attualità, politica italiana

Lo schiaffo di Napolitano: «Siete stati scorretti», di Mario Lavia

Il Presidente non firma il decreto: «Il governo torni in parlamento». La firma non c’è, il decreto sul federalismo municipale è morto. Il governo ne riesumerà il cadavere, certo, ma lo schiaffo si sente. «Non posso sottacere che non giova ad un corretto svolgimento dei rapporti istituzionali la convocazione straordinaria di una riunione del governo senza la fissazione dell’ordine del giorno e senza averne preventivamente informato il presidente della repubblica, tanto meno consultandolo sull’intendimento di procedere all’approvazione definitiva del decreto legislativo. Sono certo che ella comprenderà lo spirito che anima queste mie osservazioni e considerazioni», ha scritto Napolitano a Berlusconi. Sono parole pesantissime, inutile minimizzare.
Perché il presidente della repubblica questa non se la scorderà facilmente. Proprio nel bel mezzo di un ennesimo sforzo di mediazione e di invito a riprendere un confronto politico e non muscolare, è piovuto l’atto di forza dell’esecutivo. Quello del Colle quindi va interpretato come un “non ci sto” molto fermo.
Ora il governo dovrà ritornare al senato e alla camera. In teoria, potrebbe anche prendere il tempo che la legge consente (30 giorni) per rivedere il testo e riaprire una discussione con le forze parlamentari. In pratica, tirerà dritto come se nulla fosse accaduto, magari anzi andando per le spicce con la richiesta di fiducia su un decreto-fotocopia, come ha già detto Calderoli. Inutile sperare che seguano la strada della mediazione politica, sceglieranno “le vie brevi” anche perché tutti sanno che il Carroccio ha fretta e dunque “suggerisce” ad un premier che ha la testa da un’altra parte di adoperare il doppio pedale: da un lato rasserenare il clima con il Colle (Bossi ha espresso a Napolitano il desiderio di un faccia a faccia la prossima settimana) e dall’altro di archiviare la pratica in parlamento in tempi celeri. In fondo, la sintesi calderoliana è presto fatta: la decisione di Napolitano «non cambia alcunché, si tratta di un passaggio formale in più, sarà una o due settimane a seconda della disponibilità del parlamento».
E sì che credevano di avercela fatta, speravano di chiudere il caso alla chetichella, chi se ne importa se la camera non è d’accordo, bisognava finire un giovedì non proprio da leoni facendo dimenticare con una riunione notturna di non disporre di una maggioranza certa, per lo meno a livello di commissioni. Gianni Letta però aveva avvertito: «Guardate che Napolitano un decreto così non lo firma».
Ma niente. E ora è tutto da rifare.
Il capo dello stato, con atto rapidissimo, ha rinviato al mittente il decreto legislativo sul federalismo municipale, «è irricevibile», perché il governo avrebbe dovuto «comunicare» al parlamento la situazione prima di proporre il testo del decreto alla firma del capo dello stato. È una questione di forma ma che mai come in questo caso è questione di sostanza.
Letta aveva capito dove si andava a parare – gli era stato detto – ma Berlusconi ha sfidato tutti e tutto, pressato da un Bossi incontenibile. Che ieri mattina ha chiamato il Colle per capire. Ha dovuto prendere atto delle motivazioni giuridiche addotte dal capo dello stato, chissà se ne ha anche registrato la sostanza – che è poi quella del discorso di Napolitano a Bergamo – e cioè che sulle riforme «non si può forzare» e bisogna puntare invece a soluzioni il più possibili condivise, meno che mai perciò calpestando il ruolo del parlamento.
Berlusconi probabilmente non aveva previsto tutto questo, visto che prima di partire per Bruxelles aveva sospirato «spero non ci siano problemi per la firma», forse non aveva capito la situazione soprattutto a causa della sostanziale ignoranza dei meccanismi di funzionamento della democrazia parlamentare, o forse più semplicemente per lui bastava il bluff di giovedì sera, un bel decreto e via. E si può dunque facilmente immaginare un Cavaliere roso dalla rabbia per l’ennesima figuraccia istituzionale mescolata allo stupore davanti a procedure presumibilmente bollate come inutili lungaggini. Dalla vicenda della mancata firma del capo dello stato l’opposizione ricava ulteriori motivi di critica al governo. Se Di Pietro ne approfitta per dire che «abbiamo la prova provata che il paese si sta avviando verso un pericoloso regime», è da Bersani che viene un ragionamento più di fondo: «Sul federalismo dico al centrodestra fermatevi, fermatevi. Non si può forzare la mano su un tema così delicato». E rivolto alla Lega: «Con Berlusconi il federalismo non lo farete».

da Europaquotidiano 05.01.11

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“Più tasse nonostante lo spin nordista”, di Raffaella Cascioli

Si mette in moto la macchina della propaganda “federalista” ma l’Imu è una patrimoniale.
Che succede se i ministri Tremonti e Calderoli, seppure euforici e trionfanti, si devono armare di lavagnetta e slogan per spiegare che, no, il federalismo municipale del governo non aumenterà le tasse ai cittadini? Che accade se da Bossi in giù sono settimane che si dà per acquisito il federalismo con la fiscalità municipale, mentre all’appello mancano ancora cinque degli otto decreti legislativi che sulla base della legge delega dovranno essere approvati entro maggio? La verità è che il mirabolante slogan “vedo, voto, pago”, ribadito meno di un anno fa da Tremonti, ha iniziato a scricchiolare e il perché è presto detto. La fiscalità municipale ha un vizio di fondo, imposto all’inizio di questa legislatura; infatti, sconta una mancata autonomia impositiva dei comuni che il decreto non ripristina in alcun caso. Inoltre, avendo tagliato drasticamente i trasferimenti statali ai comuni con la manovra estiva (senza per questo aver diminuito la pressione fiscale sui cittadini che con le loro tasse contribuiscono alle spese sia nazionali che locali), il decreto plasmato da Tremonti costringe di fatto i sindaci ad aumentare le tasse, oltre alle tariffe sulle quali hanno mano libera. E il governo, proprio per far digerire ai sindaci il decreto, ha dato loro facoltà di aumentare l’addizionale Irpef.
Insomma, quando Tremonti sostiene che «andrà avanti un circuito che dipende dai cittadini», non dice che saranno i cittadini a subire.
Di fronte a ciò la coppia Calderoli-Tremonti può anche indorare la pillola sostenendo che sarà il cittadino a dover verificare l’operato dell’amministrazione comunale ed eventualmente ritenerla responsabile. Il che vuol semplicemente dire che il cittadino-contribuente prima dovrà pagare, poi forse potrà vedere (e non è detto) come saranno impiegati i suoi soldi e, poi, forse… potrà votare. Un esempio per tutti è Roma dove le addizionali Irpef sono ormai al massimo storico in Italia, il degrado è sotto gli occhi di tutti, il bilancio è dissestato e si fatica a far quadrare i conti ma Alemanno è sempre in Campidoglio. In realtà, sul piano fiscale il decreto risulta particolamente conveniente solo per quanti, con redditi medio alti, guadagneranno dalla cedolare secca sugli affitti, che si applicherà con un’aliquota del 21 e del 19%. Saranno però quegli stessi proprietari chiamati dal 2014 a pagare l’Imu, ovvero l’imposta sulle seconde case che assorbirà sia l’Ici sia l’Irpef e avrà inizialmente un’aliquota di equilibrio del 7,6 per mille che tuttavia potrà salire fino al 10 per mille. Il Partito democratico e il Terzo polo si sono battuti contro questa formulazione dell’Imu che è considerata come una vera e propria patrimoniale visto che non si applica sul reddito bensì sui beni posseduti. E un’altra patrimoniale mascherata è la cosiddetta tassa di scopo per realizzare infrastrutture e servizi che sarà pagata solo dai cittadini che ne beneficeranno. Quegli stessi cittadini, che già nella fiscalità generale contribuiscono ad alimentare le risorse per le infrastrutture, si troveranno così a pagare due volte la stessa opera.
Ed ancora la tassa di turismo per un massimo di 5 euro a notte a persona nelle città turistiche, contestata dagli albergatori, impedisce a una media famiglia italiana pernottamenti nelle città d’arte. Ed ancora, sulle compravendite– accorpando, razionalizzando e aumentando – dal 2014 sui trasferimenti immobiliari insisterà una sola imposta del 9% sui beni che scende al 2% per le prime case e che, in ogni caso, non potrà essere inferiore ai mille euro. Insomma, quella che per Tremonti è la più grande e storica riforma mai avviata e per Carderoli «è il giorno della liberazione della spesa storica», con l’intervento del presidente Napolitano dovrà essere al centro di un confronto con gli enti locali e con il parlamento. La legge assegna 30 giorni di tempo al governo che la Lega, se vuole, potrà utilizzare senza limitarsi a piantare la bandierina del federalismo.

da Europaquotidiano 05.02.11