Meno donazioni, per importi più modesti, preferibilmente in contanti e premiando la conoscenza diretta dei beneficiari piuttosto che le campagne di comunicazione e fund raising. È il ritratto di un paese in difficoltà quello che emerge dall’annuale ricerca della società IPR Marketing per Il Sole 24 Ore sulle erogazioni al no profit nel periodo natalizio. La quota di italiani che, durante le festività, hanno fatto una o più elargizioni è scesa dal 49% del 2010 al 38%, con un calo più marcato nella fascia d’età compresa fra i 35 e i 54 anni, dove i benefattori sono solo il 35%, e nelle regioni centro-meridionali, ferme al 34 per cento. Non solo: tra le file dei donatori salgono dal 38% al 46% quanti hanno offerto piccole somme (meno di 20 euro), mentre cede 12 punti percentuali (dal 28 al 16%) la fascia dei versamenti tra i 21 e i 50 euro e, soprattutto, cala dal 16 al 7% il segmento di punta, con valori compresi tra i 100 e i 200 euro.
L’indagine, condotta da IPR Marketing (www.iprmarketing.it) per Il Sole 24 Ore su un panel di mille cittadini residenti (per la scheda metodologica www.agcom.it) offre come prima spiegazione di questi risultati la crisi economica che, evidentemente, ha dispiegato effetti negativi anche sulla propensione alla generosità. Non a caso, interrogato sulle ragioni della minore o mancata donazione, il 59% del campione ha indicato come causa la minore disponibilità finanziaria. Nel gennaio dell’anno scorso, quando pure la crisi era già conclamata, le cose erano andate diversamente e, anzi, la quota dei donatori era cresciuta, sia pure di poco, rispetto al 2009.
«Il clima psicologico era diverso – spiega Antonio Noto, direttore di IPR Marketing e curatore del rapporto – e lo slancio della solidarietà era anche frutto del particolare momento vissuto dal paese, mobilitato solo pochi mesi prima dal sisma in Abruzzo».
Lo scenario di questa nuova rilevazione, meno condizionato da variabili emotive, racconta invece di una significativa riduzione dei fondi. Lo stesso Noto, però, mette in guardia dal rischio di una lettura troppo superficiale dei dati: «Nel profilo dei donatori non si è prodotta una divaricazione accentuata dal punto di vista sociologico. Le ridotte possibilità di spesa si sono tradotte in un incremento dei versamenti minimi e nella contrazione di quelli più onerosi, ma entro un modello di partecipazione sostanzialmente omogeneo. È vero, gli anziani hanno contribuito più dei giovani, i residenti al nord più di quelli al sud. Ma nell’attuale quadro economico lo squilibrio delle cifre appare fisiologico e, nel caso della popolazione giovanile, lo scarto ridottissimo rispetto ai segmenti più virtuosi può risultare addirittura sorprendente».
Per quanto riguarda i settori beneficiati, si conferma la preferenza per la ricerca scientifica (37% delle destinazioni) che, però, perde 12 punti rispetto all’indagine dello scorso anno. Anche la seconda tra le opzioni privilegiate, ossia l’aiuto ai paesi poveri e le cause umanitarie, cala dal 41 al 32 per cento. In forte rivalutazione, invece, le adozioni a distanza, il sostegno all’infanzia e i fondi alle Onlus sanitarie e assistenziali, tutte finalità quotate al 27% (va tenuto presente che alla domanda sulle destinazioni delle somme era possibile dare risposte multiple).
Un altro aspetto rilevante dell’indagine è quello relativo alle modalità tecniche delle donazioni. I versamenti in contanti (34%) si prendono la rivincita sugli sms (in caduta dal 46% al 30%), mentre i bollettini postali, penalizzati dall’alt alle agevolazioni tariffarie per il mailing degli enti, crollano addirittura di 20 punti, dal 48 al 28% (vedi articolo sotto). «Le occasioni di solidarietà negli ultimi anni – commenta Noto – avevano visto in qualche modo sovrapporsi emozione, coscienza civile e tecnologia, soprattutto grazie alla centralità dei mezzi personali di comunicazione, in primis il telefonino. I dati del 2011 evidenziano, diversamente, il primato dei pagamenti in contanti, espressione di una volontà di relazione diretta e senza filtri, probabilmente riconducibile anche al desiderio di ottenere la maggiore sicurezza possibile sull’affidabilità dei destinatari».
Conclusione, quest’ultima, che esce confermata anche dal dato sui criteri all’origine delle scelte: nel 49% dei casi gli italiani decidono in base alla conoscenza diretta, mentre le campagne pubblicitarie sui media raggiungono il 34% e le sollecitazioni via posta calano al 15 dal precedente 24 per cento.
Va segnalato, infine, che l’eventuale vantaggio fiscale sembra perdere d’importanza agli occhi dei benefattori ogni anno che passa: nel 2009 si dichiarava «incoraggiato» dalla deducibilità il 20% degli intervistati, nel 2010 il 14% e quest’anno, addirittura, solo il 7 per cento.
Il Sole 24 Ore 07.02.11