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Si faccia chiarezza sulla Fiat

Sabato prossimo il governo vedrà Marchionne per sapere i destini statunitensi della Fiat. Fassina: “L’incontro va allargato a tutte le parti sociali. I lavoratori Fiat hanno il diritto di sapere che cosa c’è esattamente dentro il progetto Fabbrica Italia”. MF: L’abbandono di Torino potrebbe costare alla fabbrica un esborso di 4 miliardi
Sabato prossimo è fissato un nuovo incontro, a distanza di 13 mesi da quello precedente, tra la Fiat e il governo. Saranno messi su tavolo i piani dell’industria automobilistica italiana e fatta luce sulle intenzioni dell’a.d. Sergio Marchionne di trasferire la Casa torinese negli Usa.

E così finalmente si siederanno allo stesso tavolo Silvio Berlusconi e Sergio Marchionne: uno che ride sempre anche in mezzo all’alluvione e l’altro che non ride mai. Ma mentre poco più di un anno di un anno fa si discusse sul piano di rilancio degli stabilimenti italiani questa volta la scelta “Italia” potrebbe essere marginale. Da questo nuovo incontro si potrebbero conoscere le vere intenzioni dell’amministratore delegato della Fiat dopo le dichiarazioni di venerdì scorso quando, da San Francisco, ventilava l’ipotesi di un trasferimento negli Stati Uniti del quartier generale del nuovo gruppo che nascerà con la fusione di Fiat con Chrysler.

Un allarme talmente evidente da spingere anche il ministro Sacconi ad accorgersi che oltre al fumo potrebbe esserci anche l’arrosto: “Fiat è un patrimonio fondamentale del nostro Paese – ha dichiarato il ministro del Lavoro – che per sopravvivere deve crescere nella dimensione globale e allo stesso tempo mantenere radici profonde nel nostro Paese, non solo in termini di capacità produttiva, ma anche direzionali e progettuali”.

Dello stesso parere anche Paolo Romani, il ministro “meno attivo” per lo Sviluppo economico. Nella sua dichiarazione di facciata ha confermato il grande peso politico che gli è stato affidato: “Chiederemo di investire nel nostro paese. Di rimanere con la testa ed il cuore nel nostro paese”. Come se i destini della Fiat, dei suoi lavoratori e di tutto l’indotto pari al 10% del Pil nazionale si gestissero con “testa e cuore” e tutto sarebbe a posto! Manca solo il vissero felici e contenti a Villa Macherio…

Da notare che mentre il governo si mostra ottimista (forse è davvero convinto che liberarsi della Fiat non sarebbe poi così male) il quotidiano MF lancia un nuovo allarme sulle conseguenze che l’abbandono di Torino potrebbe recare alla Fiat. In caso di trasferimento azionisti di minoranza avrebbero il diritto di chiedere il recesso dai titoli del gruppo e questo potrebbe portare la società a un esborso da circa 4 miliardi di euro. Circa il 66% del capitale della Fiat è in mano a soci terzi al gruppo Agnelli e “in base al terzo comma dell’articolo 2437 del codice civile potrebbero chiedere il recesso a un prezzo pari alla quotazione media del titolo negli ultimi sei mesi (5,6 euro) in caso di spostamento all’estero della sede del gruppo”. Sebbene esistano diversi sistemi per “aggirare” l’obbligo Diversi sistemi per aggirare l’obbligo sarebbero comunque a disposizione. Sabato 12 febbraio è comunque previsto un incontro tra l’amministratore delegato di Fiat Sergio Marchionne, il ministro dell’Economia Giulio Tremonti e il premier Silvio Berlusconi per discutere del futuro del gruppo dopo le dichiarazioni del manager italo-canadese in merito a un possibile spostamento della Fiat negli States. Il settore automobilistico, evidenzia stamane il quotidiano MF, pesa per circa il 10% del Pil italiano fra impiego diretto e indotto.

Per Stefano Fassina, responsabile Economia e Lavoro del Pd “l’incontro a Palazzo Chigi tra il Governo e l’ad della Fiat, previsto per il fine settimana, va allargato a tutte le parti sociali. I lavoratori e le lavoratrici del gruppo Fiat, dopo promesse roboanti e scelte drammatiche, hanno il diritto di sapere che cosa c’è esattamente dentro il progetto Fabbrica Italia. Il confronto dovrebbe servire a chiarire le prospettive degli stabilimenti e delle funzioni produttive da salvaguardare in Italia. Dovrebbe servire a chiarire quando, dove e come saranno investiti i restanti 18,7 miliardi di
euro dei 20 promessi nel lancio di Fabbrica Italia. Purtroppo, anche in questa vicenda il presidente del Consiglio non ha alcuna credibilità. Il suo governo e i suoi ministri non hanno la minima idea di politica industriale in generale e per l’automotive in particolare”.

“Eppur si muove: finalmente il ministro Romani scopre che il settore dell’auto è un pilastro l’industria nazionale”.Questo il primo commento di Cesare Damiano, capogruppo Pd in Commissione Lavoro alla Camera. “Ci auguriamo che anche Tremonti condivida questa opinione e si comporti come i suoi colleghi di Stati Uniti, Germani e Francia che, a sostegno del settore, hanno investito importanti risorse. In assenza di una politica adeguata l’Italia sconterà una concorrenza sleale da parte degli altri paesi che porterà a inevitabili e pesanti ripercussione su occupazione e produzione industriale”.

A.Dra
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