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"La fuga del sovrano", di Giuseppe D'Avanzo

Quale che sia oggi la decisione della Consulta sulla costituzionalità del «legittimo impedimento», Berlusconi può starsene tranquillo ché l´uso privatistico del Parlamento ha raggiunto il suo scopo. La prescrizione che si è acconciata da solo, azzopperà i tre processi che lo vedono imputato di corruzione (Mills), frode fiscale (diritti tv Mediaset), appropriazione indebita (Mediatrade). Intendiamoci, se fosse un imputato qualunque – «un imputato in scadenza termini», come dicono gli addetti – il tribunale stringerebbe i tempi e (per esempio) il “processo Mills”, che ha davanti un anno di tempo prima di “morire”, forse riuscirebbe a chiudersi anche in Cassazione. Così non sarà perché le intimidazioni del Sovrano, le aggressioni del sistema politico, governativo e mediatico che controlla lasciano il segno e provocano nelle toghe indecisioni e timidezze che attardano il cammino del processo più delle gimkane organizzate dagli avvocati. Dunque, il premier si salverà ancora, anche se i cinque giudici su sette che si occupano di lui, trasferiti ora ad altri incarichi, dovessero essere “applicati” (come probabilmente accadrà) fino alla fine dei processi. Da questo punto di vista, Berlusconi ha ragione ad essere, come dice, «indifferente» alla pronuncia della Corte Costituzionale. Non gliene può venire un immediato danno giudiziario (quel che più temeva), ma gli si deve chiedere: davvero il premier può essere disinteressato a quel che accadrà alla sua immagine di padre, di tycoon di talento, di uomo di governo che ambisce a concludere il ventennio della sua éra politica al Quirinale, presidente della Repubblica, capo dello Stato?
Se si guarda alla questione da questo punto di vista, i processi soffocati prima della sentenza lasciano il Cavaliere assai malconcio. Guardiamone soltanto uno, quello per la corruzione dell´avvocato David Mills che raccoglie interessanti tranches de vie e definisce quasi scandendoli gli eventi dell´avventura imprenditoriale di Silvio Berlusconi.
Come si sa la Cassazione, condannandolo a risarcire il danno, ha già concluso che David Mills è stato corrotto. La corruzione è un reato «a concorso necessario»: se Mills è stato corrotto, il presidente del consiglio (coimputato) è il corruttore. Vediamo che cosa significa questo risultato ormai scolpito nella pietra e come l´esito ferisca irrimediabilmente la reputazione di Berlusconi, la narrazione di se stesso, il suo “mito”.
La conclusione del “processo Mills” fa del Cavaliere innanzitutto uno spergiuro spietato perché fa voto – mentendo – sulla «testa dei suoi figli». Disse (lo ha ricordato anche ieri): «Non conosco David Mills, lo giuro sui miei cinque figli. Se fosse vero, mi ritirerei dalla vita politica, lascerei l´Italia», (Ansa, 20 giugno 2008). Il processo ha dimostrato che egli ha conosciuto l´avvocato. La sentenza documenta quanto Berlusconi sia un bugiardo conclamato. Disse: «Ho dichiarato pubblicamente, nella mia qualità di leader politico responsabile quindi di fronte agli elettori, che di questa All Iberian non conosco neppure l´esistenza», (Ansa, 23 novembre 1999). I processi hanno dimostrato che Mills creò All Iberian con il coinvolgimento «diretto e personale» del Cavaliere. La gestisce per conto e nell´interesse di Berlusconi e, in due occasioni (processi a Craxi e alle Fiamme Gialle corrotte), mente in aula per tener lontano il Cavaliere da quella galassia di cui l´avvocato inglese si attribuisce la paternità. Ancora. L´esito del processo Mills mostra quanto per Berlusconi siano vincolanti le pubbliche promesse. Si impegna a ritirarsi dalla politica, addirittura a lasciare l´Italia se si fosse dimostrato la sua conoscenza di Mills. L´avvocato ammette di averlo incontrato ad Arcore, Berlusconi non prepara le valigie. Quel che più conta, la sentenza Mills dimostra come la fortuna di Berlusconi, più che nel talento, ha le sue radici nel malaffare, nell´illegalità, nella corruzione della Prima Repubblica, di cui egli è il figlio più longevo. Altro che homo novus e leader outsider.
Ora, può non uno statista o un tycoon di strepitoso successo, ma semplicemente un uomo che abbia rispetto di se stesso, del suo buon nome e del suo onore accettare che la sua storia sia avvilita a questi infimi livelli se non lo ritiene corretto? E che cosa intende fare quell´uomo per ripristinare quel che egli sostiene essere “la verità”? Questa responsabilità trova Berlusconi estremamente debole, quale che sia oggi la sentenza della Consulta. Il premier preferisce confondere l´opinione pubblica più che convincerla. Minaccia, come dice a Berlino, di «spiegare agli italiani». Repertorio abituale. Lo ha già promesso in agosto: «Andrò in tv a spiegare la mia odissea giudiziaria». E due anni e mezzo prima, mentre si riposava ai Caraibi, ad Antigua, meditava di fare un discorso in Parlamento sulla giustizia italiana. Anche in quest´occasione ha alla fine taciuto e ancora lo farà oggi (a meno che non si vada a votare). Meglio così, perché c´è un solo posto dove Berlusconi può mettere in sesto la sua storia e documentare la sua «verità», se è in grado di farlo. È l´aula di un tribunale cui può chiedere di non curarsi dei tempi della prescrizione tanto più se ritiene le accuse «ridicole». Per un uomo che governa il Paese e vuole diventare capo dello Stato è un obbligo perché è una Repubblica senza futuro e in pericolo quella in cui il Presidente può essere apostrofato legittimamente da chiunque come un bugiardo, uno spergiuro, un corruttore.

La Repubblica 13.01.11

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“La Consulta verso l´incostituzionalità”, di Liana Milella

Giudici divisi, 8 a 7 per la bocciatura. Ammesso il referendum di Di Pietro. Le toghe discutono se abrogare la legge o “tagliare” tutte le protezioni del premier. Una eventuale decisione “interpretativa” ad oggi non è stata considerata

ROMA – È oggi il gran giorno. Nelle mani della Consulta l´ennesimo scudo per evitare che il Cavaliere si sobbarchi allo stillicidio delle udienze dei casi Mills, Mediaset, Mediatrade. Su cui un primo segnale negativo è già arrivato. La Corte ha ammesso il referendum abrogativo proposto da Antonio Di Pietro. Che esulta: «La resa dei conti per Silvio Berlusconi si avvicina inevitabilmente e inesorabilmente. Così dev´essere, perché siamo tutti uguali davanti alla legge». Il costituzionalista Alessandro Pace, che ha sostenuto le ragioni dell´Idv in camera di consiglio per sottoporre la legge al giudizio popolare, non ha dubbi: «Va cancellata perché va contro la Carta. Il legittimo impedimento ordinario è più che sufficiente».
Questo è il quesito per i giudici. I 15 entrano in camera di consiglio alle 9 e 30. Palazzo off limits per la stampa in tutti e cinque i piani. In strada i supporter del no raccolti nel Popolo viola. Attesa per il verdetto che, dicono i bene informati, potrebbe uscire a metà pomeriggio. Reso pubblico a tutti con un comunicato, come avvenne per i lodi Schifani e Alfano. Rinvii? Ieri sera erano esclusi. Conclusione? Una débacle per la legge. Una pronuncia di piena incostituzionalità. Norma nel cestino. Processi che riprendono a Milano dal giorno dopo. Decisione di stretta misura. Otto a sette. Al massimo nove a sei, proprio come finì per lo scudo Alfano.
In alternativa, una soluzione definita «altrettanto severa» nei confronti della legge. Una tagliola che dichiarerebbe incostituzionali, e quindi da espungere, tutti i passaggi che riguardano la “protezione” degli impegni del premier, «le attività preparatorie e consequenziali, nonché co-essenziali alle funzioni di governo». Via anche il carattere «continuativo» degli appuntamenti istituzionali, che tornerebbero a essere quello che sono per i normali cittadini, singoli incontri e meeting. Via anche il certificato della presidenza del Consiglio.
Neppure presa in considerazione una sentenza interpretativa di rigetto, cioè la bocciatura dei ricorsi di Milano con il “contentino” di salvare la legge, interpretarla, e dire che il giudice non deve rinunciare al suo potere di sindacato sull´inderogabilità degli impegni presentati. «Non esiste e non è mai esistita» dicono fonti qualificate della Corte. Anche se da più parti è stata sollecitata come una possibile mediazione.
Dopo la spaccatura per l´elezione del presidente Ugo De Siervo (un mese fa e finita otto a sette), giudici di sinistra contro giudici di destra, oggi si torna a far la conta sul legittimo impedimento. Dice la medesima fonte: «È un fatto, siamo divisi, la decisione sarà comunque presa a maggioranza, e qualcuno ci resterà male o si sentirà frustrato, ma questo non ci preoccupa, l´importante è che essa sia chiara, comprensibile, e non lasci adito a dubbi».
Ancora ieri sera i colloqui tra le alte toghe erano in pieno svolgimento: tra chi ritiene la legge del tutto o in grossa parte incostituzionale (lo stesso De Siervo, il relatore Cassese, Criscuolo, Gallo, Lattanzi, Silvestri, Tesauro, Maddalena), e chi vorrebbe a tutti i costi salvarla. Per certo Mazzella e Napolitano, i due giudici della cena con Berlusconi, Alfano e Letta. E poi Frigo, Saulle, Quaranta, con cui potrebbero alla fine schierarsi anche Finocchiaro e Grossi. La Corte si divide tra chi, nel primo gruppo, chiede una pronuncia squisitamente giuridica e mette in secondo piano gli inevitabili effetti politici, addirittura il rischio di elezioni. E chi, all´opposto, enfatizza le possibili conseguenze, quasi che la Consulta dovesse farsi carico degli equilibri della legislatura. Se prevarrà l´incostituzionalità piena, allora avranno vinto i puristi dell´interpretazione legislativa che non piega l´irreprensibilità delle norme alle esigenze sovrane della politica. Se prevarrà quella parziale sarà scritto nelle righe del comunicato il peso del compromesso.

La Repubblica 13.01.11