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"Mezzogiorno, la brutta fine dei fondi", di Gianfranco Viesti e Francesco Prota

Nulla di buono dalla riprogrammazione del Fondo per le aree sottoutilizzate. Le scelte del governo hanno cancellato, fino al 2015, l’importante contributo, qualitativo e quantitativo, che sarebbe potuto venire dalla politica di sviluppo territoriale. La principale manovra di politica economica realizzata in questa legislatura è stata la riprogrammazione e l’utilizzo delle risorse del FAS, Fondo per le Aree Sottoutilizzate, nazionale.

Tali risorse erano state destinate dal Quadro Strategico Nazionale 2007-13 e dalla delibera CIPE 166/2007, alle politiche di sviluppo territoriale: cioè spesa in conto capitale, per l’85% nel Mezzogiorno e per il 15% nel CentroNord. Questa manovra ha avuto luogo, fra il maggio 2008 e fine 2010, attraverso un insieme straordinariamente complesso di disposizioni di legge e di delibere dello stesso CIPE, che ha modificato progressivamente, ma radicalmente, il FAS. Il quadro d’insieme non è stato poi mai ricostruito in forma organica e trasparente. Tutta la materia è divenuta oscura, quasi impenetrabile. La discussione pubblica e la valutazione di questa manovra è stata assai modesta, certamente di molto inferiore all’importanza che essa ha per l’economia italiana.

Anche sulla scorta di analisi precedenti (1), un gruppo di lavoro del Cerpem di Bari ha provato a ricostruirla. Obiettivo del lavoro è stato verificare quali effetti queste decisioni abbiano avuto sia sulla tipologia di spesa (corrente/conto capitale) sia sulla sua allocazione territoriale. Si è lavorato sui dati d’insieme di competenza, essendo quasi impossibile ricostruirne sia i flussi di cassa, sia la ripartizione fra diversi esercizi finanziari. A tal fine sono state individuati e analizzati tutti i documenti ufficiali relativi al FAS. Per ricostruire le nuove destinazioni di queste risorse sono state formulate alcune ipotesi. La principale è che le risorse oggetto di tagli, o destinate al risanamento della finanza pubblica, rientrando nel complessivo Bilancio dello Stato, si sarebbero poi ripartite come l’insieme della spesa pubblica italiana (90% spesa corrente, 10% spesa in conto capitale; 65% CentroNord, 35% Mezzogiorno). In alcuni casi (esenzione ICI, risorse per la CIG), la ripartizione territoriale è stata effettuata con parametri più fini (famiglie proprietarie, beneficiari). Nei casi dubbi, nei quali le disposizioni normative non consentivano di comprendere con certezza tipologia di spesa (come per l’emergenza rifiuti in Campania) e destinazione territoriale (le manutenzioni stradali e ferroviarie), si è adottato un approccio “conservativo”, ipotizzando che si tratti di spesa in conto capitale ripartita secondo i criteri originali del FAS (85/15). Una piccola quota non è stata definita.

Si tratta nell’insieme di 43,4 miliardi di euro. Come detto, si sarebbe dovuto trattare di spesa in conto capitale. L’effetto più importante della manovra è stato quello di dirottare almeno 23,6 miliardi da spesa in conto capitale a spesa corrente. A titolo di confronto si consideri che la spesa totale in conto capitale della P.A. nel 2008 è stata pari a 60 miliardi. Questa decisione non pare particolarmente lungimirante. A seguito della crisi internazionale, si sono certamente rese necessarie risorse aggiuntive per la finanza pubblica. Sottrarle però in misura così cospicua agli stanziamenti per infrastrutture di cui l’Italia ha estremo bisogno anche per rafforzare la competitività delle imprese, se può aiutare la finanza pubblica certamente non aiuta la crescita. Non a caso, la Banca d’Italia segnala che in Italia le spese in conto capitale nel 2010 si sono ridotte del 18,2% (2).

Alcune rilevanti decisioni hanno comportato il taglio di fondi FAS per il generale obiettivo di stabilizzazione della finanza pubblica. Ma si sono stati anche utilizzi specifici, con effetti redistributivi più netti, con specifiche platee di beneficiari. E’ il caso dell’esenzione ICI per le famiglie più abbienti (oltre 1 miliardo); è il caso dei 4 miliardi per gli ammortizzatori in deroga, che hanno un impatto territoriale molto squilibrato (3). Particolarmente rilevante per il suo significato politico è stato quanto disposto con il d.l. 154/08 (art. 5.3) che ha destinato 640 milioni alle amministrazioni comunali di Roma e Catania: in tempi di “federalismo fiscale”, e di dilagante retorica sulla necessità di premiare gli enti locali “virtuosi”, il Governo ha destinato risorse ad hoc per ripianare disavanzi correnti. Il messaggio alle amministrazioni locali, specie del Sud, è stato devastante: è stata premiata la cattiva, e non la buona, amministrazione.

L’altro effetto della manovra è stato di natura territoriale. Con la ripartizione iniziale del FAS 36,9 miliardi erano destinati al Mezzogiorno e 6,5 al CentroNord. La manovra alloca invece 18,9 miliardi al Mezzogiorno e 19,4 miliardi al CentroNord; 4,6 miliardi sono stati destinati a diversi interventi post-terremoto in Abruzzo. Con una decisione priva di equità, il carico dell’indispensabile solidarietà nazionale è quindi stato posto su risorse destinate per l’85% al Mezzogiorno. Ipotizzando gli interventi in Abruzzo finanziati da un “onere di solidarietà nazionale” proporzionale alla popolazione delle due circoscrizioni (4), la manovra ha determinato uno spostamento dal Sud al CentroNord di 16,5 miliardi di euro (5). La risposta del Governo alla crisi ha comportato un onere fortemente concentrato sui cittadini del Sud.

Non si sono però spostate risorse “da infrastrutture al Sud” a “infrastrutture al Nord”. La complessiva riduzione della spesa in conto capitale è tale, che nello stesso CentroNord si scende da 6,5 a 3,3 miliardi. Molto grave è naturalmente il quadro del Sud: la spesa in conto capitale scende da 36,9 a 11 miliardi. Questo dato, come i precedenti, è però ottimistico, perché presuppone che sia effettivamente rispettato il vincolo di spesa per l’85% nel Mezzogiorno per alcuni degli stanziamenti decisi, che non hanno una chiara indicazione geografica. Tale vincolo è stato reso meno stringente, perché, come recita la delibera CIPE 31/2010, non è più riferito alle specifiche allocazioni (6). Prova ne è la ripartizione effettuata dal Ministero della Pubblica Istruzione delle risorse FAS per l’edilizia scolastica, che non rispetta affatto il vincolo di destinazione.

Il FAS si sarebbe dovuto concretizzare in programmi di interventi definiti ex ante, frutto – pur con tutti i limiti del caso – di decisioni trasparenti, concertate con Regioni e parti sociali, e soggette a valutazione e monitoraggio. Le decisioni di spesa del 2008-10 appaiono difficilmente riconducibili ad un quadro programmatico con chiare priorità; si tratta di un insieme di interventi frammentati (ad esempio molti lotti di strade). Quadro non privo di singolarità: si pensi ad esempio alla delibera CIPE 69/2009, che, per “misure di accompagnamento nazionale a favore dell’apertura nel Mediterraneo dell’area di libero scambio 2010”, assegna 150 milioni al Comune di Palermo, anche per interventi nell’igiene ambientale (7). La programmazione FAS era poi aggiuntiva rispetto ad un livello “normale” di investimenti pubblici ordinari. Non si dispone più del Quadro Finanziario Unico, predisposto dal MISE-DPS che consentiva di verificare, quantomeno ex-post, questa circostanza. A giudicare però dalla tipologia di molte delle opere finanziate (edilizia scolastica, carceraria, sanitaria; manutenzioni stradali e ferroviarie), vi è la chiara impressione che i residui e limitati stanziamenti FAS al Sud siano non addizionali ma prettamente sostitutivi di mancata spesa ordinaria. D’altronde pare difficile classificare l’edilizia carceraria o le manutenzioni stradali fra le politiche prioritarie per lo sviluppo del Sud.

Nella difficile difesa di queste scelte, esponenti del Governo hanno più volte fatto riferimento alla circostanza che in passato l’impiego del FAS – specie da parte delle Regioni – sarebbe stato molto lento e frammentato in interventi non strategici. Ma in tutto questo scritto si fa riferimento solo a risorse nella disponibilità del Governo nazionale. Proprio per superare le difficoltà del passato, il Governo avrebbe potuto impiegarle direttamente, in pochi grandi interventi strategici (ad esempio per le ferrovie), stabilendo le proprie priorità, concentrando la spesa, dando un esempio della sua capacità di “fare”. Si è deciso diversamente.

La capacità di ripresa dell’economia del Sud dopo la crisi del 2008-09 è molto limitata, a causa della gravità della caduta dell’occupazione e dalla connessa sensibile debolezza della domanda delle famiglie; della contenuta capacità di investimento delle imprese; dei tagli operati alla spesa pubblica corrente; e soprattutto della modesta capacità di esportazione. Le scelte del Governo hanno sostanzialmente cancellato, fino al 2015, l’importante contributo, qualitativo e quantitativo, che sarebbe potuto venire dalla politica di sviluppo territoriale nazionale, e l’effetto di stimolo, anche per l’intera economia italiana, che ne sarebbe derivato. Nel silenzio più assordante della politica e delle rappresentanze degli interessi, la parte più debole dell’economia nazionale ha così – anche per questa manovra – probabilmente di fronte a sé un lungo periodo di stagnazione, dalle ricadute civili, sociali ed economiche difficilmente prevedibili.

1. SVIMEZ, Rapporto SVIMEZ 2010 sull’economia del Mezzogiorno, il Mulino, Bologna, 2010; A. Misiani, Il saccheggio dei fondi FAS e la finzione dei fondi anti-crisi, luglio 2009 www.nens.it; MISE – DPS, Rapporto Annuale 2008 e 2009.
2. Bollettino Economico, n. 63, gennaio 2011, pag. 40
3. A. Misiani, Ammortizzatori sociali, crescono gli squilibri territoriali, gennaio 2011, www.nens.it
4. Esso determina un contributo alla ricostruzione dell’Abruzzo per 1,6 miliardi dalla dotazione FAS Mezzogiorno e per 3 miliardi dalla dotazione CentroNord
5. Anche in assenza di questa ipotesi il quadro non muta significativamente.
6. Nella ipotesi più pessimistica la spesa in conto capitale al Sud potrebbe scendere fino a 9,5 miliardi, accrescendo per ulteriori 1,5 miliardi la redistribuzione territoriale di cui si è detto prima.
7. O alla circostanza che, chissà perché, la statale Sassari-Olbia non è finanziata dal Fondo Infrastrutture ma da quello “Economia Reale”.

da www.nelmerito.com