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"Minzolini modello Fede", di Stefano Balassone

Che lenza quel Minzolini. Mentre tutti sbertucciano il direttore dalla carta di credito facile perché perde ascolti, arriva il gennaio del 2011 ed ecco che, almeno rispetto allo stesso mese del 2010, li riguadagna. E con l’occasione cambia, e mica poco, l’assortimento dei fans del Tg1. Le élite se ne vanno, quasi si dimezzano (molti ne acchiappa Mentana, altri proprio hanno deciso di infischiarsene dei telegiornali).
Il ceto medio che guarda in alto e il ceto medio senza aggettivi paiono stabili mentre il ceto medio basso (gente che ha comunque un lavoro o una pensione) vacilla. In compenso il ceto basso accorre in massa fino a sfiorare il 42% degli spettatori del Tg1 (sono il 34% per il Tg5 e solo il 22% per il TgLa7). È questo il settore di pubblico (molto sud, molta sofferenza sociale, molta richiesta di aiuto dallo stato) che porta a Minzolini i numeri del successo di gennaio.
Indovinate a chi assomiglia, dopo la cura Minzolini, il pubblico del Tg1? A quello del Tg4. E non solo per la smaccata propaganda filo-Cavaliere, arrivata ieri all’ennesima intervista sdraiata. È un calcolo o un incidente di percorso? Noi pendiamo per la prima ipotesi, a costo di sembrare agiografi del retroscenista assunto, da Berlusconi, al posto che fu di Emilio Rossi. Il “razionale” potrebbe essere il seguente: 1) le élite sono quattro gatti (un italiano su dieci) e per di più hanno i soldi e il know how per schivare la tv. Aggiungi che i quartieri alti sono pieni di persone che hanno solide ragioni per essere berlusconiane e di altre che non lo saranno mai, qualsiasi cosa i tg dicano o facciano vedere; 2) anche la zona media della società (il 55% del tutto) vive in reti di relazioni e svolge mestieri che le permettono di badare al sodo, deducendo la opinione politica in funzione dell’interesse (in primis fiscale) della famiglia; 3) l’area più sensibile alla narrazione televisiva coincide con la periferia sociale e territoriale (un’area assai numerosa, pari al 35% del paese). Sono le persone per cui la casa, o semmai l’osteria, è l’unico posto in cui rifugiarsi (le donne del sud sono la componente maggioritaria, ma anche i lavoratori manuali, eccetera). Da queste parti un aumento del ticket sanitario, del biglietto dei trasporti urbani, dei generi alimentari è un vero, grave problema.
Sono gli strati sociali economicamente più lontani dalla Milano da bere, ma più vulnerabili alle sue seduzioni anche perché la qualità della loro vita, non avendo altri consumi, maggiormente dipende da quello della televisione. Alle sue seduzioni, morti i progetti di salvezza della politica e della religione, non hanno niente da contrapporre (supponiamo che i vescovi, magari con la testa un po’ troppo volta all’indietro, alludano anche a questo quando parlano di “tragedia antropologica”).
Ieri il solo Tg4 e oggi anche il Tg1 sembrano concentrati su questo mondo e se ne prendono cura un po’ come gli autori del Grande Fratello fanno con gli ospiti della casa. Del resto, anche se come capacità di consumo e quindi come raccolta pubblicitaria valgono poco, sono elettori che valgono esattamente come gli altri. Non è una novità che le élite populiste sappiano aggregare (vedi i Tories dell’Inghilterra vittoriana e il loro populismo imperialista) ampi strati del popolo che pure fa le spese dei loro privilegi. Le élite progressiste invece hanno sempre flirtato con la sinistra sociale e politica (da Gladstone a Giolitti). Minzolini e Fede sembrano saperlo molto bene e si comportano di conseguenza. Rincorrerli sul loro terreno televisivo contrapponendo sogno a sogno e gossip a gossip sarebbe tempo perso. Mentre una prateria sembra aperta a chi volesse agire sulla contraddizione degli interessi fra i “berlusconiani narrativi” e i “berlusconiani strutturali”.
Se i secondi evadono le tasse, accumulano ricchezze, sfruttano la montagna del debito pubblico per farsi pagare i soldi che prestano al paese che hanno spremuto nei decenni del dopoguerra, i primi – specialmente loro – avranno meno servizi e meno prospettive di vita. La “nuova narrazione” o riguarda questi strati o è quella vecchia, di classe, del secolo breve. È una narrazione che riguarda materie ed esistenze molto concrete, e dunque è difficile farla in televisione, dove rischia perfino di essere controproducente (ci vuol poco, ad esempio, per passare per vampiri fiscali solo perché si fa attenzione a quel che dicono Amato, Capaldo, Paganetto, Mucchetti, che, gira e rigira sostengono che senza un colossale trasferimento di ricchezza non può esserci sviluppo e quindi futuro).
Il modo giusto per parlare di “cosa conviene e cosa no” è: guardandosi negli occhi. Dunque a contatto con le persone. Roba da partiti solidi, da rappresentanti radicati nei territori e così via. Hai detto niente.

da Europa Quotidiano 03.02.11