Ha sorpreso l´atteggiamento della Lega di fronte al pareggio “subìto” dal provvedimento sul federalismo municipale in commissione Bicamerale. Invece di aprire la crisi, come aveva minacciato in precedenza, ha mantenuto l´appoggio al governo e al Premier.
Rinviando ancora l´ipotesi di elezioni anticipate. Tanto da indurre Massimo Giannini, su questo giornale, a parlare di una “Lega democristiana”. Cioè: tattica e “politicante”. Come i deprecati partiti della Prima Repubblica. DC in testa. È, peraltro, vero che la Lega riproduce fedelmente la geografia elettorale della DC delle origini. Forte nelle province periferiche del Nord. Soprattutto in Lombardia e Veneto. D´altronde, nel 1982, Antonio Bisaglia, allora leader influente della DC, in una intervista affermò che: “il Veneto sarebbe maturo per uno Stato federalista, ma questo Stato, centralista e burocratico, alla mia regione l´autonomia non la concederà mai”. Un linguaggio leghista, prima che la Lega calcasse la scena politica. Bisaglia guidava i “dorotei”, la corrente che aveva posto al centro della rappresentanza gli interessi locali. Il mestiere interpretato, in seguito, dalle Leghe regionaliste e, a partire dagli anni Novanta, dalla Lega Nord. Con altro linguaggio e altri mezzi. Ma con una “missione” molto simile: la rivendicazione nei confronti di Roma, il centro dello Stato centrale e del centralismo statale. E, parallelamente, la protesta contro il Sud assistito. In rappresentanza non più del Veneto o di singole regioni, ma del Nord tutto intero. Trasformato in Patria padana.
Il Federalismo è la bandiera che riassume tutte queste rivendicazioni. Più che un progetto definito, un mito. Una parola d´ordine. Potrebbe funzionare alla grande come slogan in caso di elezioni anticipate. Principale tema dell´agenda in campagna elettorale. Impugnato contro i nemici del Federalismo e quindi del Nord. In questo strano Paese, dove tutti – o quasi – sono federalisti. A parole. Assai meno nei fatti. (A conferma delle radici democristiane che affondano nel nostro retroterra.) Contro l´opposizione che si è opposta. E contro gli alleati del PdL, troppo meridionali per promuovere il federalismo in modo veramente convinto. Contro Berlusconi, incapace di “mantenere le promesse”. Tuttavia, le preoccupazioni della Lega, in caso di elezioni anticipate, non derivano dal risultato, ma dal “dopo”. Come suggeriscono le precedenti “ondate” della storia elettorale leghista, ricostruite da Roberto Biorcio nel suo bel saggio dedicato alla “Rivincita del Nord” (pubblicato da Laterza, pochi mesi fa). Ai successi elettorali del 1992 e del 1996, infatti, è puntualmente seguita una fase di declino rapido e profondo. Nel 1994: la sua base di voti venne ridimensionata sensibilmente dall´ingresso sulla scena politica di Silvio Berlusconi – alleato e al tempo stesso concorrente. Per cui nel 1996 la Lega affrontò le elezioni da sola contro tutti – e in primo luogo contro Berlusconi – innalzando il vessillo della secessione. Anche per distinguersi, visto che, come oggi, tutti, o quasi, si definivano “federalisti”. Ottenne un risultato clamoroso, oltre il 10% e 4 milioni di voti al maggioritario. In termini assoluti: il massimo della sua storia. Salvo ritrovarsi, tre anni dopo, marginale e debole. Dal punto di vista politico ed elettorale. (Alle Europee del 1999 scese al 4,5%, alle politiche del 2001 non raggiunse il 4%). Per la precisione: debole dal punto di vista elettorale perché marginale dal punto di vista politico. Gran parte dei suoi elettori, infatti, non erano interessati alla secessione. Ma votavano Lega per altre ragioni, molto più concrete. Come minaccia per contrastare il “centralismo” dello Stato e per ottenere risorse. Per pesare di più, non per andarsene. Una Lega “esclusa” dai centri del potere, ininfluente, dal punto di vista politico, diventava “inutile”. Ebbene, lo stesso rischio si presenta oggi. Dopo la “terza ondata” elettorale, avvenuta nel 2008 (oltre l´8% dei voti validi) e proseguita nel 2009 (10,2%). Quando è tornata al governo, insieme a Berlusconi e al Pdl. Dopo le elezioni regionali del 2010, in cui ha conquistato due regioni: il Veneto e il Piemonte. È una Lega di governo che deve la sua forza elettorale, (cresciuta ancora, secondo i sondaggi, fino all´11-12%) proprio a questo ruolo. È il partito che governa nel Nord e in Italia. Il sindacalista della “questione settentrionale”. Buona parte dei suoi successi dipendono da ciò. Il mito padano, la minaccia secessionista non vanno sottovalutati. Perché alimentano, a loro volta, divisione sociale, antagonismo verso lo Stato nazionale e le istituzioni. Ma la Lega li usa, anzitutto e soprattutto, a fini simbolici, per generare identità e appartenenza presso i militanti e la base del partito. Come il “federalismo”, considerato una panacea nel Nord, ma un rischio nelle altre zone del Paese. Tuttavia, se la Lega perseguisse davvero la secessione e l´indipendenza padana rischierebbe la risacca elettorale seguita alle ondate del 1992 e del 1996. Perché, come ha sottolineato ieri Eugenio Scalfari, larghissima parte degli elettori del Nord è totalmente indisponibile a questa prospettiva. Secondo il recente Rapporto su Gli italiani e lo Stato”, curato da Demos per “la Repubblica” (dicembre 2010), la quota di elettori delle regioni “padane” che considera utile dividere il Nord dal Sud non supera il 20%, ma sale al 37% fra i leghisti. Due terzi dei quali, dunque, rifiutano questa idea. Non solo: 8 elettori leghisti su 10 considerano l´Unità d´Italia un fatto (molto o abbastanza) positivo. La Lega deve la sua crescita elettorale soprattutto ad altri motivi.Perché interpreta le rivendicazioni locali. Perché si è radicata nel territorio, è al governo in numerose amministrazioni (fra l´altro, ha eletto circa 400 sindaci), occupa posizioni di potere nelle fondazioni bancarie e in altri enti (come ha rilevato Tito Boeri). Perché interpreta – e talora moltiplica – le paure.Più della Secessione, è il partito della Sicurezza (come difesa dalla criminalità e dall´immigrazione). Ciò che le ha permesso, fra l´altro, di sconfinare oltre i confini tradizionali, espandendosi nelle regioni rosse. La Lega: riesce a presentarsi come opposizione “nel” governo. Restando al governo. A gridare contro Roma. Con i piedi ben piantati a Roma. È una Lega nazionale, a cui la Padania va stretta, anche se la invoca. E difende Berlusconi, nonostante tutto, perché, al di là dei proclami, teme la secessione.
La Repubblica 07.02.11
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