Ognuno dà il giudizio che vuole sulle nottate di Arcore. Ma un fatto è chiaro: molte, forse tutte le ragazze che vi hanno partecipato erano spinte dalla speranza di mettere un piede nel mondo dello spettacolo. La stessa speranza sta dietro la sorprendente posizione delle loro famiglie, che spesso le incoraggiavano ad accettare qualunque cosa pur di favorire quella carriera. Questa speranza è una misura della visione distorta del futuro che ormai attanaglia tante famiglie italiane. Per molte di esse la carriera nello spettacolo è un investimento più solido dell’istruzione. Ma è una chimera costosa, per le povere ragazze che ne sono vittime e per la società. Una su mille ci riesce; ma anche per coloro che ci riescono, la nozione di “carriera” si riduce tipicamente a qualche apparizione, un tempo a Drive in, oggi a Colorado.
Semplicemente, il ritorno economico da questo investimento è tra i più bassi che si possa immaginare. E i danni psicologici di lungo periodo, quando queste ragazze una volta usate si ritrovano senza né arte né parte, non sono quantificabili. Eppure, questo segnale sbagliato alimenta una fabbrica di sogni che deraglia ogni anno migliaia di giovani. È come se le famiglie fossero martellate da una pubblicità ingannevole, simile a quella che spinge milioni d’individui, molti dei quali indifesi, a gettare soldi nelle lotterie.
Ma non è solo un problema privato delle ragazze che cadono nella trappola. Questa fabbrica dei sogni ha effetti negativi su tutti i giovani. I programmi cui le poche fortunate partecipano, e le parti che sono costrette ad accettare, sono degradanti per loro e per le donne italiane, e danno un segnale sbagliato agli adolescenti. Alla tv italiana, a qualsiasi ora e su qualsiasi rete, non si può dare un risultato di calcio o presentare un quiz per famiglie se dietro il conduttore non c’è una ragazza rigorosamente seminuda e altrettanto rigorosamente zitta, o che memorizza al più una battuta pateticamente ammiccante.
Si può obiettare che le donne hanno diritto di fare e mostrare quello che vogliono in tv; vero, ma in paesi dove l’emancipazione delle donne è più avanzata, dove esse più facilmente raggiungono posizioni di rilievo nella cultura, nella politica e nel lavoro, una simile televisione è semplicemente inaccettabile. Gli stranieri restano spesso increduli davanti ai programmi della tv italiana, e si chiedono come le donne possano tollerarli. E qualche anno fa, la clip di una scena del programma per famiglie Domenica in, in cui due ragazze mimavano una scena lesbica, finì, senza ironia, su un sito porno americano. È sorprendente che si parli così poco dell’umiliazione continua cui sono sottoposte le donne e le adolescenti: forse perché si teme di passare per bacchettoni. Ma il risultato di questa sottocultura è un altro fenomeno di cui nessuno parla, l'”adultizzazione” forzata dell’adolescenza, compresa una sessualizzazione volgare e sottomessa. Anche di questo nessuno parla, forse anche perché vi partecipano allegramente tanti giornali, riviste, case di moda e stilisti politically correct.
Cosa si può fare? Se mai è esistito, il codice di autocontrollo chiaramente non ha funzionato; l’Agcom, l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, non può o non vuole intervenire efficacemente. L’unica soluzione è l’iniziativa dei consumatori, il boicottaggio delle aziende che fanno pubblicità in questi programmi.
Il boicottaggio è sempre pericoloso: qualcuno si deve ergere a giudice di cosa è accettabile e cosa no. Ma in casi come questi non vi sono alternative, e per fare la frittata bisogna rompere le uova. Il boicottaggio è anche difficile: spesso non si vedono i frutti, soprattutto all’inizio. Ma molti prodotti pubblicizzati in questi programmi sono di largo consumo, per famiglie o persone di tutte le età: le aziende che li producono non possono permettersi controversie. Basterà che un’azienda si ritiri e molte altre la seguiranno. Oggi la tecnologia per organizzare un boicottaggio è molto più efficace di una volta: il tam tam su Facebook o sui blog può mobilitare in un giorno centinaia di migliaia di persone. Il boicottaggio è l’unica alternativa praticabile all’accettazione supina di un umiliante status quo.
Il Sole 24 Ore 26.01.11