Il lavoro negato ai giovani riguarda tutti. Un paese non dovrebbe rinunciarvi. Sacconi li rimprovera se rifiutano un lavoro manuale. Ma a chi dovrebbero rivolgersi? La stagione dei giovani appare sempre meno beata, accompagnandosi ormai diffusamente alla disoccupazione. Che un terzo degli italiani tra i quindici e i ventiquattro anni si trovi senza lavoro dovrebbe costituire un problema (o una tragedia)
trasversale politicamente e sicuramente trans generazionale: riguarda tutti, anche i vecchi, che a uno straccio di pensione sono arrivati o stanno arrivando, accantonati per far largo al nulla, più che a incalzanti schiere di neo-laureati, neo-diplomati, “neo” di qualcosa, qualunque cosa. Da un capo all’altro, dai
giovani ai vecchi nullafacenti, è come navigare in un mare di risorse sprecate. Tutto al macero: la freschezza, la vivacità, le aperture dei primi; l’esperienza, il mestiere dei secondi. Un paese, qualsiasi paese, non dovrebbe rinunciarvi, in nome del comune benessere. Invece capita e sicuramente capita in un paesaggio più cupo di quanto dica quel numero, perché sono tante le situazioni che occultano la realtà: la scuola vissuta come un parcheggio in attesa del “posto”, i carissimi master (una miriade nel rispetto della convinzione che tutto fa mercato), oppure il precariato più fragile fino al lavoro nero di baristi, fattorini, telefonisti ai call center, fino alle più fantasiose partite iva.
L’altro giorno, affisso alla vetrina di un’agenzia per il lavoro interinale, tra offerte di lavoro sempre a breve termine e sempre corredate di promesse per il rinnovo, ne ho letto uno che conteneva una proposta più surreale che scandalosa. Diceva: cercasi per pulizie in istituto bancario, zona Novate (hinterland milanese), mezz’ora al giorno, dal lunedì al venerdì, dalle ore 16 alle ore 16,30. Mi chiedo se per caso l’avviso non l’abbia letto anche il ministro Sacconi e se per caso non ne abbia tenuto conto quanto ha rivolto il suo appassionato appello ai giovani: siate umili, accontentatevi. Quando il ministro rimprovera i giovani che studiano e che rifiutano un lavoro manuale, quando accusa i genitori di diventare cattivi maestri perché impongono loro un’idea, evidentemente
poco attuale per il ministro, di promozione sociale attraverso lo studio, sembra lontano anni luce dalla realtà, una realtà tanto misera da consentire una proposta indecente di quel genere: mezz’ora al giorno per le pulizie, questo sarebbe il lavoro manuale. Peggio: il ministro ci riporta indietro, al classismo che la scuola nei suoi vari ordini esprimeva, una scuola che avviava al sapere nel rispetto del censo più che delle teste. Sacconi è così ingenuamente perbene, da non capire che in quella divisione sta la selezione tra chi arriverà al vertice dei master più costosi e chi dovrà rassegnarsi all’istruzione professionale, in una scuola mai così degradata, in una società che ha svilito i “mestieri”, esposti alla precarietà, alla fragilità. C’è una cultura di destra, nella quale si riconosce Sacconi, che ha predicato per anni la fine del lavoro operaio e che pratica ora la fine dei diritti nel lavoro operaio,
cancellando professionalità e individualità. A chi e a che cosa dovrebbe rivolgersi un giovane, che, come dicencon bella immagine il ministro, “ha l’intelligenza nelle mani”?
A Marchionne, alla Fiat, a Mediaset per un posto da velina (lavoro “manuale” anche quello), all’istituto bancario che garantisce mezz’ora al giorno di pulizie? In un paese che da anni non fa politica industriale e che deprime i giovani piuttosto che ascoltarli, come è capitato per la recente cosiddetta riforma universitaria. Almeno Zapatero, nelle criticissima Spagna, ha trova tomodo di regalare alle giovani coppie che ne hanno necessità duecento euro al mese per l’affitto. Da noi il ministro preferisce le prediche.
L’Unità 02.02.11