attualità, politica italiana

"Il federalismo aiuti controlli e trasparenza", di Alberto Cisterna*

Nessuno può pensare o accettare che i processi economici e sociali del Paese possano subire il condizionamento delle mafie. Così, ad esempio, si può essere favorevoli o contrari al Ponte sullo Stretto, ma è inaccettabile che la scelta sia fatta agitando lo spettro dell’occupazione mafiosa dei cantieri. E’ ovvio che spetta allo Stato assicurare la legalità degli appalti e la trasparenza democratica delle decisioni impedendo che il fardello delle cosche possa condizionare scelte così importanti.

E’ giusto ritenere che il federalismo sia un’opzione irrinunciabile per il Paese, addirittura indispensabile per la riorganizzazione della responsabilità politica. Anzi, in modo più netto, il trasferimento dei poteri pubblici e delle risorse alla comunità locali può costituire un’occasione decisiva per il recupero dell’etica repubblicana. Tuttavia è una svolta che, anche per garantire questi obiettivi, necessita di alcune consapevolezze.

Il sistema elettorale nazionale, benché pessimo per i diritti di cittadinanza, ha mandato letteralmente in fumo il potere delle cosche di condizionare l’elezione dei parlamentari. Le liste di «nominati» su base regionale sono una vera e propria dannazione per i padrini che non sono in grado di far eleggere alcun parlamentare con il proprio voto. Il proporzionale a preferenza multipla è stato, invece, una pacchia per il clientelismo e le infiltrazioni. La modificazione del sistema elettorale nazionale, nel recupero della sovranità popolare rispetto alla scelta dei candidati, io credo, non potrà non tenere conto di tutto questo.

Così il macigno elettorale delle cosche, che sono tuttora in grado di spostare nei proprie enclave centinaia di voti, si dirige sempre di più verso le elezioni regionali e amministrative, dove le preferenze ancora pesano e sono fortemente inseguite dai candidati, come dimostrano inchieste giudiziarie anche recenti in Calabria e Campania. Un inseguimento che non è specifico di questo o quel partito, ma che viene mantenuto in piedi dalla mafia col solo ed unico criterio della propria convenienza. Un federalismo pienamente attuato necessiterà, quindi, anche di qualche accorgimento nei sistemi elettorali locali che tocca, ovviamente, alla politica individuare.

Ancora, il trasferimento di poteri e risorse verso le regioni o i comuni rischia di favorire l’azione di una «mafia di prossimità» che fa del controllo ossessivo del territorio il suo punto di forza. E’ evidente che in uno Stato federale compiuto sarà ancora più importante per le cosche avere collusioni e complicità con un assessore regionale, piuttosto che con un ministro, poiché gran parte delle risorse saranno gestite a quel livello. Si pensi a cosa hanno significato per il potere mafioso settori già a larga competenza regionale come la sanità, la gestione degli operai forestali, l’urbanistica, i trasporti locali o la distribuzione dei finanziamenti europei. D’altronde non si può negare che l’autonomia regionale della Sicilia non ha operato da fattore in grado di contenere o contrastare l’endemica presenza della mafia in quella regione. Le mafie corrono dove c’è il denaro: questa resta la vera e fondamentale loro caratteristica.

Si pone, quindi, il problema dei controlli pubblici sull’attività degli enti territoriali, di fatto cancellati da oltre un decennio, e del complessivo adeguamento delle istituzioni che contrastano l’illegalità (le procure regionali della Corte dei Conti sono a ranghi insufficienti, v’è l’urgenza di una buona legge anticorruzione). La strada della trasparenza e dei controlli nella gestione delle risorse e nell’esercizio delle funzioni amministrative è decisiva. La percentuale di mafiosi che non paga i tributi locali con la compiacenza o il terrore di tanti amministrazioni comunali è elevata e talune inchieste hanno anche affrontato tale endemico e odioso privilegio. Si badi a rendere vigorosa l’azione di tutte le istituzioni sul territorio, altrimenti la scommessa per uno Stato moderno e efficiente rischia di essere perduta.

*Magistrato presso la Direzione nazionale antimafia

La Stampa 29.01.11