Non sono sicuramente sfuggite a nessuno le fotografie che facevano da contorno a Silvio Berlusconi durante il «discorso alla nazione» pronunciato ieri in un videomessaggio. Sulla scrivania e sulla mensola alle spalle del premier istantanee incorniciate uguali a quelle che milioni di italiani tengono in ufficio. Mamme, papà, mogli, figli, nipoti, ricordi di una vacanza: momenti di vita familiare che accomunano i grandi leader agli impiegati di quarto livello.
L’iconografia scelta dal premier per difendersi da questa ennesima bufera è perfettamente conforme alla sostanza delle parole pronunciate: Berlusconi ha insistito nel rivendicare il ruolo del buon padre di famiglia, ha negato di avere mai pagato, in tutta la sua vita, una donna in cambio di prestazioni sessuali; ha addirittura rivelato che perfino dopo il suo secondo divorzio, quello da Veronica Lario, ha resistito alla tentazione di una terza giovinezza da single cercando e trovando un rapporto «di affetto stabile» con una nuova compagna.
In che cosa è diverso tutto questo dalle precedenti autodifese di Berlusconi? Beh, non è difficile vedere una differenza tra il Berlusconi di ieri e quello che alle accuse di condurre una vita da bon vivant rispondeva ammiccando: che cosa volete farci, a me piacciono le donne. Magari con l’aggiunta: meglio uno a cui piacciono le donne che uno a cui piacciono gli uomini. Battute e confessioni da libertino impunito che avevano trovato l’approvazione del suo mondo, cioè del popolo che lo vota, lo ama e tutto gli perdona. Anche donne di una certa età sorridevano indulgenti di fronte alle scappatelle del capo: «Che cosa volete, l’uomo è cacciatore», dicevano rassegnate le donne romagnole di una volta, lo diceva anche donna Rachele del suo Benito.
Ieri Berlusconi ha scelto invece un’altra strategia, che è poi la stessa del vecchio volume che fece spedire a pioggia a chiunque fosse munito di certificato elettorale (lo ricordate? Si chiamava «Una storia italiana», zeppo di foto di famiglia in posa nella villa di Macherio) e che è anche la stessa strategia appena utilizzata tramite uno dei giornali di famiglia, «Chi», che nel numero della scorsa settimana aveva un servizio sul Natale in casa di un premier attorniato da figli e nipoti; un servizio preceduto e seguito da altri servizi che mostravano invece Di Pietro in compagnia di una misteriosa bionda e Fini su spiagge esotiche con la sua compagna Elisabetta Tulliani, addirittura a pochi metri da Fabrizio Corona e Belen.
La famiglia, insomma, la famiglia. Berlusconi ha chiamato a raccolta gli italiani attorno a uno dei valori più antichi e sicuri del nostro popolo: la famiglia. E anche attorno a una condotta di vita, se non morigerata, comunque ispirata ai tradizionali valori di serietà, di decenza, di eleganza. Con questa scelta, in fondo, Berlusconi ha smentito tutti quei suoi zelanti difensori che sostengono che in casa propria ciascuno fa ciò che vuole, e che nessuno può giudicarlo per quel che accade sotto le sue lenzuola. No, Berlusconi non ha sostenuto questa tesi. Ha sostenuto piuttosto che in casa sua non succede nulla di disdicevole e che nulla, in fatto di lenzuola, gli può essere rimproverato.
E’ probabile, se non evidente, che il cambio di linea difensiva sia stato dettato da una constatazione: il premier ha preso atto che a questioni come queste – i presunti festini a luci rosse, i presunti rapporti con minorenni eccetera – gli italiani sono tutt’altro che indifferenti. Gli italiani e forse non solo gli italiani: Berlusconi è ben cosciente che qui è in gioco anche un prestigio internazionale da difendere.
Ci sbaglieremo, ma ci è parso chiaro che il presidente del Consiglio è preoccupato, più che del possibile risvolto giudiziario, dell’impatto che avrà sull’opinione pubblica interna ed estera la possibile pubblicazione di stralci di atti dell’inchiesta. Soprattutto di stralci di intercettazioni telefoniche. Berlusconi nel videomessaggio si è preoccupato di convincere in anticipo il pubblico sul carattere scherzoso e a volte millantatorio di certe telefonate. Perché l’ha fatto? Non è un mistero per nessuno che Berlusconi quelle intercettazioni le ha lette, essendo allegate all’invito a comparire che gli ha spedito la Procura di Milano. Le ha lette e ieri appariva terrorizzato dall’idea che presto certi discorsi delle ragazze al telefono saranno di dominio pubblico.
Forse un giorno qualche storico accosterà il videomessaggio di ieri al videomessaggio di diciassette anni fa, quello in cui Berlusconi annunciava la discesa in campo («L’Italia è il Paese che amo»). Un accostamento che potrebbe contrassegnare l’inizio e la fine di un’epoca. Chissà. Non è detto che Berlusconi sia arrivato all’epilogo della sua avventura politica: il consenso di cui gode nel Paese è ancora altissimo. È però probabile che un confronto tra i due videomessaggi sarà fatto comunque. Il primo video, quello del ’94, fu studiato dagli esperti di media di tutto il mondo come avanzatissimo modello di persuasione di massa. Il secondo, temiamo, passerà alla storia come prova di quanto sia malmessa l’Italia dei nostri tempi, costretta a vivere in una soap opera.
Comunque la si pensi, infatti, non c’è dubbio che prima ancora che cominci il processo un condannato c’è già, ed è il nostro Paese, condannato appunto a vivere la politica come un Beautiful ancor peggiore dell’originale. Incombono i grandi temi della riconversione industriale, delle nuove relazioni con i sindacati, della competitività sul mercato internazionale, dei grandi investimenti. E invece siamo qui a parlare di Ruby Rubacuori e a vedere un premier che, per rassicurare la Nazione, fa sapere di avere un rapporto stabile con una nuova compagna. «Non si può andare avanti così», ha detto ieri Berlusconi a un certo punto. Siamo tutti d’accordo.
La Stampa 17.01.11