Due sindacati, separati in casa: la Cgil e la Fiom. Capaci di discutere e dividersi pubblicamente come ormai non sa fare più nessun´altra organizzazione. Il mini-sondaggio di Repubblica condotto tra i rappresentanti territoriali della Cgil, che sono poi la spina dorsale della confederazione, conferma anche questo. Il referendum alla newco Fiat-Chrysler di Mirafiori lascerà dovunque le sue scorie. Nella Cgil lascerà una spaccatura radicale sul cosa fare dopo il voto dei cinquemila delle Carrozzerie. La linea del segretario generale Susanna Camusso (se vincono i sì bisogna trovare un modo perché i delegati della Fiom siano presenti in fabbrica) è largamente prevalente, perché – dicono – non ci si può affidare solo ai tribunali. Ma non è sufficiente a piegare la Fiom di Maurizio Landini che non ha firmato né lo farà mai, e che trova sponde in alcune Camere del lavoro (Brescia e Reggio Emilia, per esempio), in settori del pubblico impiego ma non nelle altre categorie dell´industria. Eppure nelle divisioni c´è un tema che non intacca minimamente l´unità della Cgil: non si possono scambiare i diritti con il lavoro. Ritorna così, con la globalizzazione che entra per la prima volta nelle relazioni industriali italiane, il “sindacato dei diritti” pensato da Bruno Trentin negli anni Novanta.
“Non possiamo fare harakiri uscendo dai luoghi di lavoro”
MANUELE MARIGOLLI, 54 anni, segretario generale della Camera del Lavoro di Prato
1) «Se vincono i sì si deve firmare l´accordo».
2) «I diritti inalienabili, come quello di sciopero, non si toccano. Dopodiché in taluni casi si possono fare arretramenti tattici. Gli scambi si fanno e si possono fare all´interno dell´organizzazione del lavoro».
3) «No, non si può fare il sindacalista solo stando fuori dai luoghi di lavoro. Si rinuncia al proprio mestiere. Non ci si può affidare solo ai magistrati. Quando un lavoratore ti sottopone un problema, che fai? Gli dici: aspetta il giudice? Non possiamo lasciare la nostra rappresentanza a Marchionne e a Cisl e Uil. Se prevarrà il sì saremo sconfitti ma non possiamo fare tutti harakiri».
Impossibile firmare, non serve un sindacato che non può negoziare”
DAMIANO GALLETTI, 54 anni, segretario generale della Camera del Lavoro di Brescia
1) «No, non si deve firmare perché i vincoli previsti dall´accordo non lasciano spazio alla contrattazione e un sindacato che non può contrattare non può nemmeno fare il suo mestiere».
2) «E´ uno scambio che non esiste. A Brescia, proprio la Fiom ha firmato nel 2010 centinaia di accordi di riorganizzazione senza mai mettere a repentaglio i diritti e soprattutto senza mettere in discussione il valore del contratto nazionale».
3) «Con il sindacato fuori, i lavoratori delle newco di Marchionne acquisiscono più forza se sanno che c´è chi si oppone a una strategia che avrà effetti su tutti. Bisogna contrastare quella strategia con il conflitto e con le proposte».
Dibattito dopo il voto altrimenti rischiamo il ritorno alla schiavitù”
DONATA CANTA, 54 anni, segretario generale della Camera del Lavoro di Torino
1) «Se vince il sì si pone un problema per la Fiom e per tutta la Cgil: come garantire a quei lavoratori una tutela. Dobbiamo discutere e decidere cosa fare».
2) «Diritti e lavoro non sono scindibili. Non c´è contrapposizione tra l´uno e gli altri: un lavoro è tale se ci sono anche i diritti. O vogliamo tornare alla schiavitù? Quando nei tessili ho contrattato i 21 turni non ho mai messo in discussioni i diritti di chi lavora. C´erano le 31 ore e mezzo pagate 40 con tre giorni di lavoro e due di riposo. Ma i diritti non sono mai stati toccati. E poi c´erano i momenti di verifica tra sindacato e aziende».
3) «La vedo molto difficile. Come si fa a ricostruire i rapporti di forza stando fuori dai processi produttivi?»
“Il ricorso al giudice non è la soluzione tempi troppo lunghi”
TERESA POTENZA, 45 anni, segretario generale della Camera del Lavoro di Napoli
1)«Noi abbiamo tutte le perplessità della Fiom sugli accordi per gli stabilimenti di Pomigliano e di Mirafiori. Ma se nel referendum dovessero vincere i sì bisogna firmare perché i nostri delegati non possono restare fuori dalle fabbriche».
2) «Non è possibile scambiare diritti per posti di lavoro. Si possono toccare le prestazioni di lavoro, non i diritti previsti dalla Costituzione».
3) «Mi pare davvero molto difficile pensare di difendere i lavoratori stando fuori dai luoghi di lavoro. Ma come si può pensare di tutelare gli operai quando sorge un problema sulla catena di montaggio? Le cause giudiziarie sono lunghe. Siamo in Italia…».
“Sciopero e malattia quei due diritti non si devono toccare”
GRAZIANO GORLA, 49 anni, segretario della Camera del Lavoro di Milano
1) «Se dovessero vincere i sì, la prima questione da affrontare è come evitare che i nostri iscritti abbiano la sensazione e la prospettiva che non c´è più il loro sindacato nel posto di lavoro. Dobbiamo assolutamente aprire una discussione al nostro interno prendendo atto del risultato del voto».
2) «Non c´è scambio possibile tra diritti e lavoro. O, almeno, non è possibile lo scambio che vuole Marchionne. Una cosa è intervenire sull´organizzazione del lavoro, altra è incidere sul diritto di sciopero o sulla malattia dei lavoratori».
3) «Vedo difficile svolgere l´attività sindacale fuori dalla fabbrica. E´ il problema che abbiamo davanti perché non si risolvere tutto sul terreno della battaglia
“Se abbandoniamo l´azienda difficile recuperare i rapporti”
MARIELLA MAGGIO, 54 anni, segretario generale della Cgil Sicilia
1) «Se prevale il sì al referendum, certo non possiamo pensare di lasciare i lavoratori soli. Bisogna ricercare una soluzione perché il primo compito di un sindacalista è quello di stare con i lavoratori».
2) «E´ assolutamente impossibile scambiare i diritti con il lavoro. Questa sarebbe una strada pericolosa che verrebbe presto seguita anche da altre imprese».
3) «Se resti fuori in una fase come questa è più difficile poter recuperare nei rapporti con l´azienda. Non si può restare fuori e assistere agli effetti della globalizzazione. Bisogna stare dentro questo processo e stare dentro le fabbriche. E´ una sorta di “nuova resistenza”».
La Repubblica 12.01.11