «si ritrovi lo spirito unitario». Ma la miccia ormai ha preso fuoco: in Cdm la prossima settimana sarà battaglia. Intanto sul fronte scuola, a proposito di spaccature Nord-Sud si registra un altro dato: ieri la Lega ha presentato un emendamento al Milleproroghe in Senato per bloccare le graduatorie degli insegnanti fino al 31 agosto 2012 anche se la Consulta le ha dichiarate illegittime. Nell’emendamento si parla di rispetto della sentenza che boccia l’inserimento in coda degli insegnanti che si trasferiscono. Ma il Carroccio spera che intervenga prima la legge del senatore Mario Pittoni che riforma il reclutamento regionalizzandolo. Nell’attesa meglio bloccare per legge le migrazioni di insegnanti.
Il Messaggero 11.02.11
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“17 marzo, festa della disunione”, di Mariantonietta Colimberti
Fra le tante polemiche nella maggioranza, ecco quella sulla festività per il 150°.
Operai che azionano presse cantando l’inno di Mameli, saldatori che discettano amabilmente di Mazzini e Cavour, magazzinieri che accatastano merci col fazzoletto rosso al collo e gli occhi rivolti al tricolore appositamente steso dai padroni per far vivere loro la ricorrenza «con autentico e orgoglioso senso di partecipazione», come promesso dalla presidente di Confindustria Emma Marcegaglia.
E, nelle scuole, che la Gelmini vorrebbe tenere aperte, tanti bambini attoniti a guardare film sul Risorgimento o magari a piangere sul “tamburino sardo” del libro Cuore, mentre le maestre si sforzano di inculcare loro i valori fondativi di una nazione che forse ha davvero smarrito se stessa. O che, come pensano altri, non è mai nata come “popolo”.
Potrebbero essere questi alcuni degli scenari del 17 marzo, se venissero accolte alcune delle idee in circolazione in questi giorni. Le polemiche sulle celebrazioni del 150esimo anniversario dell’unità d’Italia stanno infatti facendo emergere proposte ricche di varianti e distinguo, alcune delle quali formulate senza sprezzo del ridicolo.
Basterebbe già questo a indurre alle più pessimistiche considerazioni circa lo scarso “orgoglio italiano”, di cui evidentemente una parte della classe dirigente del paese è lo specchio, ma c’è anche molto altro. Perché sulla questione di come celebrare la festa, a poco più di un mese dal 17 marzo, si stanno scaricando tutte le tensioni, i tentativi di recuperi di visibilità, il bisogno estremo di alcuni ministri di non restare inchiodati nella difesa del drago di Arcore.
Innanzitutto degli ex An Ignazio La Russa e Giorgia Meloni. Nel loro caso, la difesa vibrata della festa “piena” e con chiusura di scuole, fabbriche e uffici, pur appartenendo sicuramente a un’impostazione culturale radicata, ha anche il sapore di un’ultima ridotta di fronte all’offensiva leghista. L’attacco della ministro della gioventù a Umberto Bossi nell’ultimo consiglio dei ministri risponde all’esigenza di affermare l’esistenza in vita di una componente politica annichilita nel Pdl, l’estremo legame con una identità ormai dismessa. Ad analoghi percorsi sono riconducibili i toni forti usati dal ministro della difesa all’indirizzo dei vertici di Confindustria, che «dovrebbero ascoltare le migliaia di imprenditori e commercianti disgustati» dall’ipotesi di una festa in tono minore.
Non indietreggiano di un passo i leghisti, che del resto da mesi avevano messo la ricorrenza nel mirino (e su questo erano arrivati ripetuti richiami del capo dello stato, Giorgio Napolitano), non si sa se per farne oggetto di baratto o, comunque, di una qualche contrattazione, visto che il senatùr aveva arruolato Cavour tra gli amici federalisti, pur dicendosi infastidito dalla retorica dei festeggiamenti.
Una sconfessione netta è arrivata a Mariastella Gelmini dall’associazione nazionale presidi: «Le scuole vanno chiuse per celebrare degnamente i 150 anni dell’unità d’Italia e sottolineare l’importanza della ricorrenza anche agli occhi dei ragazzi». Se ne riparlerà nel prossimo consiglio dei ministri, ha promesso Maurizio Sacconi, che ha indossato le vesti del mediatore per spiegare che devono essere affrontati due problemi della stessa rilevanza, quello riguardante le imprese e quello che concerne la ricorrenza.
In un’intervista al Corriere della Sera di ieri Carlo Azeglio Ciampi ha espresso tutto il suo sconcerto, si è detto «avvilito» e ha parlato di «deserto morale». «Assolutamente d’accordo con il presidente Ciampi» Vannino Chiti: «Un paese che finge di risparmiare risorse e di aumentare la sua competitività ignorando le ragioni di una festa nel giorno nel quale ricorre il compleanno del suo essere nazione rinuncia ad avere un futuro degno».
da Europa quotidiano 11.02.11