attualità, economia, lavoro

"La crisi non sia alibi, si poteva fare meglio della propaganda", di Stefano Fassina

Per la prima volta da molti anni, il reddito delle famiglie italiane è caduto, in media, del 2,7%. Un dato di straordinaria gravità economica e sociale. Ancora più preoccupante considerato che, in Italia, le medie sono bugiarde. La media combina insieme condizioni diverse, anzi opposte: l’annullamento del reddito di un giovane precario, prima a 1000 euro al mese, poi senza lavoro e senza indennità di disoccupazione; la sforbiciata alla retribuzione di un operaio in cassa integrazione; l’incremento spensierato del reddito di un evasore fiscale che, grazie allo scudo-condono del ministro Tremonti, ha potuto comprare a prezzi stracciati “un’assicurazione” contro futuri accertamenti.

Un’altra politica economica avrebbe potuto attutire e redistribuire in modo meno regressivo i contraccolpi economici e sociali della crisi. Non è vero che non si poteva fare di meglio poiché «la crisi è globale e l’Italia ha il terzo debito più elevato del mondo senza essere la terza economia del mondo» come ripete la propaganda berlusconiana. Il ritornello è servito a coprire scelte politiche precise. Scelte di destra. Il controllo del bilancio pubblico era ed è inevitabile, ma i costi potevano essere minori e distribuiti in modo equo. Invece, per non intaccare le rendite da finanza, da regolazione corporativa e da evasione di preziosi bacini elettorali, le riforme sono state accantonate e si sono colpiti i lavoratori dipendenti, i giovani precari, i piccoli imprenditori, le famiglie a reddito basso e medio. Nella manovra triennale dell’estate 2008, invece di concentrare le poche risorse disponibili sulle situazioni di maggiore difficoltà (famiglie senza lavoro) e promuovere il futuro (scuola, università), si sono smantellate efficaci misure anti-evasione, si è completata l’eliminazione dell’Ici per le fasce più ricche e si è imposto un insostenibile salvataggio di Alitalia per adempiere ad una sciagurata promessa elettorale. Poi, messe al sicuro le rendite, è arrivato il conto da pagare: tagli ciechi all’istruzione e ai trasferimenti agli enti locali e raddoppio dei costi delle mense scolastiche, aumento del 25% del costo dei biglietti e degli abbonamenti per i bus e treni, impennata delle tariffe per i servizi pubblici, perdita di assistenza per tanti anziani, cancellazione delle borse di studio, prosciugamento delle risorse per la cultura, decurtazione dei fondi per la garanzia del credito alle piccole imprese. E così via. Da ultimo, il segno classista del federalismo municipale: aumenta l’addizionale comunale all’Irpef; arrivano l’imposta di soggiorno e l’imposta imposta di scopo; raddoppia l’Ici, ridefinita Imu, su immobili ad uso aziendale di artigiani, commercianti e piccoli imprenditori”; arrivano le briciole per il sostegno alle famiglie in affitto, ma grandi sconti fiscali per i rentier immobiliari attraverso la cedolare secca al 21%. La Lega un tempo si definiva movimento di popolo. A forza di frequentare Arcore è stata messa al servizio di lor signori. Tuttavia, il destino dell’Italia non è segnato. È nelle nostre mani. Dobbiamo, insieme, mandare a casa il presidente del Consiglio. Per le sue notti in villa e per le sue giornate a Palazzo Chigi.

L’Unità 03.02.10