Il meccanismo è sempre lo stesso. Evitare il contraddittorio, sostituire il reale con il virtuale. Silvio Berlusconi anche stavolta vuole utilizzare la tattica sperimentata da tempo. Quella che gli ha consentito di uscire indenne da quasi tutti gli incedenti politici e giudiziari degli ultimi 17 anni. Presentarsi in televisione per esporre le proprie ragioni. Senza, però, ascoltare quelle degli altri. Senza mediazioni. Né quella giudiziaria, tanto meno quella giornalistica. Tentando di ricomporre di volta in volta un rapporto diretto con i cittadini e con gli elettori.
L´obiettivo non cambia mai: bypassare le regole che disciplinano il reale per rituffarsi nel virtuale. Così, dinanzi ad un´inchiesta giudiziaria che muove i suoi passi in base ai codici e presenta i suoi atti come prevede l´ordinamento vigente, la risposta del presidente del consiglio è proprio quella di far slittare il confronto su un altro piano. Come se alle domande poste dai magistrati si potesse replicare rivolgendosi ad altri interlocutori. Avendo così la certezza di un solo verdetto: l´autoassoluzione.
Il presidente del consiglio non ha ancora scelto se presentarsi il prossimo week end davanti ai giudici che gli hanno inviato un mandato di comparizione. Una decisione che maturerà nei prossimi giorni e che si baserà con ogni probabilità soprattutto sulle convenienze politiche più che legali. Se la strada che porterà alle elezioni si dovesse rivelare inevitabile, allora il Cavaliere opterà per trasformare le aule dei tribunali in una platea da cui far partire la campagna elettorale. In caso contrario farà di tutto pur di cancellare l´appuntamento con i pm di Milano. La mossa di ieri, infatti, è dettata proprio dal tentativo di uscire dal gioco sancito dalla legge. Si difende in televisione nella convinzione che dei suoi atti debba rendere conto solo a chi lo ha votato e ai telespettatori. Cerca in questo modo di arginare l´impatto delle notizie contenute nelle trecento pagine trasmesse dalla procura alla Giunta per le autorizzazioni della Camera. Rilancia sperando di non farsi schiacciare dal peso dei documenti forniti dai procuratori.
Eppure, per sgombrare davvero il campo dai dubbi e dai sospetti che anche molti dei suoi sostenitori stanno ormai coltivando, il capo del governo ha una sola possibilità: illustrare le sue ragioni in tribunale. Dimostrare davanti ai giudici e non davanti alle telecamere che le accuse a suo carico sono infondate. La fisiologia istituzionale imporrebbe questa unica e sola soluzione. Aggirarla rischia di trascinare il dibattito politico e l´attività del governo in una paralisi troppo lunga per il Paese. In una palude in cui tutti affondano.
Pensare poi di poter utilizzare come fattore decisivo l´improvvisa presenza nella sua vita privata di una nuova fidanzata, di una «relazione stabile» dopo la separazione dalla seconda moglie, sembra essere più uno stratagemma del suo marketing politico-aziendale che non un concreto elemento di prova a disposizione della sua difesa. L´ennesimo tentativo di blindare la propria privacy fornendo ai telespettatori – solo ai telespettatori – gli aspetti più edificanti della sua stessa privacy.
Nessuno infatti può ignorare che i racconti relativi alle feste di Arcore poco si addicono ad una cenetta tra fidanzati. Senza contare che questo non è certo il primo episodio. Non si tratta di un “unicum”. È l´ultimo dettaglio di una sequenza piuttosto lunga. E il giurare di non aver «pagato» mai una donna, mal si concilia con i tanti precedenti. Le registrazioni di Patrizia D´Addario sono qualcosa di più di una favola. I viaggi a Casoria per incontrare Noemi Letizia non sono pure invenzioni dei soliti «complottisti». Le denunce della moglie Veronica Lario non possono essere semplicemente gli sfoghi di una consorte ferita nell´orgoglio e nell´onore. Così come gli inviti del suo miglior alleato Umberto Bossi «a pensare meno alle donne», non rientrano nel novero dei consigli faziosi.
Il presidente del consiglio si liberi dunque della sindrome del complotto. Si affranchi definitivamente dal sospetto che i magistrati agiscono con l´esclusivo obiettivo di colpirlo. E – con il senso delle Istituzioni che dovrebbe avere un´alta carica dello Stato – si difenda nelle aule dei tribunali e non negli studi televisivi.
La Repubblica 17.01.11