A Montecitorio oggi il ministro della cultura sulla graticola.. “Credo sia più importante partorire che la mozione su Bondi”. La battuta di Pier Ferdinando Casini anticipa il prevedibile esito della votazione di oggi sulla mozione di sfiducia contro il ministro della cultura. Ieri, infatti, la conferenza dei capigruppo ha respinto la richiesta dell’Udc, sostenuta da tutte le minoranze, di rinviare il voto alla prossima settimana, a causa della sovrapposizione con i lavori dell’assemblea parlamentare del consiglio d’Europa, chiamato in particolare giovedì mattina a esprimersi su un documento di censura alle violenze contro i cristiani in Medio Oriente.
Ad appoggiare l’ipotesi di rinvio era stato anche il capogruppo leghista Reguzzoni, ma al Pdl è bastato fare due conti per imporre lo stop: in questi giorni, la minoranza a Montecitorio è a ranghi ridotti, a causa di diversi assenti per motivi di salute (compresa la finiana neomamma Giulia Bongiorno, cui si riferisce Casini con la sua battuta), ai quali si aggiunge il centrista Luca Volontè, capogruppo del Ppe in consiglio d’Europa, già a Strasburgo da lunedì. Non basterà quindi che i tre deputati che rappresentano il Pd in quel consesso (Franceschini, Fassino e Rigoni) abbiano annullato la trasferta: la bilancia pende decisamente dalla parte della maggioranza. Da qui il veto di Cicchitto e del governo in conferenza dei capigruppo, che ha costretto il presidente Fini a prenderne atto e a confermare il calendario dei lavori.
Salvo sorprese, quindi, il ministro dovrebbe riuscire oggi a salvare la propria poltrona: all’appello nominale dovrebbero rispondere no sulla carta 315 deputati, contro i 305 sì (restano incerti Paolo Guzzanti e i due esponenti della Svp). Nella maggioranza è già scattato il serrate le file, per evitare infortuni come quelli che si sono verificati ancora ieri in senato, dove la maggioranza è stata sconfitta una volta dalle opposizioni e due votazioni si sono chiuse in parità (in discussione c’era la riforma delle norme sul condominio). Il centrodestra utilizzerà quindi il voto odierno come una prova di forza, utile a compattare la maggioranza in vista di passaggi più complicati. Il primo sarà quello sul federalismo, calendarizzato per giovedì 3 febbraio nella relativa bicameralina.
Un passaggio che, al di là del merito della riforma, assume un significato politico più generale. Le opposizioni, e il Pd in particolare, sembrano voler chiudere le porte a un lavoro condiviso, sul quale la Lega ha sempre puntato. Si sono presto sgonfiate anche le voci che lasciavano presupporre un possibile scambio con il Carroccio tra il federalismo e la fine del governo Berlusconi. Bersani, che ieri dopo la riunione della segreteria ha convocato al Nazareno un vertice ristretto ad hoc proprio sul federalismo, è stato netto: «Questa roba devasta il paese». E il vicecapogruppo alla camera Michele Ventura ha confermato che il Pd non condurrà alcuna trattativa sottobanco, ma solo «nelle vie istituzionali».
Bersani rincarerà la dose venerdì, in apertura dell’assemblea nazionale del partito che si svolgerà a Napoli. In quella sede chiederà ancora una volta la fine del governo Berlusconi, per la quale il Pd si sta anche mobilitando nel paese, con la raccolta delle firme (l’obiettivo è raggiungere quota 10 milioni entro l’8 marzo). Al centro dell’assemblea ci saranno le proposte su giovani e Sud, ma anche su cultura, sicurezza, sanità e pubblica amministrazione. Il segnale politico che il Nazareno intende trasmettere è quello di un partito unito e pronto a ogni evenienza, voto compreso. Soprattutto in una fase in cui, anche a seguito della manifestazione del Lingotto (come rivendica la minoranza di Movimento democratico), i sondaggi tornano a far registrare il segno più davanti al trend del Pd.
da Europa Quotidiano 26.01.11