attualità, politica italiana

"Il premier e il fattore sessuale", di Nadia Urbinati

Citando la massima evangelica “chi è senza peccato…” il Presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni ha commentato che «quello che sta venendo a galla [a proposito del presidente del Consiglio] non è qualcosa di confortante, ma si tratta di accompagnare alla malinconia di quello che sta uscendo anche la considerazione del fatto che va rispettato il diritto di privacy di qualcuno». Questo argomento ripete uno schema popolare – quello morale e religioso che viene riproposto ogni qual volta Silvio Berlusconi deve fare i conti con gli effetti pubblici della sua vita privata. Ma questo argomento è assolutamente fuori luogo nella riflessione politica e al più retorico, fatto più per giustificare il presidente del Consiglio che per dar conto di quel che sta avvenendo nel nostro Paese.
Quanto si legge in questi giorni sulle abitudini private del premier collima con quando Veronica Lario aveva a suo tempo affermato circa la patologia del marito e dovrebbe essere la base per una riflessione che non è per nulla di tipo morale o spirituale, ma ha invece a che vedere con la competenza stessa del primo ministro a svolgere le sue funzioni. A questo giudizio si può giungere se si prendono in considerazione gli studi sulle emozioni in politica, un settore di ricerca sempre più importante e attrezzato scientificamente.
Le emozioni sono stati fisiopsicologici che gli studiosi includono tra i “fattori viscerali” del comportamento, fattori che la ragione fa una certa fatica a dominare, tanto da aver bisogno di appoggiarsi su strategie supplettive o di sostegno. Gli studiosi del comportamento includono questi “fattori viscerali” nella categoria generale di quelli fisiologici, come la fame, la sete, il bisogno di evacuare; il desiderio sessuale è tra questi. E come gli altri, esso può generare comportamenti compulsivi che sono di ostacolo alla decisione perché nelle loro forme estreme interferiscono fortemente con il comportamento razionale e le sue regole. Per questa ragione, si mettono in campo strategie supplettive, come quando si suggerisce per esempio ai mediatori di conflitti o ai negoziatori di non bere caffè prima del lavoro che devono compiere perché essendo un diuretico esso può interferire con l´azione razionale e distrarre l´agente al punto di fargli fallire il suo compito. Lo stesso si fa con gli studenti che si presentano a un concorso quando si suggerisce loro di astenersi dal bere o mangiare determinate sostanze prima della prova d´esame per evitare di trovarsi a dover gestire bisogni non controllabili nel momento meno opportuno. Il fattore sessuale non controllato è un “fattore viscerale” di questo tipo – la cultura, ovvero l´educazione morale e dei comportamenti pratici opera sugli esseri umani fin da piccoli proprio per renderli in grado di regolare queste emozioni. La questione non è moralistica dunque, ma funzionale e pratica: lo scopo dell´educazione delle emozioni deve mirare a fare degli individui persone capaci di gestirsi autonomamente nel rapporto con gli altri ed essere agenti collettivi efficaci.
Questo è il caso che riguarda gli italiani oggi, un caso legato all´abnorme vita sessuale del loro premier, rispetto alla quale gli attori pubblici, dai politici ai media agli stessi cittadini, non dovrebbero che pronunciare giudizi di efficienza, pertinenza e competenza. Una persona che sente acuto il bisogno di mangiare, che soffre la fame, è probabilmente non un buon politico; non perché ciò mette in dubbio le sue incapacità cognitive – probabilmente si tratta anzi di una persona dalle grandi potenzialità – ma per la sua fattuale e oggettiva dipendenza da fattori che sono fuori del suo controllo e urgenti. Soddisfare l´appetito per chi è affamato è il primo e più impellente bisogno: tutto il resto viene dopo. Così, una persona che organizza la propria vita lavorativa in funzione di un dopolavoro di rilassamento sessuale del tipo di quelli al quale il nostro premier si dedica con studio sistematico, non è la più adatta a occuparsi degli affari di Stato, perché altro ha per la testa che più urge e che lo distrae non semplicemente dalla sua funzione pubblica, ma dall´interesse a fare della sua funzione pubblica una funzione efficiente e direttamente soggetta al suo controllo sempre, non qualche ora del giorno. Il politico, soprattutto quando occupa ruoli di responsabilità così alti come quello della presidenza del Consiglio dei ministri non è attore politico solo qualche ora della sua giornata, ma ventiquattro ore, sempre a disposizione poiché sempre responsabile di qualsiasi evento anche d´eccezione che può capitare a una comunità e rispetto al quale egli ha il dover prendere decisioni. Per questa ragione, anche il dopolavoro di rilassatezza, certamente umanissimo e necessario, non può essere mai un totale dopolavoro con una totale rilassatezza.
Le emozioni sono dunque un fatto del quale non è possibile non tener conto, soprattutto quando esse riguardano funzioni non facilmente razionalizzabili. Le loro forme estreme o compulsive non solo condizionano la cognizione, ma in molti casi la tengono sotto scacco. Sosteneva Michael Liebowitz che “l´alchimia dell´amore” – cioè del desiderio sessuale – “è simile a quella prodotta dalle anfetamine poiché riduce l´attenzione, ha effetti acuti sulla consapevolezza del mondo e le percezioni della realtà e può perfino condizionare altre emozioni fisiopsicologiche come la fame e la sete. Inoltre, ha effetti che durano prevedibilmente diverse ore mettendo la persona in una oggettiva condizione di difficoltà cognitiva e pratica. Chi di noi affiderebbe i propri interessi a una persona che ha questo genere di emozioni? La questione che sta di fronte al nostro Paese è quella del tipo chiarito da questa domanda; ed è una questione di incompetenza funzionale non tanto di peccato, veniale o mortale che sia.

La Repubblica 21.01.11

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“Noi donne calpestate non possiamo tacere”, di GIULIA BONGIORNO*

Caro direttore, quando è in corso un´indagine che riguarda un personaggio pubblico, l´immancabile amplificazione mediatica che ne consegue è insidiosissima. Di solito, gli elementi divulgati sono soltanto quelli raccolti dai pubblici ministeri. Si finisce così per attribuire il crisma di verità a tesi parziali.E l´idea che se ne fa l´opinione pubblica può risultarne alterata. Da avvocato, sento quindi l´obbligo di sottolineare che l´indagine sul premier Silvio Berlusconi non deve fare eccezione: prima di formulare giudizi in merito alla fondatezza delle accuse mossegli dalla Procura, bisogna senza dubbio attendere gli sviluppi processuali. Fatta questa doverosa premessa, voglio però subito precisare che non sono affatto d´accordo con quanti usano questo ragionamento come arma per stroncare ogni tipo di riflessione critica: in questi giorni ho infatti sentito invocare la presunzione di innocenza per mettere a tacere chi contestava non la consumazione di reati ma fatti storici oggettivamente emersi, fatti che nessun processo potrà mai cancellare.
In definitiva, se prima di condannare è necessario aspettare che si faccia chiarezza sulla sussistenza di certi reati, non si può ignorare che non tutto quanto è emerso in questi giorni è “in attesa di giudizio”: il contesto oggettivo in cui sarebbero maturate le vicende processuali non ha improvvisamente squarciato un velo e mostrato un profilo imprevisto e del tutto inedito del premier.
Nelle aule di Milano si discuterà se Silvio Berlusconi abbia o meno consumato i reati di prostituzione minorile e di concussione, ma non erano necessarie le vicende sottostanti a queste contestazioni – né una sentenza – per conoscere la sua opinione sulle donne. Un´opinione che, se non ha rilevanza penale, ha tuttavia un´enorme rilevanza politica. Un´opinione da lui stesso espressa in modo inequivocabile con battute, barzellette, colloqui pubblici e privati. Un´opinione già delineatasi attraverso le dichiarazioni di Veronica Lario, quelle più recenti di Barbara Berlusconi (due testimoni molto attendibili), le vicende di Noemi Letizia e Patrizia D´Addario, nonché attraverso la singolare questione di alcune donne prima forse inserite nelle liste delle candidature alle Europee del 2009 e poi da quelle liste sicuramente scomparse. Quello che Silvio Berlusconi sembra maggiormente apprezzare nel genere femminile è l´avvenenza, al punto da far passare in secondo piano requisiti di ben altro spessore (credo sia rimasta impressa nella memoria di tutti la rozzezza della battuta all´onorevole Rosy Bindi); ancora meglio, poi, se a un aspetto fisico di un certo tipo si accompagnano giovane età, accondiscendenza e disponibilità ad abdicare al proprio spirito critico.
Di fronte a tutto ciò, ho sentito obiettare che si tratterebbe di questioni attinenti alla vita privata del premier e che dunque – appunto per questo – dovrebbero riguardare soltanto lui e la sua coscienza.
No, non è così.
Non c´è spazio per sostenerlo: lo stile e la filosofia di vita di un uomo che riveste la carica di presidente del Consiglio non possono non ripercuotersi sulla vita pubblica. Lo dimostra il fatto che Berlusconi, con le sue parole e i suoi comportamenti, ha inferto una ferita a tutte le donne italiane: alle donne che studiano e lavorano (spesso percependo stipendi inadeguati o, come nel caso delle casalinghe, senza percepirli affatto), a tutte noi che facciamo fatica un giorno dopo l´altro; alle donne che per raggiungere ruoli di rilievo non soltanto a certe feste non ci sono andate, ma hanno semmai dovuto rinunciare a vedere gli amici; a quante, invece di cercare scorciatoie, hanno percorso con dignità la strada dell´impegno e del sacrificio. E a coloro alle quali è stato chiesto, più o meno esplicitamente, di scegliere tra vita privata e vita pubblica, perché conciliare un figlio con il successo sarebbe stato troppo difficile: con il risultato che hanno rinunciato alla maternità o che ci sono arrivate ben oltre il momento in cui avrebbero voluto.
A ciascuna di loro – nel momento in cui le donne vengono scelte e “premiate” in base non al merito ma a qualcos´altro che con la professionalità, l´impegno, l´intelligenza ha poco o nulla a che fare – è stata riversata addosso l´inutilità del suo sacrificio.
Brucia, questa ferita. Brucia anche perché non sfugge che sono davvero in tanti a sottolineare, forse persino con un pizzico d´invidia, la fortuna e il fascino di un uomo più che maturo circondato da giovanissime più o meno avvenenti che si contendono i suoi favori, pronte a tutto pur di compiacerlo. Anche se, in un paese maschilista come il nostro, la complicità tra uomini turba ma non sorprende.
Ma non si tratta esclusivamente di una ferita inferta alla dignità della donna, c´è di più; mai le battaglie del presidente del Consiglio hanno coinciso con le battaglie delle donne. Basterebbe a tal proposito ricordare che negli elenchi delle priorità di questo governo, che via via vengono snocciolate, figura di tutto – in primis, battaglie contro magistrati “comunisti” – , ma mai, mai, battaglie a favore delle donne. Come se le donne non avessero problemi concreti e indifferibili. Come si può ipotizzare che le leggi per combattere pm “politicizzati” siano più urgenti di quelle che dovrebbero venire incontro alle necessità di tutte noi?
E allora non copriamo con l´alibi del segreto istruttorio, o con il fragile scudo della privacy, ciò che segreto non è, e nemmeno riservato.
Ma sono le donne che per prime devono farsi forti della loro dignità e della consapevolezza del loro valore – senza distinzione di età, credo politico, provenienza geografica – per esprimere a voce alta lo sdegno che questa mentalità suscita, ne sono sicura, nella stragrande maggioranza di noi.
Se credono, gli uomini continuino pure ad ammirare e a sostenere Silvio Berlusconi; le donne, per favore, no.

*Presidente commissione Giustizia della Camera

La Repubblica 21.01.11