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"Attacco al cuore del berlusconismo", di Michele Brambilla

Come hanno osato arrivare proprio fin lì, fino a Villa San Martino di Arcore? Silvio Berlusconi deve aver gridato al sacrilegio, e se così fosse sarebbe una sorta di contrappasso. E già, perché è probabile che al sacrilegio abbiano gridato – leggendo le cronache del caso Ruby – anche le anime dei monaci benedettini che abitarono quella dimora prima che i conti Giulini, a metà del Settecento, l’acquisissero e la ristrutturassero per farne una villa padronale.

«Un sacrilegio», deve aver pensato il premier, perché in politica le manifestazioni di protesta sono da mettere in conto ma c’è sempre stato un codice non scritto secondo il quale non si va a strillare sotto casa. E un sacrilegio soprattutto perché non c’è luogo più sacro al Cavaliere che Arcore; non c’è luogo più simbolico del berlusconismo di questo piccolo paese della Brianza di cui nessuno conosceva l’esistenza prima che ci arrivasse Berlusconi.

Si dice «ad Arcore» per dire chez Silvio così come si dice «oltre Tevere» per dire il Vaticano e «l’appartamento» per dire il Papa. Arcore, poi, sta a Berlusconi ancor più di quanto piazza Gesù stava alla Dc, le Botteghe Oscure al Pci, l’hotel Raphaël a Craxi, Palazzo Venezia a Mussolini. Perché la Dc era anche altrove, era anche l’Azione cattolica e le sacrestie; il Pci era anche le cellule e le cooperative; Craxi era anche e soprattutto la Milano da bere; Mussolini era anche la Romagna, Predappio e la Rocca delle Caminate. Berlusconi, invece, è Arcore: è la Brianza operosa e produttiva, i capannoni e le fabbrichette, il «paghi mi», la villa nel verde. Berlusconi è nato e cresciuto a Milano ma è brianzolo dentro. Brianzolo è il popolo delle piccole e medie imprese cui ha dato voce e speranza. Brianzola è la filosofia della «politica del fare» contrapposta a quella delle chiacchiere.

Lo stesso acquisto di Villa San Martino è uno spaccato del berlusconismo: della capacità di fare affari, di avere successo. Berlusconi la comperò nel 1974 dall’erede dei conti Casati Stampa, coinvolti in una storiaccia di sesso. Camillo Casati Stampa di Soncino si uccise nel 1970 dopo aver assassinato la moglie Anna Fallarino e il di lei amante Massimo Minorenti. La villa finì alla giovane Anna Maria Casati Stampa che ne affidò la vendita al suo legale, un avvocato che si chiamava Cesare Previti. Valutata un miliardo e settecento milioni, Villa San Martino venne acquistata dal futuro premier a cinquecento milioni.

Era appunto il 1974. Berlusconi era ancora uno sconosciuto per il grande pubblico, uno dei tanti imprenditori del Nord che stava facendo i dané. Fu proprio in quel momento lì, fu proprio dopo aver lasciato la villa di via Rovani a Milano per Arcore che cominciò la sua ascesa anche sociale e politica. Il 1974 è anche l’anno in cui nasce il Giornale di Montanelli, di cui Berlusconi è dapprima un marginale sostenitore, poi il maggiore azionista, quindi il padrone. Indro andava lì, ad Arcore, a parlare con il suo editore, vincendo (anche per gratitudine) un’istintiva idiosincrasia antropologica.

Villa San Martino divenne la residenza di famiglia, e poi più che una residenza: un sacrario, con la costruzione del mausoleo di Pietro Cascella, con i loculi pronti per tutti i Berlusconi e per gli amici fidati. Villa San Martino ripercorre tutte le tappe di un’ascesa: dallo stalliere Vittorio Mangano ai grandi ospiti, che erano stelle di Hollywood, grandi calciatori, politici. È a Villa San Martino che Berlusconi registra nel 1994 il videomessaggio della discesa in campo ed è poi lì che si ricevono gli alleati con cui disegnare strategie.

Villa Belvedere Visconti di Modrone, che sta nel paese vicino di Macherio e che a un certo punto il Cavaliere compera per farne la sua abitazione, non ha nell’epopea berlusconiana lo stesso peso di Arcore. Berlusconi non se n’è mai innamorato veramente, tanto che dopo il divorzio da Veronica è tornato a Villa San Martino.

Da qualche anno Arcore aveva però perso buona parte della sua centralità. Per gli incontri politici Villa san Martino era stata sostituita da Palazzo Grazioli, a Roma; solo Bossi e i suoi continuavano ogni lunedì sera ad andare ad Arcore, riconoscendone il genius loci lumbard. Anche per la mondanità la villa di Arcore era finita ai margini: diciamo oscurata da Villa Certosa.

Ma se ieri il popolo viola e quelli dei centri sociali hanno scelto Arcore, è perché Arcore è tornata ad essere il cuore, il simbolo del berlusconismo. Come e perché sia tornata ad esserlo, è meglio lasciar perdere.

La Stampa 07.02.11