Le Magnifiche Sette eroine della lotta ai cartelli della droga messicani hanno già scritto tante pagine di una Resistenza incompiuta, e di cui non si vede la fine: alcune tragiche, che raccontano di vite stroncate; altre promettenti ma incerte e fuori dai riflettori, esempi di «ordinaria» militanza a favore del popolo più che contro i cattivi; ma una, su tutte, a simboleggiare una sfida a testa alta, totale e pubblica, che commuove e ispira.
E’ la vita di Maria Santos Gorrostieta Salazar, 34 anni, madre e vedova, sindaco di Tiquicheo, a pochi chilometri da Città del Messico. Quando fu eletta quattro anni fa era una moglie felice, impegnata a migliorare i servizi sociali della sua piccola città. Sperava di poter svolgere il suo compito senza essere coinvolta nella guerra tra gli agenti federali e i narcotrafficanti, ma il solo stare dalla parte dell’ordine e della emancipazione sociale è una minaccia per chi fiorisce sul terrore delle terre di nessuno.
E così Maria è finita nel mirino delle gang ed ha subito un paio di attentati. Nel primo, del 2009, perse la vita il marito che era con lei: il corpo della donna, che se la cavò per miracolo, fu martoriato dai proiettili, e le ferite al petto la costringono ancora a portare una borsa esterna attorno al torace per le funzioni digestive. Un anno dopo Maria scampò anche al secondo assalto, ma non pensò mai di darla vinta al cartello, che da voci non confermate da alcuna inchiesta sarebbe La Familia Michoacana, famosa per le sue violente esecuzioni.
Anzi, ha già espresso l’intenzione di correre ancora per la stessa carica nel 2012, e ha lanciato la sua campagna con un poster mozzafiato: lei a spalle e torso nudo, con solo il seno coperto, per far vedere le piaghe, conseguenze della crudeltà dei narcos verso di lei: «Le cicatrici che questi attacchi hanno lasciato su di me, e sulla mia gente, mostrano che noi siamo forti e imbattibili», ha detto il sindaco. «Volevo mostrare a voi il mio corpo ferito e mutilato… perché io non ne ho vergogna.
E’ una testimonianza vivente che io sono una donna forte e retta, e a dispetto delle mie ferite fisiche e psicologiche sono ancora ben salda sui miei piedi”. Maria ha anche rivendicato la sua femminilità: “Dentro di me io resto una sognatrice, una romantica, e una madre. Ma continuerò a fare ciò per cui sono eletta: ho una inestinguibile determinazione nel proseguire la mia missione”. Le eroine messicane che combattono l’impossibile guerra per la vita e per la pace civile – nel solo 2010 ci sono stati 15723 morti in incidenti legati alla droga, e 34612 negli ultimi quattro anni – possono essere fermate solo con il piombo.
A Ciudad Juarez, una delle città più insanguinate al confine con gli Usa, della settantina di poliziotti assassinati l’anno scorso una fetta importante erano donne. Del resto, nello stato di Chihuahua, le cifre ufficiali rilevano una presenza di 540 donne tra gli agenti in divisa, un terzo del totale. Delle Magnifiche Sette che hanno fatto cronaca, due sono state assassinate e di una non si sa più nulla dopo il suo rapimento. Hermila Garcia Quinones, 38 anni, era il capo della polizia di Meoqui, nel nord del Messico, quando è stata uccisa il 29 novembre dell’anno passato.
E prima di lei aveva perso la vita Silvia Molina, 40 anni, direttore della sicurezza pubblica a Ciudad Juarez, il 17 giugno 2008. Erika Gandara, la più giovane delle vittime, è la ventottenne che cercò ed ottenne, con sprezzo del pericolo e carica morale non comuni, di fare il capo della polizia nel distretto di confine di Guadalupe Bravos. A un miglio dal paradiso dell’America, anziché architettare la fuga che per milioni di latinos è il passaporto per un domani migliore, Erika pattugliava da sola le strade impolverate del Messico fuorilegge: «capo» sul campo, dopo che i dieci suoi colleghi si erano dimessi o erano stati eliminati.
È durata pochi mesi, fino al rapimento e alla scomparsa: una esecuzione di cui manca solo il cadavere. Il testimone del coraggio passa però di mano in mano. Veronica Rios, 38 anni, è capo della polizia del distretto di El Vergel, entrata in carica dal 12 novembre del 2010. È lo stesso giorno in cui ha preso il posto di capo della polizia a Villa Luz un’altra donna, Olga Castillo, 44 anni. Le due colleghe coprono due quartieri confinanti di Ciudad Juarez e spesso vanno in giro, disarmate per enfatizzare il loro ruolo di assistenza ai cittadini, sullo stesso camioncino arrugginito che possonopermettersi le autorità da quelle parti, contro i Suv delle bande.
La mascotte delle eroine è Marisol Valles Garcia, che a 20 anni è stata la più giovane di sempre a diventare capo della polizia nel settembre scorso, a Praxedis Guadalupe Guerrero, quartiere di Juarez. Ha già costruito un centro sportivo, dà scarpe e vestiti ai bisognosi, organizza serate in cui promuove incontri di socializzazione. Per battere i balordi creando comunità.
La Stampa 01.02.11