Il presidente Napolitano ha ragione, l’Italia non sa comunicare la sua storia e il senso di se stessa. Chi ha vissuto anche solo per un breve periodo all’estero, lo sa. Il caso Battisti ne è la dimostrazione. «Non siamo riusciti a farci capire». È vero, perché il nostro Paese – e i giorni del tricolore coincidono simbolicamente con questo caso – non ha una storia condivisa, ognuno la vive a suo modo, possibilmente contro gli altri.
È come se sul nostro suolo si giocasse una partita senza fine: guelfi e ghibellini, berlusconiani contro antiberlusconiani. Ma sarebbe sbagliato interpretare le parole pronunciate ieri dal Presidente della Repubblica come un attacco al governo. Piuttosto si tratta di un’amara riflessione, critica e – crediamo – anche autocritica per la porta in faccia presa da un governo definito «amico» come quello brasiliano a causa del nostro pessimo costume.
Quando un italiano viene intervistato da giornali o media stranieri, è difficile che sfugga alla denuncia condita da ironia per il proprio Paese. Un atteggiamento diventato ormai caricaturale da quando è in scena un leader discusso come Berlusconi. Ma è sempre stato così e gli interlocutori si convincono facilmente: gli italiani non credono nell’Italia. Una cosa impensabile per americani, inglesi, tedeschi, francesi. Le opinioni sono diverse, le polemiche politiche feroci, ma ognuno sul proprio Paese mette mano e cuore sul fuoco: «right or wrong my country», dicono gli americani, nella ragione e nel torto è il mio Paese. Soffia quello che i francesi chiamano «l’esprit républicain» e cioè un sentimento di appartenenza alla République che va al di là dei suoi caduchi rappresentanti. Il contrario di quel che avviene per noi. Nel Parlamento europeo si replicano in caricatura le divisioni di Montecitorio: la sinistra attacca il leader, la destra lo difende. Se il candidato berlusconiano alla presidenza dell’assise viene sconfitto (è successo) quelli di sinistra esultano. Avvilente, indipendentemente dal merito e dalle persone.
Il caso Battisti è il concentrato di tutto questo con qualcosa di più e cioè il fatto che in questione c’è un segmento drammatico della storia italiana come il terrorismo, un momento che è costato divisioni, dolore, vittime e che è stato superato con un soprassalto unitario e solidale, politico e istituzionale piuttosto raro nella storia italiana ma che è trasmesso, vissuto e rievocato con quella solita maniera italiana di dire e negare, ma soprattutto caricaturizzare: situazioni gravi ma non serie, diceva Flaiano.
Nessun francese, nemmeno un vecchio gauchiste, starebbe a discutere sulla legittimità delle condanne ai membri di Action directe, le Br locali. E infatti nessun intellettuale, salvo marginalissime eccezioni, ha fatto petizioni in loro favore. Eppure sono stati tutti condannati da un tribunale speciale a pene durissime, anni e anni di isolamento in carceri speciali nei quali sono stati annientati fisicamente. E non basta: appena uscito in semilibertà, Jean-Marc Rouillan, il Curcio francese, è stato immediatamente rimesso dentro. Perché? Aveva dato un’intervista all’Express, cosa vietata dal patto firmato con lo Stato per uscire. E nessuna Fred Vargas o intellettuale francese che s’è battuto per Battisti ha speso una parola. In Italia, invece, i terroristi assassini sono quasi tutti fuori dal carcere, danno interviste e scrivono libri che i francesi prendono come testimonianze di un’ammirevole sovversione politica e sociale. Nessuno conosce quel che davvero è accaduto in Italia negli anni di piombo. «Ignoranza militante», aveva scritto in una lettera aperta Barbara Spinelli: gli aguzzini sono diventati eroi, gli eroi miserevoli servi di uno Stato corrotto e sostanzialmente rimasto fascista. Un capovolgimento della storia che si spiega soltanto se chi deve raccontare e trasmettere quella storia non ci crede, lo fa con fastidio, furbizia, opportunismo.
Sono questi gli ingredienti della vicenda Battisti, caso-simbolo di come si è svolta la storia dei rifugiati a Parigi. Craxi chiede a Mitterrand di tenerli per non avere fastidi, lui che era stato per la trattativa nel caso Moro. Mitterrand espone la sua «dottrina» che prevede comunque l’estradizione per colpevoli e complici di reati di sangue. Ma l’Italia chiede e non chiede. Battisti viene lasciato libero non solo dai francesi ma soprattutto dagli italiani che per anni si sono dimenticati di reclamarne l’estradizione. Governi di destra e di sinistra uniti nell’oblio.
Il paradosso, in questa vicenda, è che i giudici, sia francesi che brasiliani, hanno riconosciuto la legittimità delle condanne e dell’estradizione. I francesi addirittura hanno usato la dottrina Mitterrand per motivare il rigetto del ricorso di Battisti che ad essa s’era impropriamente appellato. La battaglia giuridica, alla fine, è stata vinta. È stata persa invece la battaglia politica, quella di rispetto per la storia del Paese della quale nessun leader si è fatto carico fin fondo. Non ci siamo fatti capire. O forse ci siamo fatti capire troppo bene.
La Stampa 09.01.11
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Napolitano sul no all’estradizione
“Alla nostra politica è mancato qualcosa”
Per il presidente della Repubblica esiste il pericolo che si disperda la memoria e la consapevolezza dei rischi che corse l’Italia prima negli anni della lotta al nazifascismo e poi nella lotta contro gli attacchi del terrorismo alle istituzioni repubblicane
“Non siamo riusciti a far comprendere anche a paesi amici vicini e lontani cosa hanno significato” gli anni di piombo in Italia. Con queste parole il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano è intervenuto sul caso dell’ex terrorista rosso di cui il Brasile ha negato l’estradizione. In questa vicenda, ha aggiunto il capo dello Stato in un intervento fuori programma nella sala ‘preconsigliare’ del Comune di Ravenna, “è mancato qualcosa alla nostra cultura e alla nostra politica per trasmettere, e far capire davvero, il senso di ciò che accadde in quegli anni tormentosi del terrorismo”.
Napolitano ha preso spunto dal commosso ricordo di Arrigo Boldrini e Benigno Zaccagnini, commemorati da Sergio Zavoli come due grandi figli di Ravenna, due persone provenienti da culture e storie diverse fra i quali si era istaurata una grande amicizia umana e politica.
Il presidente della Repubblica si è chiesto se non corriamo il pericolo che si disperda la memoria e la consapevolezza dei rischi che corse l’Italia negli anni della lotta al nazifascismo e dall’attacco terroristico alla Repubblica. “Questo rischio esiste ed è grave. Vicende tristi dei giorni scorsi – ha detto – ci inducono a pensare che non siamo riusciti a far comprendere anche a Paesi amici vicini e lontani cosa abbia significato per noi quella vicenda del terrorismo e quale forza straordinaria sia servita per batterlo. Forse è mancato qualcosa nella nostra cultura e nella politica, qualcosa in grado di trasmettere
alle nuove generazioni cosa accadde davvero in quegli anni tormentosi (il riferimento in particolare al sequestro di Aldo Moro, ndr) che Benigno Zaccagnini superò con straordinaria tempra, dolore e coraggio”.
E sul caso dell’ex terrorista rosso rifugiatosi in Brasile è intervenuto Tarso Genro, ex ministro della Giustizia del governo Lula, che per primo concesse asilo politico all’italiano, poi annullato nel novembre del 2009 dal Stf: “Con il rifiuto di rilasciare 1 l’ex terrorista rosso Cesare Battisti, il Supremo Tribunal Federal (Stf) agisce in modo illegale e dittatoriale”.
Nel Supremo Tribunal Federal (la Corte Costituzionale brasiliana) che deciderà a febbraio sul no all’estradizione concesso a Battisti dall’ex presidente Lula, esiste il rischio di un “pareggio” tra i giudici favorevoli e quelli contrari. Da quando infatti il Stf si espresse a favore dell’estradizione, nel novembre 2009, per cinque voti a quattro (tra gli 11 giudici della Corte uno era in licenza, l’altro assente per motivi di salute), uno dei giudici a favore, Eros Grau, è andato in pensione e non è stato ancora sostituito. La nuova presidente, Dilma Rousseff, dovrà nominare un sostituto di Grau, ma non lo farà sicuramente in tempo per la sessione che deciderà sulla liceità della decisione di Lula.
Si rischia così che il dibattito tra i dieci giudici in carica finisca cinque a cinque, come ha confidato uno di loro (che non ha voluto essere citato) al quotidiano Folha de S.Paulo. Restano due possibilità: che uno o più giudici abbiano cambiato posizione nel frattempo, o che il presidente della Corte, che vota per ultimo, si astenga per evitare una nuova, imbarazzante impasse. Il relatore del caso sarà Gilmar Mendes (che era presidente del Stf nel 2009), mentre a presiedere la Corte sarà Cesar Peluso, che nel 2009 era relatore del caso. Entrambi si sono pronunciati sempre a favore dell’estradizione.
La Repubblica 09.01.11