Ultimo tentativo per affrontare uniti la settimana sindacale più impegnativa degli ultimi mesi e, probabilmente, la più significativa dell’anno appena iniziato. Oggi pomeriggio si riuniscono a Roma le segreterie della Fiom e della Cgil, in cerca di una posizione comune tanto difficile quanto necessaria sulla vertenza Fiat. Maurizio Landini e Susanna Camusso, al momento, condividono il giudizio fortemente negativo sull’accordo separato per Mirafiori, che il 13 e 14 gennaio verrà sottoposto al referendum dei lavoratori: un’intesa dai «contenuti peggiorativi » rispetto a quella per Pomigliano per ciò che riguarda turni, pause e malattie, ed «inaccettabile » sotto il profilo della democrazia, puntando all’esclusione della fabbrica delle sigle non firmatarie. Ma sul che fare a consultazione conclusa, nel caso non scontano ma certo probabile di un responso positivo, le posizioni restano divergenti. La leader confederale propone una firma tecnica dell’accordo che prenda comunque atto della volontà espressa dagli operai e che rimedi all’esclusione dallo stabilimento del sindacato più rappresentativo. Il segretario generale delle tute blu, invece, rifiuta categoricamente l’ipotesi: «Non esistono firme tecniche » ha ribadito anche ieri, tanto meno ad un testo che sottopone i lavoratori ad un «ricatto» per mantenere il posto in fabbrica. «Abbiamo chiesto l’incontro alla Cgil perchè non siamo solo di fronte a un brutto accordo ma a una novità assoluta, alla messa in discussione dell’esistenza del sindacato confederale. È a rischio il sistema della rappresentanza democratica, questa vicendanon riguarda solo i metalmeccanici, dobbiamo decidere che cosa fare» ha affermato Landini. Ma le speranze che la segreteria unitaria Fiom-Cgil finisca con un comunicato congiunto di sintesinon sono molte. E la sua partecipazione alla trasmissione di Lucia Annunciata su Rai3, a confronto con il vicepresidente di Confindustria AlbertoBombassei, poche ore prima del vertice con Camusso, è un ulteriore segnale della decisione con cui i metalmeccanici portano avanti le proprie posizioni. Eppure un ultimo tentativo andrà fatto. In caso contrario, il sindacato di Corso d’Italia e la categoria delle tute blu saranno costrette a fare i conti e misurare le rispettive forze nel direttivo convocato per sabato prossimo.
LA FIOM ANCORA IN PIAZZA Intanto la Fiom continua la mobilitazione contro l’intesa siglata da Fim, Uilm, Ugl e Fismic lo scorso 23 dicembre. Ieri piazza Castello, il salotto buono di Torino, è stata tappezzata con centinaia di messaggi di solidarietà ai lavoratori in lotta, arrivati tramite l’appello lanciato da un gruppo di intellettuali sulla rivista Micromega(35mila le adesioni finora raccolte). «Il lavoro non è una merce e non può essere trattato comeun oggetto in saldo» hanno ripetuto i militanti del sindacato, che anche nei prossimi giorni proseguirà il volantinaggio contro l’accordo per Mirafiori (15mila gli opuscoli stampati finora). Il 12e 13 gennaio, invece, nello stabilimento di Mirafiori si svolgeranno le assemblee per spiegare ai dipendenti i contenuti del documento. Mentre mercoledì sera, alla vigilia del referendum, le tute blu della Fiom sfileranno in fiaccolata attraverso il centro di Torino: «Sarà una fiaccolata per la libertà del lavoro e per fare inmodoche i lavoratori non si sentano soli» ha spiegato il responsabile Auto nazionale, Giorgio Airaudo.
LA CAMPAGNA PER IL SÌ E si mobilitano anche le sigle formatarie dell’accordo, che oggi saranno nelle vie cittadine dello shopping affollate per i saldi per un volantinaggio a sostegno del sì: «Diamo un futuro a Mirafiori e ai nostri figli. Vota e fai votare sì. Senza lavoro non hai diritti». Poi, da domani mattina, la campagna referendaria si sposterà ai cancelli e all’interno dello storico stabilimento Fiat.
L’Unità 09.01.11
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“FIOM: un’eresia chiudere Mirafiori”, di Monica Perosino
Dal presidio Fiom in piazza Castello non si alzano slogan di protesta, né s’intonano cori. La musica, colonna sonora di mille manifestazioni, quasi non si sente.
Il lavoro dei delegati è silenzioso, volantino dopo volantino, a intercettare la «società civile», uno a uno, nelle strade affollate per i saldi.
A pochi giorni dal referendum sul futuro di Mirafiori, la Fiom è tornata ieri a occupare il centro della città. Con un obbiettivo preciso: spiegare gli effetti dell’accordo del 23 dicembre a quante più persone possibile. «Parlatene con i vostri famigliari, amici, conoscenti – ha esordito Giorgio Airaudo, responsabile auto della Fiom e segretario piemontese del sindacato – . Spiegate loro cosa significa il referendum di giovedì per il futuro di noi tutti». Alle sue spalle il «Muro della verità», alcune delle migliaia di lettere di adesione all’appello lanciato su Micromega da Andrea Camilleri, Paolo Flores d’Arcais e Margherita Hack, che in pochi giorni ha raggiunto quota 40 mila firme. «Queste lettere ricordano ai lavoratori che non sono soli – ha aggiunto Airaudo -. Comunque vada il referendum non ci arrenderemo. Marchionne deve ricordare che Mirafiori non è sua, ma di quelle migliaia di donne e uomini che con la loro fatica l’hanno costruita. I lavoratori non devono avere paura di un ricatto: dire che Mirafiori rischia di chiudere è un’eresia».
E mentre nei negozi non si placa la febbre da acquisti, i delegati Fiom tornano a ribadire che «il lavoro non è in saldo, gli operai non sono merci e non possono essere trattati come componenti meccaniche». La gente si ferma, ascolta, annuisce, se ne va con un volantino piegato in tasca. «Non tutti sanno cosa succede a Mirafiori, ma c’è molto interesse – ha detto Federico Bellono, segretario generale della Fiom torinese -, anche da parte di molti giovani, che iniziano a capire che la vicenda di Mirafiori non riguarda solo i lavoratori dello stabilimento Fiat, ma potrà coinvolgere tutti, anche chi deve ancora entrare nel mondo del lavoro». Ancora Airaudo, che strappa applausi alla piazza: «Non si capisce perché se il costo del lavoro incide dell’8% per ogni auto, si debba schiacciare questo 8% e non sul restante 92%».
Nessuno vuole sbilanciarsi sul referendum di giovedì, il «referendum della paura» per la Fiom, con il quale i lavoratori saranno chiamati a ratificare l’intesa. Nessuna previsione o stima sul risultato: «Non siamo giocatori d’azzardo – ha detto Airaudo -, vogliamo prima parlare con i lavoratori nelle assemblee. Le iniziative di questi giorni dimostrano che c’è un corpo sociale molto sensibile ai temi del lavoro, che ha compreso come ciò che viene chiesto ai lavoratori di Mirafiori riguarda tutti. Mirafiori è un modello, sia in negativo che in positivo».
Domani rientreranno in fabbrica gli ottocento lavoratori della linea Mito. Solo da mercoledì saranno presenti 5000 operai in fabbrica: «Abbiamo pochissimo tempo prima del referendum – ha detto Edi Lazzi, delegato -, ma saremo di fronte ai cancelli tutti i giorni». Oltre al presidio in piazza Castello, oggi la Fiom ha proseguito con il volantinaggio contro l’accordo per Mirafiori. Domani, intanto, a pochi metri dal presidio Fiom, anche il volantinaggio a sostegno delle ragioni dei sindacati firmatari dell’intesa per Mirafiori: lo organizza il fronte del sì alla consultazione. È prevista invece per mercoledì 12 la fiaccolata Fiom, a cui parteciperà anche Flores D’Arcais.
La Stampa 09.01.11
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“Vertice con la Fiom, la mossa di Camusso”, di Antonella Baccaro
Non sarà forse l’incontro che si terrà oggi, alle tredici, fra le segreterie di Cgil e Fiom a far emergere una linea di mediazione sul referendum circa l’accordo alla Fiat di Mirafiori. Tra la linea della confederazione, guidata da Susanna Camusso, e quella della categoria, diretta da Maurizio Landini, la distanza sembra sempre la stessa di qualche giorno fa. Camusso sarebbe favorevole a firmare l’accordo di Mirafiori, se il referendum del 13 e 14 gennaio prossimi dovesse ratificarlo. Landini, in caso di vittoria dei «sì» , l’ha ribadito anche ieri, non intende firmare l’accordo siglato da tutti gli altri sindacati, anche se questo significa automaticamente restare fuori da tutti i tavoli. «La firma tecnica non esiste -ha ribadito ieri il presidente del comitato centrale della Fiom, Giorgio Cremaschi -. Peraltro se si legge bene il testo dell’accordo per Mirafiori si capisce che tecnicamente non è praticabile» . Come se ne esce? Camusso sembrerebbe ormai orientata a aspettare l’esito del referendum, muovendosi di conseguenza. Paradossalmente se il numero dei «sì» fosse schiacciante, il leader del maggior sindacato potrebbe aver miglior gioco a far passare la sua linea della firma per adesione. Ma senza imposizioni dall’alto. L’unico modo di far cambiare idea a Landini potrebbe essere quello di non fargliela cambiare, ma piuttosto provocare un movimento che parta dal basso, dalla Fiom torinese e dalle Rsu di Mirafiori, di spinta verso la firma per adesione. Firma che, se proprio dovesse essere necessario, potrebbe apporre proprio la Fiom a livello locale o aziendale, pur di non essere costretta a restare fuori dalla fabbrica. Pura fantasia? Può darsi, ma al momento la Cgil non sembra aver altre carte da giocare prima del referendum. Piuttosto Camusso si prepara al dopo, al 15 gennaio, quando tenterà di far approvare al direttivo la sua proposta sulla rappresentanza e la democrazia, quella che dovrebbe rendere sempre vincolante l’esito dei referendum sugli accordi e non solo, come adesso, quando si tratta di questioni confederali. Anche Landini è proiettato sul dopo-referendum e nell’incontro con la Camusso vorrebbe discutere dell’eventualità di uno sciopero generale da mettere in campo dopo lo sciopero di categoria del prossimo 28 gennaio. Intanto gli opposti schieramenti si preparano al referendum: il fronte del «sì» ha organizzato un volantinaggio nel centro di Torino. Landini invece oggi si confronterà nella trasmissione «In 1/2ora» , su Rai3, con il vicepresidente di Confindustria e membro del consiglio d’amministrazione della nuova Fiat, Alberto Bombassei. Proprio la presenza di Landini sulla tv pubblica ha suscitato la reazione degli altri sindacati, che hanno chiesto la possibilità di un contraddittorio. A Lucia Annunziata, conduttrice della trasmissione, il segretario generale della Uilm, Rocco Palombella, ha attribuito «una particolare simpatia per le ragioni della Fiom, ma -ha avvertito -deve ricordarsi che lavora per il servizio pubblico» .
Il Corriere della Sera 09.01.11
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“La strategia di Marchionne impoverisce la democrazia e aumenta le disuguaglianze”
Peter Olney: negli Usa subito lo stesso ricatto”, di Federico Rampini
La localizzazione degli stabilimenti dipende anche dalla politica industriale: la Cina la fa, l´Occidente non più. «Sergio Marchionne recita in Italia un copione già scritto qui negli Stati Uniti. Alla Fiat si riproduce l´attacco ai sindacati che da anni è in atto nelle imprese americane. Guai a sottovalutarne la gravità: la rappresentanza dei lavoratori, l´organizzazione sindacale, sono l´ultimo baluardo contro l´imbarbarimento della società e l´impoverimento della democrazia. Anche i referendum di fabbrica sotto un clima d´intimidazione, li conosciamo bene». Peter Olney è uno dei maggiori leader sindacali americani. Dirige la Unione più potente della West Coast, Ilwu, organizza categorie che vanno dai portuali ai dipendenti dei trasporti e della logistica. E´ anche un teorico con una visione globale, una sorta di Bruno Trentin americano: da giovane studiò anche Scienze politiche all´università di Firenze e ha insegnato all´università di Berkeley. La posta in gioco nel caso Fiat gli è familiare.
In Italia Marchionne sembra a suo modo un “rivoluzionario”, che osa sfidare tabù consolidati, lei invece lo considera come “déjà vu”?
«Il chief executive di Fiat-Chrysler non fa che ripetere tutte le mosse dei top manager di General Motors, Ford. Il ricatto ai lavoratori usa un linguaggio a cui siamo abituati: gli operai vengono descritti come dinosauri, relitti di un´era al tramonto, costretti ad accettare i diktat dall´alto perché altrimenti poco competitivi, quindi condannati a perdere il posto. In quanto ai referendum sotto ricatto, di recente se n´è tenuto uno alla fabbrica della Nissan nel Tennessee, per decidere proprio sulla questione della rappresentanza sindacale. Dopo una campagna di pressioni, minacce, intimidazioni da parte dell´azienda, i lavoratori hanno finito per piegare la testa e votare contro il sindacato. Oggi il sindacato americano riparte proprio da questo: vogliamo imporre un codice di condotta, che impedisca alle aziende di impaurire i lavoratori manipolando le consultazioni referendarie».
Tra i metalmeccanici americani il sindacato ha perso terreno paurosamente. In che misura paga l´effetto delle delocalizzazioni?
«Noi le delocalizzazioni le abbiamo addirittura in casa. La minaccia più concreta non è il trasferimento di fabbriche all´estero, ma in quegli Stati Usa del Sud dove viene impiegata solo manodopera non sindacalizzata, a condizioni nettamente peggiori. Tra il 1993 e il 2008 il Michigan, culla storica dell´industria automobilistica, ha perso 83.000 metalmeccanici. Nello stesso periodo il Tennessee ne ha guadagnati 91.000. Toyota, Hyundai, Volkswagen hanno scelto gli Stati della “cintura nera meridionale”, South Carolina, Mississippi, Tennessee, per tagliar fuori il sindacato. United Auto Workers, la confederazione dei metalmeccanici, è scesa da un milione di iscritti 30 anni fa a 400.000 oggi. Nell´ultima recessione l´Uaw ha dovuto accettare salari dimezzati, da 30 a 14 dollari orari per i nuovi assunti. E´ il modello che Marchionne sta importando da voi».
Ma la dottrina Marchionne ha dalla sua una sorta di ineluttabilità. Con la globalizzazione, è insostenibile la sopravvivenza di fabbriche che non reggono i confronti internazionali. Chi fa l´interesse degli azionisti prima o poi dovrà chiuderle e trasferire la produzione altrove.
«Se io ho studiato nelle stesse Business School dei top manager, è anche perché ero stanco di subire l´egemonia culturale di queste analisi. Le decisioni sulla localizzazione degli stabilimenti sono nella realtà più complesse di quanto vogliano farci credere. Soprattutto in settori ad alta intensità di capitale, con tecnologie sempre più sofisticate, i differenziali salariali non sono il criterio decisivo. Entrano in gioco altri fattori: l´accesso ai mercati nazionali, la disponibilità di infrastrutture, la qualità dei centri di ricerca e design. Infine una parola passata di moda: le politiche industriali dei governi. In Occidente parlarne oggi sembra una follìa? Però il governo cinese la politica industriale la fa, eccome».
Al di là del settore metalmeccanico, quanto è grave il declino del sindacato in America? Con quali conseguenze politiche?
«Nel 1955 le Unions organizzavano il 35% della manodopera delle imprese private, oggi siamo appena al 7%. I sindacati sono anzitutto un fattore di redistribuzione, così è caduto ogni argine alle diseguaglianze sociali. Nel 1955 un chief executive guadagnava 25 volte più del suo operaio, oggi guadagna 450 volte il salario operaio. Conseguenze politiche: nel 2008 Barack Obama ha avuto uno scarto del 18% in più tra i lavoratori sindacalizzati. L´appartenenza sindacale, con quel che significa in termini di diritti di cittadinanza, porta con sé una visione del mondo, un sistema di valori. Senza sindacato la società diventa una clessidra: in alto si concentra il potere, in basso c´è un vasto esercito di lavoratori impoveriti e impotenti, viene a mancare un centro».
La Repubblica 09.01.11