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"La riforma della rappresentanza,la nuova sfida aperta dalla Cgil", di Luigina Venturelli

Se la prima fase della partita si è appena chiusa con il referendum di Mirafiori, la seconda si apre oggi con la presentazione a Cisl e Uil della proposta Cgil sulla rappresentanza sindacale. In giornata, sulle scrivanie dei leader confederali che hanno firmato l’accordo separato, Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti, arriverà il documento su cui scommette la segretaria generale di Corso Italia, Susanna Camusso. Non solo per ricomporre le fratture generate dalla vertenza Fiat, assicurando così alla Fiom la possibilità di rientrare nella fabbrica torinese,ma anche per prevenire la reazione a catena che la strategia Marchionne potrebbe generare in altre aziende, del settore metalmeccanico e non.

LA PROPOSTA CGIL La bozza approvata dal direttivo di sabato scorso prevede, tra l’altro, la soglia del 5% (calcolato tra numero di iscritti e voti ottenuti nelle elezioni Rsu) per considerare rappresentativo un sindacato, la verifica tra i lavoratori a trattativa aperta in caso di contrasti tra i negoziatori, e il ricorso al referendum vincolante per superare il permanere del dissenso tra le diverse sigle. L’obiettivo, ha spiegato Camusso, è «costruire una modalità di coinvolgimento dei lavoratori che sia precedente le rotture, darci un metodo che provi a evitare che ogni grande vicenda si concluda con una rottura tra le organizzazioni ».Atal fine la Cgil ha già chiesto un incontro a Cisl e Uil, anche se difficilmente il dialogo si aprirà prima che il clima tra le tre confederazioni si sia svelenito. Dunque, non prima dello sciopero generale delle tute blu indetto dalla Fiom per il prossimo 28 gennaio. Allo stato attuale, le premesse per arrivare ad una riforma condivisa della rappresentanza sindacale sono scarse. «Una proposta unitaria esiste già, se vogliono procedere su quella strada possiamo firmare anche domattina»ha fatto sapere Bonanni, riferendosi al documento unitario del 2008 sottoscritto da Cgil, Cisl e Uil, ma rifiutato dalla Fiom. Mentre il testo proposto ora da Corso Italia servirebbe «solo a confermare la spinta al veto dei metalmeccanici».

IL RICORSO ALLE VIE LEGALI La strada di Susanna Camusso si prospetta tutta in salita. Pur confermando che il sindacato «valuterà se ricorrere alla magistratura» per evitare che la Fiom resti esclusa da Mirafiori dopo l’esito del referendum alle carrozzerie torinesi, la segretaria non ha dubbi, la strada giudiziaria comunque «non basta » e «non si può affidare la rappresentanza sindacale al ricorso della magistratura». E certo non aiuta l’apparente apertura del ministro Maurizio Sacconi che, augurandosi che la Cgil rinunci alle vie legali per salvaguardare la rappresentanza sindacale a Mirafiori, ipotizza un’intesa tra le confederazioni «nella misura in cui la Cgil avrà anche la delega della Fiom a negoziare». Lo scopo resta sempre quello: mettere a tacere il dissenso delle tute blu di Maurizio Landini.

L’Unità 17.01.11

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“Quei lavoratori da proteggere”, di Tito Boeri

INVECE dell’accordo storico abbiamo avuto un disaccordo senza precedenti. Non sarà facile governare Mirafiori.Non sarà facile governare gli impianti con il 50% di operai favorevoli e il 50 di contrari. Sarà una sfida in più per Marchionne. Meglio, comunque, sospendere il giudizio sul suo operato. I manager vanno giudicati dai risultati e non dalle intenzioni. Potremo fra due o tre anni trarre un primo bilancio della sua gestione. Nel frattempo bene che gli azionisti rivedano gli schemi di remunerazione del management in modo tale da incentivare il raggiungimento di obiettivi di lungo periodo. Bene anche che il governo si schieri a favore del paese, spingendo affinché tra questi obiettivi ci sia anche la salvaguardia degli attuali livelli occupazionali senza ulteriori aiuti di Stato, incrementi salariali per i lavoratori in linea con i miglioramenti di produttività e, soprattutto, il mantenimento a Torino del cuore delle fasi di progettazione, quelle in grado di avere ricadute produttive sull´intero sistema produttivo.
Il referendum a Mirafiori è stato salutato dal nostro ministro del Lavoro come una nuova era nelle relazioni industriali. Ci indica, invece, una volta di più che è un sistema che fa acqua da tutte le parti: copre sempre meno lavoratori, interviene sempre più in ritardo e accentua, anziché gestire, i conflitti, non incoraggia gli aumenti di produttività e salari. Costringe a creare una nuova azienda e ad uscire dalle associazioni di categoria per fare contrattazione a livello decentrato, diventando così ancora meno governabile. Le riforme più urgenti riguardano le regole sulle rappresentanze sindacali, i livelli della contrattazione, la copertura delle piccole imprese, i minimi inderogabili e i confini fra contrattazione collettiva e politica.
Nel confronto su Mirafiori la frattura tra i sindacati si è ulteriormente accentuata. Occorrono regole che permettano la contrattazione – il che significa prendere impegni con la controparte e rispettarli – anche quando il sindacato è diviso. E che non condizionino come a Mirafiori la rappresentanza dei lavoratori alla firma del contratto.
I livelli della contrattazione. Nelle aspre polemiche di questi giorni, i sindacati si sono rinfacciati di avere sottoscritto accordi ben più onerosi per i lavoratori in altre imprese. Alla Sandretto la Fiom (non la Fim) ha firmato per deroghe al ribasso dei minimi salariali fissati dal contratto nazionale, pur di salvaguardare i livelli occupazionali. Alla STM, alla Micron e alla Exside, Fim, Fiom e Uilm hanno accettato turni che impongono il lavoro notturno molto più di frequente e con maggiorazioni salariali inferiori a quelle previste alla Fiat. E ci sono molte piccole e medie imprese nel metalmeccanico in cui si accettano condizioni di lavoro ancora più pesanti in quanto a turni e pause. Non c´è nulla di male se un sindacato accetta queste condizioni in un´azienda e non in un´altra. Può farlo perché i lavoratori hanno esigenze diverse, perché le caratteristiche delle mansioni sono differenti, perché le condizioni del mercato e il potere contrattuale dei lavoratori cambiano a seconda dell´impresa e delle condizioni del mercato del lavoro locale. Questo dimostra che c´è bisogno di contrattazione azienda per azienda. E´ l´unica che permetta al sindacato di salvaguardare posti di lavoro in aziende in difficoltà o di rinunciare ad aumenti salariali per fare assumere più lavoratori. A livello nazionale si può solo contrattare sui salari, non sui livelli occupazionali. Chi si oppone al rafforzamento del secondo livello della contrattazione, rinuncia di fatto a tutelare molti posti di lavoro.
La contrattazione aziendale è difficile in aziende medio-piccole. In molte di queste non potrà che continuare a valere il contratto nazionale. Oltre a dare copertura contro l´inflazione bene che fissi delle regole retributive più che dei livelli salariali uniformi da imporre in realtà tra di loro molto differenziate. Ad esempio, si può stabilire che una quota minima dell´incremento della redditività di un´azienda sia trasferita ai lavoratori sotto forma di salario più alto. Un sindacato che continua a lasciare da soli i lavoratori delle piccole imprese nel loro tentativo di partecipare agli incrementi di produttività non ha futuro nella stragrande maggioranza delle imprese italiane. Come evidenziato anche dalla composizione del voto a Mirafiori (il turno di notte, che avrà i maggiori carichi di lavoro e incrementi retributivi, ha votato a larga maggioranza a favore del sì, al contrario degli altri reparti) oggi molti lavoratori italiani sono disposti a lavorare di più e in condizioni più pesanti pur di guadagnare di più. Non sorprende data la stagnazione dei salari negli ultimi 15 anni.
Questo ci porta ai minimi inderogabili. Bene definirli con precisione e preoccuparsi di farli rispettare per tutti. Ci vogliono dei minimi al di sotto dei quali nessun contratto può scendere. Devono essere per forza di cosa essere fissati per legge e valere per tutti, anche per chi lavora nel sindacato, nei partiti o nel volontariato. Ci vuole un salario minimo orario. Ma ci vogliono anche un´assicurazione sociale di base, a partire da quella contro la disoccupazione.
Infine i confini tra contrattazione e politica. Troppi politici hanno perso in queste settimane un´ottima occasione per stare zitti, pronunciandosi a favore o contro l´accordo Mirafiori. E´ una ingerenza fastidiosa, inaccettabile, e hanno fatto bene i leader confederali a denunciarla. Ma bisogna ammettere che troppe volte è proprio il sindacato a chiamare in causa la politica. Lo ha fatto anche a Mirafiori. Bene che la smetta. La politica non si fa certo pregare quando si tratta di invadere terreni su cui non dovrebbe avere alcuna voce in capitolo.

La Repubblica 17.01.11