In Francia è diventato un caso che sta varcando i confini nazionali. S’intitola «Indignatevi!» ed è un pamphlet che esorta alla mobilitazione contro gli orrori del nostro presente. L’autore è un ex partigiano di novantatrè anni. Contattarlo non è stato per niente facile. Incontri durante tutta la giornata, interviste, domande e troupe tivù da tutta Europa fin dentro al tinello di casa. La moglie a smistare telefonate, appuntamenti, richieste che in queste ore gli arrivano da ogni dove. A 93 anni Stéphane Hessel poteva godersi un meritato e giusto riposo, soprattutto dopo la vita convulsa, avventurosa e assolutamente encomiabile che ha condotto. Invece il suo ultimo «libretto», come ama chiamarlo con candida modestia, ha fatto un baccano infernale qui in Francia. Nessuno se lo aspettava, né lui, né tantomeno la piccola casa editrice di Montpellier, la Indigène Editions, che qualche mese fa ha avuto l’idea di pubblicare qualche pagina di questo pezzo della storia francese. Più che altro si trattava di un omaggio, di dare la parola con una trentina di paginette al resistente, all’eroe di guerra, all’uomo che aveva speso la vita al servizio dei diritti universali dell’uomo. Poi, appena uscito lo scorso ottobre, si è subito capito che il pamphlet di Hessel, Indignez vous!, per qualche arcano disegno del destino arrivava esattamente nel momento in cui i francesi si volevano sentir scossi, e forse meno soli in questa fase storica segnata dall’individualismo e dalla dittatura della contabilità finanziaria. In questi due mesi la domanda è stata tale che le librerie non facevano in tempo a rifornirsi che già vedevano i loro stock esaurirsi a tempi di record. Ad oggi si sono susseguite una decina di ristampe per un milione di copie tirate e oltre settecentomila vendute. Le case editrici si sono mosse dai quattro angoli del pianeta, e dalla Corea all’Italia, dagli Stati Uniti al Giappone hanno preso d’assalto il telefono della Indigène Editions. Oltralpe Indignatevi! è diventata la parola d’ordine: se ne discute nei caffè, ci si scalda sui giornali e nelle tivù, e anche il primo ministro François Fillon si è sentito in dovere, qualche giorno fa, di dire la sua nel corso della conferenza stampa di inizio anno per calmare gli animi di chi vuole mettere a profitto questa chiamata alla mobilitazione.
«Sinceramente non me lo aspettavo», ci dice Hessel quando la moglie trova anche per il cronista de l’Unità un po’ di tempo prima di cena per discutere di democrazia e partecipazione col sollecitatissimo autore del bestseller del momento. Che ci confessa che forse il successo dipende dal fatto che si tratta di un libro corto e semplice; che forse anche il prezzo «a buon mercato», soli tre euro di costo, ha contribuito; o forse, ma qui Hessel calca sulla voce, semplicemente si tratta di un «titolo provocatore che arriva in un momento in cui molta gente è insoddisfatta del modo in cui la società è governata». Se in Italia il berlusconismo è un narcotico della democrazia che trasforma in catalessi la partecipazione alla res pubblica, non è che in Francia il sarkozismo sia questo propulsore della storia, così come in ogni luogo dove la politica è prona agli interessi di parte, «spesso economici e finanziari». E, dice Hessel «la democrazia senza partecipazione non è più democrazia». Se un tempo l’indignazione era «il primo passo» verso la partecipazione, verso, insomma, l’impegno a cambiare lo stato di cose presente, come si diceva, oggi le ingiustizie macro e micro economiche, le angherie più volgari, lo sfruttamento, la corruzione, la sofferenza anche individuale, sembrano non più in grado accendere alcuna miccia. Ognuno nel proprio angolo a cercare di sbrigarsela, dimentichiamo che la realtà non è un dato immutabile, ma il prodotto dell’azione umana e, magari insieme agli altri, «possiamo provare a cambiarla», dice Hessel.
«Forse per noi era più facile indignarci, le cose erano più chiare», aggiunge, facendo riferimento alla Resistenza al nazifascismo. Lui stesso, «indignato» per l’occupazione raggiunse da Londra la Francia libera del Generale De Gaulle che «aveva saputo dire no e resistere». Per le sue attività durante la guerra venne anche catturato e deportato in vari campi di concentramento tedeschi, ma per una serie di fortunate vicende riuscì prima a salvare la pelle e poi a fuggire. Ciò gli consentì di partecipare da protagonista prima all’avventura del Consiglio nazionale di resistenza e poi addirittura alla commissione dell’Onu incaricata di stendere la Dichiarazione universale dei Diritti dell’uomo.
E a quei valori Hessel fa ancora riferimento. «Quello che dico nel libro è che ci sono un certo numero di valori fondamentali in nome dei quali è necessario indignarsi, e sono i valori della dichiarazione dei diritti universali e quelli della resistenza, che sono valori collettivi forti minacciati» da un potere del danaro che non è mai stato così «grande, insolente ed egoista» come oggi. E ci racconta di come l’interesse generale guidava invece l’azione degli uomini usciti dalla guerra e di come li portò a creare uno Stato che ridistribuiva le ricchezze più equamente.
«In questo mondo ci sono cose insopportabili, e per vederle basta solo guardarle». L’indignazione dei giovani, e non solo, può accendersi di fronte al divario «sempre più intollerabile» tra ricchi e poveri, di fronte alle politiche d’espulsione dei rom e degli immigrati, di fronte alla distruzione del pianeta. Il catalogo è lungo, ma Hessel resta nonostante tutto un incredibile ottimista, un uomo dalla speranza di ferro convinto seguace di un idea semplice che gli viene da Jean-Paul Sartre e recita che bisogna impegnarsi in quanto individui responsabili, perché «la responsabilità non la si può rimettere né al potere né a dio».
Lui che poteva aspirare ad un’esistenza tranquilla, quasi da favola, essendo il figlio di Franz Hessel (traduttore, agiato intellettuale e protagonista nella realtà del triangolo amoroso trasposto sullo schermo da François Truffaut in Jules e Jim), acceso dall’indignazione e mosso dalla speranza, ha invece modellato la sua vita, prima nella resistenza e poi nella diplomazia di alto rango, nell’impegno e il servizio dei valori universali. E ancora oggi conserva l’ottimismo e la speranza tra i suoi orizzonti di condotta. «Le cose possono sempre migliorare, anche oggi, se c’è uno scatto collettivo dei cittadini, una mobilitazione attiva, coraggiosa e fiduciosa in se stessa».
E la speranza riporta i ricordi di Hessel all’amico Walter Benjamin, il filosofo tedesco che salutò a Parigi, nell’estate del ’40, prima di partire fiducioso verso la Resistenza. «Benjamin aveva una visione diversa della storia. Io ero un hegeliano, lui vedeva la catastrofe incombente e forse quella catastrofe lo ha raggiunto nell’hotel di Port Bou, dove braccato dai nazisti si è tolto la vita». Da Benjamin Hessel ha però imparato che la storia non è esente dal rischio di chiudersi drammaticamente, ma persiste in lui, anche alla fine della sua vita, la fiducia nelle capacità collettive dell’uomo. L’importante, chiude prima di congedarci, è «non restare inattivi, non restare indifferenti e non lasciarsi scoraggiare». Consigli di un giovane vecchio.
L’Unità 16.01.11