Non può non aver pesato l’altolà del presidente della Repubblica nella decisione del Pdl di rinviare a data da destinarsi l’ipotizzata manifestazione a difesa di Silvio Berlusconi contro la magistratura. E forse anche Gianfranco Fini che questa volta non si è recato alle assise del Terzo Polo ne è stato“influenzato”.
Il Capo dello Stato, irritato e allarmato, aveva fatto sapere in pubblico e in privato di non poter più assistere impotente allo scontro in atto. Puòinfatti il presidente della Repubblica rimanere indifferente quando i suoi richiami alla responsabilità, ma anche l’allarme e lo sconcerto di tanta parte del paese, rimangono senza risposte? E’ evidente che non può. E, quindi, al Quirinale si è cominciato a ragionare su come fermare la guerra di tutti contro tutti, mettendo nel conto l’ipotesi estrema dello scioglimento anticipato della legislatura e le elezioni, “l’arma totale” come l’ha definita il costituzionalista Michele Ainis, in osservanza del dettato costituzionale che affida questa esclusiva prerogativa al presidente, dopo aver consultato i vertici di Senato e Camera.
E un giornale vicino (anche se a volte critico) al presidente del Consiglio, il “Foglio” di Giuliano Ferrara, deve averne avuto sentore se ieri titolava su una “iniziativa istituzionale straordinaria” con la convocazione al Colle di Schifani e Fini, collocandola però nella giornata di martedì quando, invece, da tempo è noto che Napolitano sarà a Milano per ricordare Tommaso Padoa Schioppa, un rigoroso servitore dello Stato il cui ricordo potrà semmai servire a prendere ulteriormente le distanze dal bailamme di questi giorni. Il pericolo il Capo dello Stato l’ha segnalato per tempo, e in più occasioni pubbliche. E’ echeggiato sul giornale del Vaticano. E ieri l’eco è giunta in tutte le aule in cui si è inaugurato l’anno giudiziario. Il rischio di ulteriori esasperazioni e tensioni che possono solo aggravare il “turbamento” largamente avvertito e riconosciuto, di “tentazioni di conflitti istituzionali” e di “strappi mediatici” stanno diventando concreta realtà: il governo contro il parlamento, contro la Corte Costituzionale e contro la magistratura; il presidente della Camera che viene attaccato in Senato; una maggioranza di governo che si appella alla piazza contro la magistratura che ha nel Capo dello Stato il garante della propria indipendenza. Quest’ultima deve essere sembrata la classica goccia che fa traboccare il vaso. E non ha mancato occasione, Napolitano, nei diversi colloqui informali con esponenti del centrodestra, da ultimo nel tragitto verso e di ritorno dal Palazzaccio con il guardasigilli Angelino Alfano, per avvertire che si stava superando il segno, che le sedi giudiziarie non possono essere sostituite dalla piazza, fisica o mediatica che sia. Messaggio che, immediatamente riferito a Palazzo Chigi, deve aver allertato il premier. Del resto, il centrodestra è fermo a 314 voti, ha una maggioranza numerica ma sempre inferiore ai 316 che pure il Cavaliere aveva sostenuto essere in grado di poter raggiungere e superare abbondantemente, che consente di respingere la sfiducia all’esecutivo e a Bondi ma non assicura la governabilità.
Le opposizioni sempre sul piano numerico sono in grado di condizionare i lavori parlamentari ma non di produrre un’alternativa politica di governo. Ne consegue una condizione di paralisi del Parlamento che acuisce la conflittualità politica e quindi l’instabilità. E’ evidente che bisogna uscire da questa situazione. Come? Per settimane il dibattito politico anche nel centrodestra è stato dominato dall’ipotesi del passo indietro di Berlusconi a favore di un altro esponente della stessa coalizione di governo: Gianni Letta, con cui il premier ha un rapporto fiduciario personale, o Giulio Tremonti, per via della delicata questione dei conti economici e dei legami che il ministro dell’Economia ha con la Lega senza la quale non esisterebbe nemmeno la maggioranza numerica e che aspetta solo di verificare se riescono a passare i provvedimenti sul federalismo. Ma il solo emergere di questa ipotesi è bastato al Cavaliere per prendere le distanzeda Tremonti e sospettare persino del fidato sottosegretario. Muoia Sansone con tutti i Filistei,ma lui non ci sta a fare la parte di Sansone. Altrimenti? Le urne rischiano di diventare una strada obbligata per il Presidente della Repubblica se l’alternativa fosse lo sfascio. Qualcuno ha ieri ha cominciato a rendersene conto e c’è stato qualche colpo di freno. Ma se le ragioni del confronto non riuscissero a prevalere su quelle della discordia non sarà il pronto soccorso di un ipotizzato rimpasto a rimettere in piedi unmalato in rianimazione.
da www.unita.it