In nessun Paese al mondo – nessuno – il capo dell’esecutivo gode di un salvacondotto come quello che martedì prossimo sarà giudicato dalla Corte Costituzionale. E che regala al nostro premier anche la licenza di uccidere. È legittimo il legittimo impedimento? Risponderà, a giorni, la Consulta. E a quanto pare dal suo responso dipende la salute del governo, la prosecuzione della legislatura, la sopravvivenza del pianeta. Ma c’è un’altra domanda che ci risuona in gola ormai da anni: davvero in Italia la politica cammina a capo nudo sotto la grandine giudiziaria? Davvero soltanto alle nostre latitudini manca un ombrello normativo che possa ripararla da indagini capziose, accuse strumentali, processi in mala fede?
A mettere in fila le iniziative battezzate dai vari governi Berlusconi, la risposta parrebbe un sì tondo e sonoro. Nell’ordine: la legge sulle rogatorie internazionali (2001); quella sul legittimo sospetto (2002); la sforbiciata ai termini di prescrizione (2005); l’inappellabilità delle sentenze di proscioglimento (2006). Senza dire dei tentativi andati a vuoto, come il processo breve (2009), che per salvare il premier avrebbe lasciato a piede libero migliaia di malfattori. O senza contare infine le riforme più esplicite e dirette, quelle sull’immunità degli organi costituzionali. Il lodo Schifani (2003), segato dalla Corte costituzionale l’anno dopo. Il lodo Alfano (2008), caduto anch’esso sotto la mannaia della Consulta. Il lodo Alfano costituzionale (2010), in discussione nell’aula del Senato. Di lodo in lodo il fiore delle immunità ha perso un petalo alla volta: il primo s’estendeva alle cinque cariche più alte, l’ultimo ne copre solo due. Ma il presidente Berlusconi è sempre lì presente, nei lodi, negli scudi, negli impedimenti.
Eppure non è affatto vero che la Carta del 1947 gli neghi ogni tutela. Da parlamentare gode dell’insindacabilità per le proprie opinioni: una garanzia che risale all’Inghilterra del 1397, durante il regno di Riccardo II. Gode inoltre dell’immunità dagli arresti prima d’una sentenza definitiva di condanna: altra antica garanzia, codificata nella Francia del 1790. Dunque il presidente del Consiglio fruisce già di una speciale protezione per i reati comuni, a meno che gli manchi uno scranno in Parlamento; ma fin qui è successo unicamente a Ciampi.
Quanto ai reati funzionali – quelli cioè connessi all’esercizio delle sue funzioni di governo – per processarlo serve l’autorizzazione delle Camere, come dispone una terza garanzia costituzionale. Non basta? Certo che no, se vuoi metterti in tasca una licenza d’uccidere, come James Bond. Perché è di questo che si tratta: un salvacondotto giudiziario per ogni sorta di misfatto, dal furto di caramelle in un supermercato alle rapine in banca. Insomma se governi sei innocente per definizione, e comunque non hai tempo per convincere i giudici della tua innocenza immacolata. Non è forse questa la regola applicata da tutte le democrazie contemporanee?
No, presidente, e se non ci crede domandi ai suoi avvocati. Nella maggiore democrazia del mondo (gli Stati Uniti) l’inquilino della Casa Bianca risponde come ogni privato cittadino per i delitti commessi da privato cittadino; e infatti nel 1997 Clinton fu condannato al pagamento d’una somma di denaro, in seguito al processo per molestie sessuali che gli aveva intentato Paula Jones. Nel Regno Unito l’immunità assoluta tocca soltanto alla regina, sicché il primo ministro non ha difese processuali per i crimini comuni, né per gli illeciti civili. In Spagna la Costituzione prevede un foro speciale per i membri del governo, ma non si spinge a stabilirne l’improcessabilità. In Germania, Finlandia, Grecia, Portogallo, Olanda, Svizzera e via elencando, i governanti sono pienamente responsabili per i reati commessi fuori dalle stanze del governo.
L’unica eccezione riguarda il presidente della Repubblica francese, che a differenza del primo ministro non può venire sottoposto a procedimenti giudiziari fino a un mese dopo la scadenza del mandato. Nel suo caso, l’immunità si è dunque trasformata in inviolabilità, benché la Costituzione della V Repubblica non ospiti una norma chiara, e benché l’interpretazione poi avallata dal Conseil constitutionnel abbia subito critiche roventi dalla dottrina giuridica francese. Ma dopotutto Sarkozy è il capo dello Stato, non del governo: anche a convertire in regola quest’unica eccezione, dovremmo applicarla casomai a Napolitano, non certo a Berlusconi. A meno che non sia proprio questo l’obiettivo: intanto acchiappo lo scudo che protegge il Colle, poi mi prendo tutto il Colle. Sarebbe un peccato se lì alla Consulta 15 toghe rosse (in realtà sono nere, presidente) guastassero la festa.
l’Espresso 07.01.11