Sulla Fiat i democratici hanno discusso, come deve avvenire in un partito aperto. Ma poi bisogna arrivare a sintesi chiare e condivise su questi che sono i veri contenuti, altro che alleanze. Oggi e domani si svolge a Torino il referendum tra i lavoratori Fiat sull’accordo di Mirafiori. Nel Pd, attorno a quest’intesa, si è sviluppato un dibattito forte che ha visto emergere un arco di posizioni, alcune delle quali contrapposte.
In un partito democratico è normale che questo avvenga. Non è normale, invece, che non si arrivi ad una posizione di sintesi riconosciuta.
Su questo tema la direzione del partito si deve esprimere. Definendo il proprio giudizio sui contenuti dell’intesa, sul rispetto dell’esito del referendum e, soprattutto, delineando un indirizzo chiaro su temi come la rappresentanza sindacale messa in discussione nell’accordo di Mirafiori e sul diritto di sciopero, a proposito del quale vanno chiarite tutte le possibili ambiguità interpretative: il suo esercizio non può essere impedito al singolo lavoratore. Al di là della questione Fiat, il punto è che il Pd si trova oggi in una posizione di difficoltà – confermata dai sondaggi che non lo vedono decollare nonostante il fallimento del centrodestra e di Berlusconi – perché sconta, a mio avviso, un grave errore dall’inizio, quando ci siamo cullati nella convinzione che l’unità interna potesse essere raggiunta cancellando le identità di partenza. Abbiamo fatto arbitrariamente coincidere il richiamo alle radici con la volontà di ritornare al passato, mentre nessuno lo propone.
Sarebbe un’idea anacronistica. Ciò che accade, come conseguenza di quella scelta, è sotto gli occhi di tutti. Ciascun esponente del partito si sente autorizzato a esprimere le proprie opinioni al di fuori delle sedi appropriate, dimenticando la necessità di trovare, sempre e comunque, una sintesi. In queste ultime settimane abbiamo assistito alle più svariate prese di posizione: una richiesta di congresso anticipato, poi smentita; la convocazione di una direzione parallela promossa dai cosiddetti “rottamatori”; l’annuncio preventivo di un voto di dissenso rispetto al partito sul tema del biotestamento; la candidatura a sindaco di Torino di Roberto Tricarico con primarie “fai da te”, nonostante una decisione sulle regole assunta dal PD provinciale.
E potremmo continuare. Avanti così e siamo alla frutta. La sintesi è essenziale per l’azione politica di un partito pluralista, ma richiede la disponibilità al confronto. Il Pd non lo deve temere, anzi lo deve ricercare anche quando è duro ed esplicito. Lo scontro è benefico se porta a una sintesi di maggioranza riconosciuta da tutti come vincolante.
Il nemico è l’ambiguità, l’indeterminatezza, la fumosità delle schermaglie di schieramento. In sintesi, l’opacità del nostro profilo. In quest’ottica si deve anche prendere
atto che, dall’ultimo congresso, si sono rimescolati gli equilibri a livello nazionale e territoriale. È giunto il tempo di ridefinire un nuovo patto unitario tra le diverse sensibilità politiche per uscire dall’impasse.
Per perseguire quest’obiettivo il partito deve impegnarsi in una riflessione che abbia al centro non formule astratte ma temi concreti. Prima della discussione sulle alleanze è necessaria quella sui contenuti. Le priorità da affrontare si chiamano occupazione, rilancio dell’economia, fisco, politica industriale, sostenibilità del welfare, diritti. Il Pd, però, non possiede ancora la bussola necessaria per orientare il proprio cammino.
C’è una crisi economica, ancora non risolta, da fronteggiare. Dobbiamo sciogliere il nodo delle relazioni industriali nell’era della globalizzazione e acquisire competitività. Ma quali sono i nostri riferimenti? Io guardo con interesse alla (controversa) riscoperta di Keynes e non amo gli economisti liberisti della scuola di Chicago. Sostengo Crouch, il teorico della concertazione, e non condivido Olson che ha fornito negli anni Ottanta, su questo tema, l’argomento intellettuale a sostegno del liberismo e della deregolazione.
Che idee abbiamo per la ricomposizione del conflitto capitale- lavoro? Di questo vorrei discutere. Anche gli strumenti di cui finora il Pd si è avvalso – come le primarie – rischiano di degenerare diventando
sempre più un fine utile soltanto per l’affermazione individuale anziché strumento di democrazia e di iniziativa politica. Su tutti questi temi urgono risposte e decisioni, anche perchè il tempo stringe.
L’Unità 13.01.11