Questo è un paese con una classe politica di serie C, che viene trattato come tale da un manager globale. Noi ormai stiamo diventando, e sempre più diventeremo, al pari della Serbia, della Polonia, della Turchia ». Nella lettura dello storico e sociologo di Torino Marco Revelli su quanto sta accadendo in casa Fiat, non c’è spazio per improbabili, futuri rilanci, nè per margini di inconsapevolezza sui processi che stanno guidando al futuro la casa automobilistica. E la sua, a Torino (e non solo), è una lettura condivisa. Sono in molti a pensare che il benedetto incontro tra Marchionne e Berlusconi (al momento fissato per sabato) avrebbe dovuto avvenire molto tempo fa, e che adesso sia ormai troppo tardi per una vera trattativa, nessuno crede davvero ai mezzi passi indietro dell’amministratore delegato sul trasloco della testa del gruppo a Detroit in capo a unpaio d’anni.Nonperchè la politica in sè non potrebbe sparigliare le carte, «la politica insegna che nulla è ineluttabile», come dice Revelli, ma perchè questa classe dirigente ha già ampiamente dimostrato la propria impotenza (indifferenza?) rispetto ai processi industriali, «un vero e proprio suicidio politico di fronte a Marchionne». La politica tutta: il governo, certo, ma pure l’opposizione. «Ancora oggi – attacca Giorgio Airaudo, responsabile auto Fiom Cgil, in prima linea nelle battaglie di Mirafiori – ci sarebbe la possibilità di costringere Marchionne a cambiare strada. Pensiamo a quello che ha fatto Obama con Chrysler, alla Merkel, che ha creato le condizioni perchè Gm si tenesse Opel (e non fosse ceduta a Fiat, ndr). Anche in Italia sarebbe stato possibile, e proprio il centrosinistra a Torino haperso l’occasione per dimostrarlo, per provare ad agire in mododiverso dal governo nazionale. Invece abbiamo una rappresentanza politica debole, che ha assunto un ruolo notarile, capace solo di prendere atto della realtà, di trasformare tutto in ineluttabile». La stoccata è per il sindaco Chiamparino, e ovviamente per il governatore regionale Cota: «Per essere credibili sulle politiche industriali, bisognava attaccare sia il governo sia Marchionne – continua Airaudo – Non si può continuare a descrivere come un fatto oggettivo quello che dice il più forte. Se parliamo di fatti oggettivi, allora diciamo anche che Chrysler avrebbe dovuto fallire: e invece non è accaduto, perchè Obama non ha voluto». La parola ineluttabile non la vuole sentire nemmeno Luciano Gallino, sociologo del lavoro a Torino, esperto di Lingotto: «Se la testa Fiat finisse a Detroit sarebbe perchè parte di un progetto preciso. E per Torino si tradurrebbe in un’enorme sconfitta. L’unica speranza rimarrebbe quella di salvare dei posti di lavoro». Anche perchè, Gallino lo chiarisce bene, là dove c’è la sede legale di un’impresa ci sono anche i designer, i progettisti: tutte persone che lavorano intorno all’auto, e proprio nei campi in cui gli italiani dovrebbero poter eccellere. E invece no, anche un altro pezzo di Made in Italy andrebbe perduto. «E non si parli di quattro sedi regionali, una europea – rincara Gallino – Tutte le case automobilistiche le hanno, ma la sede legale è una sola, ed è quella la testa dell’impresa». Maè «normale» che Fiat traslochi, sacrificando la piccola Torino sull’altare del mercato globalizzato che tutto tritura, lo stesso che la Lega accusa di nefandezze ma contro il quale non ha mosso un dito? «Tutti i grandi costruttori di auto hanno mantenuto la sede legale nel paese d’origine, pur avendo aperto stabilimenti in tutto il mondo », taglia corto Gallino. «Probabile ci siano interessi, pressioni da parte di investitori istituzionali, di soggetti americani. È un progetto che risponde a prospettive di profitti, di ricavi, di scambi. E la storia che il mondo è cambiato ormai è venuta a noia anche ai ragazzini». Se la Fiat dal glorioso passato si avvia ad un misero futuro da filiale Chrysler, non è un destino cinico e baro a volerlo. «Solo l’ingenuità di qualcuno ha fatto credere fosse Fiat ad acquistare Chrysler», dice Revelli. «Ed è solo scandaloso un governo che si fa sentire a fatti avvenuti, conferma peraltro di tutte le preoccupazioni, e di una situazione arrivata al limite».
L’Unità 08.02.11
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“Fiat a Detroit:sabato vertice con Berlusconi e Marchionne”, di Giuseppe Vespo
Bisognerà aspettare sabato mattina per sapere cosa voleva dire esattamente Marchionne quando ha lasciato intendere di un possibile trasloco della sede centrale del Lingotto da Torino a Detroit,dopo la fusione con Chrysler. Le rassicurazioni riportate nelle ultime ore dal ministro Sacconi, e le ipotesi su una Fiat a più centri direzionali, in Italia non hanno tranquillizzato nessuno. Anzi, hanno alimentato le polemiche. Il numero uno del Lingotto arriverà venerdì dagli States e il giorno dopo, a oltre un anno dall’ultimo vertice, sarà a palazzo Chigi con Berlusconi, Gianni Letta, Tremonti, Sacconi e Romani, a discutere del famoso,ma in realtà poco conosciuto piano «Fabbrica Italia». Lo ha annunciato ieri sera Paolo Romani: «Chiederemo a Marchionne di rimanere in Italia con una grande iniziativa industriale», ha detto il titolare dello Sviluppo economico, che ha aggiunto di aver già sentito al telefono il numero uno del Lingotto: «Si è parlato di 20 miliardi ma si è parlato anche di automobili costruite in Italia, della permanenza nel nostro Paese della progettualità della strategia industriale». «Il settore automobilistico – ha detto il ministro – tra diretto e indotto rappresenta in Italia il10% del Pil nazionale ed è quindi per noi un pilastro fondamentale ». Alla Fiat proporremo «un percorso condiviso con istituzioni e parti sociali, quantomeno quelle che a loro volta vogliono condividere», ha aggiunto il ministro del Lavoro Sacconi. Parole che non convincono Susanna Camusso, tornata a sostenere la necessità di una «grande mobilitazione » del Paese. E alla Fiom, che da tempo invoca lo sciopero generale, la leader della Cgil ha detto: «Non serve proclamare lo sciopero generale oggi e nemmeno tra qualche giorno. Serve sapere che quando potremo farlo lo faremo grande». Mentre riferendosi al tavolo di sabato, Camusso ha commentato: «Mi pare siaunincontro che avviene molto in ritardo rispetto alle nostre richieste ». Ad ogni modo, «mi aspetterei che se c’è un confronto sul piano Fabbrica Italia della Fiat fossero convocate anche le organizzazioni sindacali ». Anche perché, conclude la sindacalista, «non mi sembra che ci siano state sinora buone prove dell’efficacia del governo nei confronti di questa azienda nell’ottenere conoscenza degli impegni e di quali sono le prospettive». Meno duro il leader della Cisl Raffaele Bonanni, che ammette di aver provato qualche «fastidio » per l’atteggiamento di Marchionne, masi dice convinto che finora «tutti i profeti di sventura sono stati smentiti, a Pomigliano e a Mirafiori ».
L’Unità 08.02.11
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“Marchionne sabato da Berlusconi e Sacconi taglia fuori la Cgil”, di P.G.
Epifani e Bonanni a Repubblica tv. Il segretario Cisl: sgradevoli le parole dell´ad del Lingotto. L´incontro tra Silvio Berlusconi e Sergio Marchionne sarà sabato a Palazzo Chigi. Dopo una giornata di contatti tra gli staff del governo e del Lingotto è stato il ministro dello Sviluppo, Paolo Romani a dare l´annuncio: «L´appuntamento è per sabato mattina con il Presidente del Consiglio, Gianni Letta, Tremonti e il sottoscritto».
Sarà un incontro in cui il governo «chiederà all´ad della Fiat un percorso condiviso con le istituzioni e con le parti sociali, quantomeno quelle che a loro volta vogliono condividere», dice il ministro del lavoro, Maurizio Sacconi, quasi a prevedere la scelta di Marchionne di escludere la Cgil da un eventuale incontro sul piano di Fabbrica Italia. Per il ministro del lavoro Cisl e Uil devono essere considerate un interlocutore privilegiato perché vanno considerate un solo sindacato: «Cisl e Uil – dice Sacconi parlando a Bologna – sono come aggregato il primo sindacato italiano» e rappresentano «la maggioranza dei lavoratori che hanno accettato di prendersi la responsabilità del bene collettivo». Per questo, secondo Sacconi, «è necessario mantenere il dialogo con i sindacati che sono riformisti» mentre la Cgil e la Fiom perseguirebbero «una logica luddista».
La risposta a Sacconi è arrivata poco dopo direttamente da Susanna Camusso: «Noi siamo in ritardo? Lui invece ha un´impostazione nuovissima. Infatti la Fiat va negli Stati Uniti. La verità è che è il governo ad arrivare in ritardo dopo aver appoggiato Marchionne. Vorrei sapere che cosa dice Sacconi ai lavoratori che hanno votato sì. E vorrei saperlo anche dal sindaco di Torino e dal Presidente del Piemonte». Una risposta viene da Piero Fassino, uno dei candidati sindaco del Pd torinese: «Se l´accordo fosse stato bocciato a Mirafiori, avremo fornito un alibi per il disimpegno di Fiat».
Che la situazione sia difficile per il fronte che aveva appoggiato il progetto di Marchionne a Mirafiori e Pomigliano lo dimostrano le stesse dichiarazioni di Raffaele Bonanni intervistato da Repubblica tv: «Anche a me dà fastidio e trovo sgradevole questo comportamento così sbrigativo di Marchionne», dice il leader della Cisl aggiungendo che «questo atteggiamento, in un paese come l´Italia, ha effetti negativi». Anche se, aggiunge Bonanni, «dire che la Fiat sposterà baracca e burattini a Detroit è fare allarmismo». «Purtroppo – replica, ancora a Repubblica tv, Guglielmo Epifani – assistiamo alle conseguenze dell´assenza di una politica industriale che ha spinto Marchionne verso Obama». «Quel che conta sono gli investimenti e le assunzioni in Italia – taglia corto Roberto Di Maulo, leader del Fismic – tutto il resto sono chiacchiere».
Molto si dovrebbe capire nei prossimi giorni. Non solo nell´incontro di Palazzo Chigi, quando, secondo il ministro Paolo Romani, «il governo chiederà che il quartier generale di Fiat resti a Torino». Ma anche lunedì quando il governo incontrerà i segretari generali di Cgil, Cisl e Uil per discutere il futuro di Termini Imerese, lo stabilimento siciliano che Marchionne ha deciso di chiudere. Martedì lo stesso Marchionne parlerà alla Camera di fronte alla Commissione attività produttive mentre il 16 il governo andrà in Sicilia per il contratto di programma di Termini.
La Repubblica 08.02.11