Stanno pensando di vendere le scuole, i parchi, gli edifici dei municipi. Intanto chiudono i musei, e mercoledì sospenderanno tutti i servizi comunali, perché, come sostengonoi sindaci dei molti comuni in ginocchio, si tratta di «chiudere un giorno per non chiudere per sempre». In Veneto, già 12 comuni tra i primi ad essere colpiti dalla scure del governo sono sull’orlo del fallimento e qualcuno fa notare come da circa mille anni i comuni italiani, i più virtuosi in molti casi, non abbiano mai serrato prima le loro porte. Accadrà all’ombra di un governo che delle virtù delle amministrazioni comunali ha fatto una bandiera, così come del federalismo egoista forgiato dalla Lega. Le storie si intrecciano, eccovene alcune.
VIRTÙ E VIZI
Loreggia è un comune del Trevigiano di 7400 abitanti. Governato da una lista civica che tiene assieme sinistra e destra, la Lega è all’opposizione. Nel 2007, la municipalità è stata costretta dalla legge ad acquisire la rete del gas. Sforando «consapevolmente» – ricorda il vicesindaco Fabio Bui – il patto di stabilità, si è comunque garantito alle casse pubbliche un maggiore introito di 310mila euro. Ad anni di distanza, pur dopo aver pagato sanzioni per lo sforamento, al comune è arrivato un regalo del governo: per quel che è accaduto nel2007, Loreggia dovrà tagliare le spese di 1 milione e 400mila euro. Su un bilancio, di parte corrente, di 3 milioni circa. «Eppure, se si cerca la virtù – lamenta Bui – qui c’è. Mentre i bilanci pubblici sono diventati ormai spesso dei veri falsi in atto pubblico, i nostri conti sono in ordine. Abbiamo allertato sinistra e destra, nessuno fa nulla. Vendiamo tutto?». Riassumendo: sono ora chiamati a pagare fuori target perché hanno rispettato gli obblighi di legge. Giustizia?
Caerano San Marco, stessa zona, ha circa 8mila abitanti. È governato da una giunta di centrosinistra. Nel 2007 hanno incassato una donazione di un cittadino di un milione e mezzo, mentre tesaurizzavano altre entrate straordinarie, così nel 2009 sono usciti dal patto di stabilità. «Nel2011– prevede il sindaco Angelo Ceccato – dovremo tagliare la metà delle spese correnti. Ci spieghino come fare, dal momento che questa voce di bilancio è già ad un terzo della media nazionale. Mi vien da ridere quando sento parlare di amministrazioni virtuose: qui la spesa per abitante è di 155 euro, per quanto riguarda lo smaltimento dei rifiuti siamo in testa alla classifica nazionale». Quindi, mercoledì chiuderanno tutti gli uffici comunali: niente servizi pubblici.
E poi? Ci penseranno ancora, non escludono di rimettere le deleghe di governo. Poco conta: di questo passo, non ci sarà più il comune, fine di una storia edificante. Più complessa la situazione a Vittorio Veneto, 25mila abitanti, dove la Lega governa da sola. Qui, racconta BarbaraDeNardi segretaria del circolo Pd, il comune non è immacolato. La Giunta nel 2008 ha acquistato un immobile per un milione e mezz e così ha sforato il patto. Due anni dopo, quella ex fabbrica è ancora inutilizzata e si stanno dannando per rivenderla. Ci hanno provato con la Vittorio Veneto servizi, agenzia interamente comunale, ma non andava bene.
Allora, il comune, come azionista unico, ha chiesto alla Servizi un
milione e mezzo. Un anticipo, suggerendo all’agenzia di accendere un mutuo per rientrare. La Corte dei conti scopre il trucco e respinge la manovra al mittente troppo furbo per essere vero. Tra l’altro, espostissimo con i «derivati» che hanno già massacrato mezzo mondo. Quindi: stop agli straordinari dei dipendenti comunali, stop all’accensione di mutui per qualunque scopo, rete stradale urbana degna di Beirut post bombe, musei – ce ne sono otto – aperti solo al fine settimana o su richiesta delle scolaresche. Intanto, si parla di vendere il parco e la villa del complesso Papadopoli, cuore della città. Dopo mille anni, i comuni muoiono nell’era Berlusconi. Il governo del fare.
L’Unità 08.01.11
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“La riforma incompiuta”, di Tito Boeri
La Lega chiede il federalismo entro gennaio per continuare ad offrire il proprio sostegno ad un governo esanime. Da ieri sappiamo che lo chiede anche per partecipare alle celebrazioni per i 150 anni dell´Unità d´Italia.È fin troppo evidente che si tratta di un pretesto per andare alle elezioni. Il federalismo tanto sbandierato fin qui non c´è stato e non ci sarà in questa legislatura. Siamo ancora troppo lontani dal realizzarlo. Gli ultimi passi compiuti sono stati sempre più contraddittori. I costi standard per i Comuni e le Province verranno definiti con criteri completamente diversi da quelli seguiti per le Regioni, come se appartenessero a Paesi diversi. Non serviranno a ripartire le risorse per la sanità. Il decreto che si vorrebbe approvato entro il 23 gennaio non cambia nulla. Non solo i comuni non vedranno un euro in più, ma non acquisiranno alcuna autonomia impositiva. Meglio per la Lega che il decreto non venga approvato. Altrimenti con che faccia i ministri del Carroccio si presenteranno ai sindaci del Nord? Nessun tributo proprio quando invece nel frattempo Roma ha acquisito il diritto a introdurre la tassa di soggiorno. Nessuna risorsa in più, solo i tagli confermati della manovra 2010-12, quando invece il decreto milleproroghe prevede altri 500 milioni da destinare al piano di rientro del debito della Capitale.
Quello trovato dalla Lega è un pretesto per andare alle elezioni molto pericoloso. Perché i mercati oggi sono molto nervosi su ogni operazione che possa suonare come una perdita di controllo sulla spesa pubblica. Gli incerti negoziati in Belgio sul nuovo progetto di stato federale (in ballo fino a un quarto del gettito da spartire fra governo federale e le tre regioni di cui si compone il paese) sono stati accompagnati da un forte incremento del costo del servizio del debito. Gli investitori, per comprare i titoli di stato di un paese storicamente nell´area del marco, richiedono oggi interessi del 6 per cento superiori a quelli di tre mesi fa, la peggiore performance per titoli di stato nell´area dell´euro dopo quella dei paesi nell´occhio del ciclone, Grecia ed Irlanda. Certo, l´Italia non è il Belgio, c´è da noi una gerarchia istituzionale che lì non è presente. Ma abbiamo anche amministrazioni locali meno efficienti di quelle delle Fiandre o della Vallonia. E dopotutto la nuova fase della crisi, la crisi del debito pubblico, appare oggi così difficile da gestire per un problema di federalismo fiscale mal congegnato nell´area dell´euro, una “moneta senza Stato” nelle parole di Tommaso Padoa-Schioppa. Se oggi è così difficile evitare il contagio della crisi greca e di quella irlandese è proprio perché manca un coordinamento delle politiche fiscali in un´area del mondo che ha deciso di condividere la stessa moneta.
In questa nuova fase della crisi è fondamentale tenere sotto controllo i conti pubblici. Fa bene, dunque, Tremonti a non abbandonare la linea del rigore in questo momento, nonostante le forti pressioni che riceve in vista della conversione in legge del decreto milleproroghe. L´andamento migliore del previsto del fabbisogno nel 2010 non crea alcun tesoretto. Non solo perché il Tesoro non si è ancora degnato di spiegare da dove vengono questi 16 miliardi in più e quindi non si può sapere se serviranno davvero a ridurre quel che conta, l´indebitamento. Il fatto è che un paese con un debito pubblico come il nostro deve prioritariamente destinare ogni euro in più che si ritrova nelle casse dello Stato alla riduzione del debito pubblico. È l´impegno cui ha richiamato tutti il Presidente Napolitano nel suo messaggio di fine anno. Ogni italiano con meno di 30 anni oggi ha sulle spalle 100 mila euro di debito pubblico, accumulato dalle generazioni che lo hanno proceduto. Bisogna alleggerire il fardello, in termini di pagamento degli interessi sul debito, che graverà sull´intera vita lavorativa di chi oggi ha meno di 30 anni. E che gli sta rendendo più difficile trovare lavoro: ieri l´Istat ha documentato come il tasso di disoccupazione dei giovani abbia toccato il massimo dall´inizio della crisi.
Ma non basta tenere la barra diritta. Ci vuole una capacità di rimodulare la spesa in modo tale da favorire la crescita economica e di cambiare la composizione delle entrate in modo tale da rendere il prelievo fiscale meno distorsivo. Questa capacità di fare politica di bilancio è sin qui mancata del tutto al governo che ha scelto la strada dei tagli uniformi o delle sforbiciate dove incontrava meno resistenza, come nella scuola e università, indipendentemente dall´efficienza della spesa pubblica. è mancata ancora di più a livello locale. Un federalismo ben congegnato poteva servire a migliorare la qualità della spesa delle amministrazioni decentrate. Il principio alla base del metodo dei costi standard è che non ci sono costi diversi nel fornire servizi come l´istruzione, le biblioteche o l´assistenza ospedaliera in diverse parti del Paese perché le tecnologie utilizzate sono le stesse ovunque in Italia. Ogni differenza di costo nel fornire queste prestazioni è attribuibile a sprechi e inefficienze delle amministrazioni che spendono di più. Se l´assistenza alla maternità è più costosa in Calabria, ad esempio, questo avviene perché in questa regione si ricorre molto di più che altrove (in 44 casi su cento contro i 28 su cento in Lombardia) ai parti cesarei, che rendono di più agli ospedali (e ai medici) di un parto tradizionale. Il principio secondo cui i costi standard sono gli stessi in tutto il Paese è, perciò, un principio di efficienza. Tutte le amministrazioni devono raggiungere livelli minimi di affidabilità. Si tratta di risparmi che non riducono la qualità del servizio, ma possono addirittura migliorarlo, ad esempio evitando inutili interventi chirurgici.
Questo principio è stato abbandonato nonostante fosse stato condiviso da quasi l´intero Parlamento all´atto del varo della legge delega sul federalismo. Non avrà alcun peso nella distribuzione delle risorse tra le Regioni.
Bene allora non agitare inutilmente la bandiera del federalismo, magari contrapponendola a quella nazionale. Chi vuole davvero portarlo avanti, nella maggioranza come all´opposizione, faccia sul serio, riempiendo lo spazio politico lasciato aperto dalla Lega. Dovrà mostrare come può migliorare l´efficienza della spesa pubblica, stabilendo ad esempio che verrà concessa autonomia solo a chi mostra di saperla gestire questa autonomia. E chi, invece, vuole andare alle elezioni trovi un pretesto migliore per aprire la crisi. Alla luce della performance di questo esecutivo c´è solo l´imbarazzo della scelta.
La Repubblica 08.01.11